Patrimonio sottovalutatoLe grandi potenzialità dei tram storici in Italia

Nel mondo ci sono casi virtuosi di carrozze antiche che diventano simbolo della città, come a San Francisco. Nel nostro Paese non ce ne sono molte in circolazione, solo Milano e Torino riescono a valorizzarle per davvero. Ma ripristinare i vecchi mezzi può essere una soluzione per la mobilità sostenibile

Lapresse

A inizio marzo l’Azienda napoletana mobilità (Anm) ha messo sul mercato 11 tram storici degli anni ‘30, che attualmente sono custoditi nel deposito di San Giovanni a Teduccio, quartiere dell’area orientale di Napoli. Quattro tram saranno venduti per poter poi essere riutilizzati, con una base d’asta di 3.780 euro l’uno. Gli altri invece andranno in rottamazione: sono fuori uso, non possono essere rimessi in circolazione. «Invece di fare come in altre grandi città e pensare a progetti turistici per la valorizzazione di un simile patrimonio si pensa a fare cassa incassando quattro spiccioli», ha detto il presidente della commissione Mobilità del Comune di Napoli Nino Simeone.

L’istanza portata avanti da Simeone nasce da quella che lui stesso definisce «una scelta scellerata» e «uno spreco». In molte città – da San Francisco a Hong Kong, passando per Lisbona, Budapest, Praga – i tram storici hanno la doppia funzione di trasporto pubblico e attrazione turistica caratteristica della città. In Italia invece un utilizzo sapiente dei tram storici è piuttosto raro.

In primo luogo perché la linea tranviaria italiana è stata dismessa quasi completamente a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Dopo i grandi investimenti della prima metà del ‘900, negli anni ‘60 in molte città italiane il tram era già sparito: a Genova la linea tranviaria è stata dismessa nel 1966; a Bologna tre anni prima; a Verona nel 1951; a Bari nel ‘48 e a Reggio Calabria addirittura nel 1937. Se nel 1940 le città italiane che disponevano di un sistema tranviario urbano erano 45, A metà anni ‘70 erano appena quattro: Torino, Milano, Roma e Napoli.

Oggi gran parte del parco tram del secolo scorso non c’è più, è rottamato o inutilizzabile. Inoltre non sempre è possibile fare i necessari adeguamenti tecnologici e la manutenzione delle carrozze non è agevole come quella dei nuovi mezzi.

Dall’Anm spiegano a Linkiesta che l’idea non era quella di svendere un patrimonio della città, ma una scelta dovuta all’impossibilità di riabilitare alcuni mezzi e alla necessità di garantire a cittadini e turisti un servizio di trasporto pubblico efficiente, rapido e comodo. Tra l’altro alcuni di questi modelli sono attualmente in circolazione sulla Linea 2 del tram.

Proprio ieri è arrivato lo stop della Soprintendenza a bloccare il bando di «svendita»: i beni patrimoniali con oltre 70 anni di età infatti non possono essere venduti senza prima averne prima accertato l’interesse culturale.

La situazione nel resto d’Italia
La protesta dei consiglieri comunali vista a Napoli si era già verificata in forma diversa a Torino nel settembre 2020. L’acquisto di 70 nuovi tram HitachiRail dovrebbe andare a sostituire le storiche e iconiche motrici tranviarie della serie 2800. La protesta di alcuni cittadini si è tradotta in una petizione per chiedere al Comune di usare i nuovi mezzi per potenziare la linea, non per sostituire i vecchi tram.

In passato i vecchi tram torinesi erano stati salvati dalla demolizione grazie al lavoro dell’Associazione Torinese Tram Storici (Atts), ente senza scopo di lucro che ha iniziato la sua attività nel 2005. L’Atts aveva intuito il potenziale racchiuso in quelle carrozze: se messe a nuovo potevano diventare una nuova attrazione turistica e parte del patrimonio storico e culturale della città.

«Parliamo di tram – dice a Linkiesta Simone Schiavi dell’Atts – che una volta messi a punto funzionano alla perfezione, sebbene non più ottimali per il trasporto pubblico in termini di comodità».

Allora l’idea dell’Atts è quella di andare verso una riduzione delle vecchie vetture – gradualmente, man mano che arriveranno le nuove – garantendo però che almeno due, una per modello, restino sempre in servizio per conservare la memoria storica.

