Una stazione meteorologica sul Monte Canin, nelle Alpi Giulie, ha rilevato, non molto tempo fa, la presenza di 5 metri di neve al suolo. Proprio tra queste montagne, negli ultimi due anni, sono state registrate nevicate estreme, che hanno originato accumuli di coltri bianche e garantito la presenza stabile dei ghiacciai.
È un dato, questo, che dovrebbe mettere in discussione l’esistenza del riscaldamento globale? Si potrebbe essere tentati di crederlo, soprattutto in un momento in cui la perdita e la fusione dei ghiacciai, con il conseguente aumento del livello del mare, sembra diventato un fatto di cronaca sempre attuale.
Tuttavia, neppure questa notizia, che riguarda una delle zone dove piogge e nevicate sono tra le più elevate di tutta Europa, smentisce il climate change.
Lo attesta la ricerca Recent Increases in Winter Snowfall Provide Resilience to Very Small Glaciers in the Julian Alps, Europe, pubblicata su Atmosphere, che chiarisce come questo trend anomalo, registrato anche a bassa quota, abbia permesso ai ghiacciai di mantenersi resilienti e stabili da circa 15 anni, a differenza di quelli presenti nel resto delle Alpi.
Il team internazionale che ha condotto il lavoro d’indagine – che è stato coordinato dall’Istituto di scienze polari del Cnr e che ha visto la partecipazione di ricercatori delle università di Trieste, Udine, Aberystwyth (Galles), dell’International Center for Theoretical Physics e della Eötvös Loránd University di Budapest – ha individuato due possibili cause di questo fenomeno: da una parte, il maggiore riscaldamento dell’Artico e, dall’altra, l’aumento della temperatura della superficie del mare Adriatico. E queste circostanze sono entrambe una diretta conseguenza del cambiamento climatico.
«Le grandi nevicate sul versante italiano delle Alpi», spiega a Linkiesta il fisico del clima Antonello Pasini, a commento dello studio, «avvengono con venti meridionali, quindi abbastanza caldi, mentre le correnti fredde da Nord portano nevicate sui versanti esteri. Proprio per questo, guardare solo alle nevicate non è un segnale significativo che possa “smentire” il fenomeno del riscaldamento globale».
Secondo Pasini il fatto curioso è che sulle Alpi Giulie dal 2006 al 2018 i piccoli ghiacciai non abbiano diminuito la propria massa glaciale, come è invece accaduto su tutte le montagne del mondo. Al contrario, l’hanno incrementata. «Tuttavia», avverte lo scienziato, «i risultati della ricerca ci hanno fornito una chiara spiegazione».
Infatti, il cambiamento nella circolazione atmosferica, probabilmente legato alla fusione dei ghiacci artici e al riscaldamento del mar Adriatico (entrambi sintomo di un incremento delle temperature), potrebbe aver indotto un maggiore innevamento nella zona delle Alpi Giulie che ha contrastato la maggiore fusione dovuta alle estati più lunghe e più calde. «Questo fenomeno della stabilità dei piccoli ghiacciai delle Alpi Giulie, che sembra controintuitivo, trova così una sua spiegazione proprio in un contesto di riscaldamento globale», spiega Pasini.
Il team internazionale, guidato da Renato Colucci, ricercatore del Cnr-Isp, ha dunque scoperto che la causa di quella che è stata definita “l’anomalia giuliana delle Alpi” sembra essere legata agli eventi estremi indotti dal riscaldamento globale.
«Nell’Artico», ha spiegato Colucci in una nota del Cnr, «il riscaldamento sta procedendo a un ritmo molto più serrato rispetto alle nostre latitudini, e uno degli effetti predominanti è la drastica riduzione del ghiaccio marino che contribuisce agli effetti di amplificazione del riscaldamento. Questo effetto prende il nome di “amplificazione artica”, e sta modificando la traiettoria della circolazione globale dell’emisfero settentrionale. I flussi atmosferici, che sono come delle onde che si muovono da Ovest verso Est, tendono a essere più sviluppati in latitudine e si muovono più lentamente verso Est facilitando così le situazioni di blocco, cioè quelle che portano il tempo meteorologico a “bloccarsi” per lunghi periodi di tempo nel medesimo luogo».
Questo spiega come, ad esempio, possano persistere per periodi più lunghi correnti marittime cariche di umidità che favoriscono le precipitazioni sulle montagne.
«A livello locale l’aumento della temperatura superficiale del mare Adriatico porta maggiore energia verso le montagne sotto forma di precipitazioni più intense. Il rovescio della medaglia è che la pioggia tende a sostituirsi alla neve via via a quote sempre più elevate, complice anche in questo caso il riscaldamento globale», ha chiarito Colucci. «Alpi Giulie a parte, eccezione assieme forse ad altri settori limitati delle Alpi Orobie e Marittime, la criosfera alpina è in rapida trasformazione e nel giro di una trentina d’anni quasi tutti i ghiacciai al di sotto dei 3.500 m saranno verosimilmente scomparsi. Ma il destino di queste residue forme glaciali minori sembrerebbe essere non così scontato come si pensava».