Il giorno dopo l’arresto a Parigi dei sette ex terroristi italiani degli Anni di piombo, Adriano Sofri, ex leader di Lotta Continua condannato a 22 anni di carcere come mandante – con Giorgio Pietrostefani – dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, sul Foglio cita un aneddoto del novembre del 1947. Racconta la destituzione del prefetto di Milano Troilo, che era stato comandante partigiano. Manifestanti e partigiani occuparono la prefettura. Poi Giancarlo Pajetta telefonò a Roma e disse a Togliatti: «Abbiamo occupato la Prefettura!». Togliatti rispose: «Bravo, e adesso che ve ne fate?». È la stessa domanda che Sofri si pone oggi: «Bravi! E adesso che ve ne fate?».
Sofri prima fa un’osservazione sul numero dei ricercati: «11 (undici), ridotti nel giro di pochi giorni a 10 (dieci) forse perché per uno di loro era intervenuta la prescrizione, imminente anche per altri. Ora, gli italiani riparati in Francia durante o dopo gli anni cosiddetti di piombo erano stati alcune centinaia. Dove sono andati a finire?», si chiede. «A occhio direi che uno (1), Paolo Persichetti, fu estradato con un vero colpo di mano delle polizie francese e italiana: è oggi libero, trovate in rete adeguate ricostruzioni della sua vicenda. Alcuni, pochi, vennero spontaneamente a consegnarsi in Italia, come Toni Negri. E la moltitudine restante? Molti sono stati prescritti, alcuni sono morti di vecchiaia o di malattia, uno si è ucciso poco fa buttandosi giù da una finestra. La sporca decina che oggi fa i titoli di testa è il fondo del barile».
Poi Sofri aggiunge che «nei decenni trascorsi dopo il rifugio in Francia, non uno – se non sbaglio – non uno dei condannati ha commesso un solo reato. Questa era del resto una condizione alla loro accoglienza, ma non è la spiegazione». Secondo Adriano Sofri, «la spiegazione sta in un radicale passaggio di pensieri, linguaggi, sentimenti e stati d’animo, come avviene dopo ogni guerra, anche le guerre più immaginate. Come avviene “la mattina dopo”». E continua: «Che nessuna e nessuno di quelle centinaia abbia più aperto i conti con la giustizia penale è l’inesorabile dimostrazione che le loro azioni appartenevano a una temperie politica, comunque distorta, e non le sarebbero sopravvissute».
Sofri dice ancora che «la cosiddetta “dottrina Mitterand”, che è stata in realtà la pratica di Mitterand, di Chirac, di Sarkozy, di Hollande e, fino a ieri, di Macron, ha realizzato il fine più ambizioso e solenne che la giustizia persegua: il ripudio sincero della violenza da parte dei suoi autori, e così, con la loro restituzione civile, la sicurezza della comunità. La Francia repubblicana è riuscita dove il carcere fallisce metodicamente». Del resto, dice, una gran parte di quelli che erano stati incarcerati in Italia «avevano dati vita al patto che andò sotto il nome di “dissociazione”, e permise un ripudio della lotta armata e della violenza che non dovesse sottoporsi alla denuncia di altri, non motivata dalla necessità di sventare minacce attuali. L’obbligo della delazione è infatti il più infernale ostacolo al pentimento».
Poi Sofri aggiunge: «È curioso, diciamo così, che la spettacolosa svolta della retata di pensionati d’Oltralpe abbia seguito da vicino il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla incostituzionalità dell’ergastolo cosiddetto ostativo. Suggerisco al ministero una variazione lessicale, per i nuovi arrivi eventuali: l’ergastolo ottativo. Il treno dei desideri. Li avete presi: e ora che ve ne fate?».
Adriano Sofri spiega che «il piatto forte» della retata di ieri è Giorgio Pietrostefani, già condannato a 22 anni di carcere come mandante dell’omicidio Calabresi, e suo ex compagno di cella. E in un colloquio con La Stampa dice di essere preoccupato le sue condizioni di salute: «A Giorgio Pietrostefani la Francia ha dato ospitalità e un fegato di ricambio. La sua condizione sanitaria è cronicamente arrischiata. “Pietro” vive di lunghi ricoveri e ha in programma un intervento in ospedale a Parigi. Ho paura che muoia».