«Capiamo che la Gtt (Gruppo torinese trasporti) voglia rendere il più efficiente possibile il suo servizio e l’acquisto dei tram nuovi va in questa direzione. Ma ci sono 70 tram storici e finché ci saremo noi almeno un paio saranno in funzione, anche perché sono come musei in movimento», dice Schiavi.

L’altra città che ha fatto dei tram storici un simbolo è Milano, dove i “carrelli” della linea del 1928 (serie 1500) sono, o meglio erano, prima della pandemia, quasi sempre pieni zeppi, sempre apprezzati dai milanesi e dai turisti: già nel 2008 l’Atm diede il via a una ricolorazione di questi tram, poi una revisione con rifacimento degli interni e delle finiture, fino a diventare uno dei pezzi pregiati della mobilità milanese.

Ma in giro per l’Italia non c’è molto altro. Un caso è quello di Trieste: a dicembre il Comune ha investito 25mila euro per salvare due tram storici di Opicina – datati 1901 e 1906 – che rischiava di perdere dopo la liquidazione dell’Amt. «Questo gesto – aveva detto l’assessore ai Servizi generali Lorenzo Giorgi – è un bene dei triestini che rimarrà tale. Abbiamo salvaguardato queste due vetture storiche di inizio ‘900 che potranno così essere valorizzate ancora di più a livello turistico-culturale e potranno anche tornare in servizio su brevi tratti pianeggianti ed essere utilizzate ancora per iniziative, eventi, appuntamenti e cerimonie».

Ci sono poi i tram storici dell’Atac di Roma, che prima della pandemia erano messi a disposizione dall’ente della mobilità per feste, meeting e altri eventi: dall’Atac fanno sapere che nel 2019 i tram storici sono stati noleggiati 189 volte. Gli altri tram in circolazione più che storici sono semplicemente vecchi: l’età media dei 164 disponibili è di 35 anni, di cui alcuni – gli Stanga – risalgono agli anni ‘50. Ma il tram non è una grande risorsa del trasporto pubblico romano: nel 2019 i tram hanno coperto circa 4 milioni di chilometri su un totale di quasi 90 fatti in superficie dai mezzi Atac.

«Invece proprio Roma ne avrebbe un gran bisogno, e avrebbe bisogno di incrementare l’uso dei tram dal momento che ampliare le linee della metro è sempre molto difficile. E aumentare gli autobus non è una buona soluzione in termini di traffico e di rispetto dell’ambiente», dice a Linkiesta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, che però resta complessivamente fiducioso sugli sviluppi futuri delle linee tranviarie italiane. «È una nuova primavera – dice – perché dallo sviluppo delle linee tranviarie in Germania e Francia stiamo arrivando a capire che il tram può essere un mezzo eccezionale per migliorare la mobilità in un centro cittadino». L’esempio che fa Zanchini è quello di Montpellier e Strasburgo, città in cui la viabilità è cambiata radicalmente con le recenti linee tranviarie.

Secondo il report di Legambiente “Pendolaria”, l’Italia ha 511km di tranvie, meno dei 798 della Francia e degli oltre 2mila della Germania, ma più di Spagna e Regno Unito che non arrivano a 300. Purtroppo la distribuzione delle linee è molto squilibrata: Torino ne ha 187km, poi c’è Milano con 180, Roma arriva terza ma ne conta appena 31.

Il miglioramento della mobilità nelle città italiane – che non può più essere slegata da un discorso di sostenibilità ambientale – passa anche dal perfezionamento delle linee tranviarie. In questo sarà fondamentale l’investimento dei fondi del Next Generation Eu, ma non solo: ci sono esempi di buona programmazione delle linee tranviarie urbane che risalgono a prima della pandemia.

«Il progetto migliore, come abbiamo segnalato nel report, è Firenze: è stata creata una rete tra le più efficienti in Europa, con tre linee, una quarta in cantiere e una gran quantità di mezzi a disposizione. Poi ci sono tante altre città che hanno inaugurato, con metodi differenti le loro linee tranviari: ci sono Padova, Messina, Palermo: quest’ultima ha dimostrato di avere un’ottima programmazione anche se non ha ancora perfezionato il servizio», spiega Zanchini.

E poi va aggiunta all’equazione l’eredità della pandemia. «Il covid – conclude Zanchini – ha dimostrato che le persone sono disposte a cambiare il modo in cui si muovono. Pensiamo al monopattino, alle biciclette e altri mezzi green. Però servono strategie negli investimenti pubblici, infrastrutture di mobilità pubblica, nuovi progetti a emissioni zero e la capacità manageriale per rendere i servizi efficienti».

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