La transizione green dell’Amministrazione Biden è ormai iniziata: il presidente degli Stati Uniti sembra aver preso sul serio l’impegno, proclamato durante la campagna elettorale, in materia di politiche ambientali. Infatti, è di qualche giorno fa il lancio di una mega-installazione di turbine eoliche nell’Oceano Atlantico, a 15 miglia dall’isola Martha’s Vineyard.
“Vineyard Wind” – questo è il nome del parco eolico – prevede un investimento iniziale di 3 miliardi di dollari per installare 62 turbine ed è una joint venture tra due filiali di aziende europee, la danese Copenaghen Infrastructure Partners e Avangrid, che appartiene alla spagnola Iberdrola. Le turbine avranno una capacità di 800 megawatt.
L’impianto al largo di Martha’s Vineyard fa parte di una New Wind Energy Area che spazia da Long Island alla costa del New Jersey. L’area di energia rinnovabile rientra nel piano, presentato da Joe Biden la scorsa settimana, per favorire l’espansione dell’industria statunitense dell’eolico offshore. Si tratta di un pacchetto di misure che variano dall’apertura di nuovi siti, all’assegnazione più rapida dei permessi e all’aumento del sostegno pubblico ai progetti.
È un piano che rientra nell’obiettivo più generale del presidente per l’azzeramento netto delle emissioni generate dagli Stati Uniti entro il 2050 e che conta di installare 30 gigawatt di eolico offshore entro il 2030: una quantità di energia che il governo ha definito sufficiente per alimentare dieci milioni di abitazioni e che permetterebbe una riduzione di 78 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. L’eolico sarà inoltre un volano che attiverà complessivamente 12 miliardi di dollari di investimenti creando 44.000 posti di lavoro diretti più 30.000 assunzioni nell’indotto.
Il dipartimento dell’Energia spenderà anche 128 milioni per lo sviluppo di tecnologie per l’energia solare. In concomitanza con l’annuncio sull’eolico, l’Amministrazione Biden ha infatti fissato un obiettivo di riduzione del 60 per cento del costo dell’energia solare entro il prossimo decennio, il che porterà a maggiori tecnologie per il solare, incluse le celle fotovoltaiche perovskitiche, più economiche di quelle al silicio che attualmente dominano il mercato.
Gli annunci di Washington, però, non nascono senza ragione: la Casa Bianca si trova in una partita geopolitica con la Cina in un settore, quello delle tecnologie energetiche, in cui parte nettamente svantaggiata. Pechino, infatti, produce quasi tre quarti dei moduli fotovoltaici di tutto il mondo.
In più, le attenzioni prestate all’Europa, considerato il primo partner in questo campo, hanno fatto scattare sull’attenti anche l’Arabia Saudita. Riad e il Medio Oriente hanno spinto verso il green solo dopo che gli Stati Uniti hanno accolto in pieno l’effetto Biden. La Saudi Arabia Green Initiative e la Middle East Green Initiative sono due vetrine internazionali per dimostrare una maggiore responsabilità nella tutela dell’ambiente.
Più che inseguire, però, l’America punterà su nuove tecnologie. Nasce proprio in quest’ottica il “Build Back Better” lanciato a Pittsburgh da Joe Biden: il mega piano infrastrutturale promesso in campagna elettorale capace di mobilitare in quindici anni oltre 4mila miliardi di dollari (in due fasi da 2mila miliardi l’una). Il tutto finanziato da un aumento massiccio delle tasse alle fasce più ricche della popolazione e alle imprese.
Cosa prevede il piano in termini ecologici? Grandi opere – da strade, ponti e dighe a energia pulita e reti digitali – e finanziamenti per la green economy (in particolare, 174 miliardi dedicati alla mobilità elettrica). C’è poi l’estensione di 10 anni ai crediti d’imposta, che sono una manna dal cielo per i progetti eolici, solari, e, in generale, per le energie rinnovabili. Quanto all’elettrico, è prevista l’estensione degli incentivi per le auto elettriche, per l’infrastruttura di ricarica, oltre all’acquisto massiccio di mezzi di trasporto pubblici come gli autobus e i camion.
Nel suo American Jobs Plan (Build Back Better) Biden si impegna anche a eliminare i sussidi alle compagnie dei combustibili fossili, e a garantire investimenti per 16 miliardi di dollari in un programma per la creazione di posti di lavoro per bonificare i pozzi di petrolio e gas abbandonati.
C’è poi la questione dei carburanti aerei. Il governo potrebbe pagare per il carburante green trasferendo parte o tutto il costo aggiuntivo ai contribuenti. Gli amministratori delegati delle più grandi compagnie aeree degli Stati Uniti stanno ancora contrattando con la Casa Bianca, forti anche di una collaborazione con i produttori di biocarburanti con la quale fare pressioni sull’Amministrazione Biden per avere un aumento sostanziale dei sussidi per il settore.
L’Amministrazione Biden si muove anche per incrementare la filiera produttiva. Data la forte crescita della mobilità elettrica prevista nei prossimi anni, il dipartimento americano del Commercio sta cercando di consolidare una collaborazione con alcune aziende minerarie e costruttori di batterie per discutere di come potenziare la produzione canadese di materiali utilizzati nella realizzazione di veicoli elettrici. Gli Stati Uniti vedono nel Canada un fornitore affidabile di buona parte di quei minerali che considerano sensibili per la sicurezza nazionale. A febbraio Biden e il primo ministro canadese Justin Trudeau si sono impegnati a dare vita a una filiera per i veicoli elettrici tra i due Paesi, in modo da ridurre la dipendenza dalla Cina, che controlla gran parte dell’offerta di metalli critici come le terre rare e il litio.
Filiera corta e incentivi che si fondono, infine, con una riforma della finanza verde. Il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e altre autorità di regolazione sono al lavoro su un insieme di norme per aumentare il grado di comunicazione da parte delle aziende circa l’impatto ambientale delle loro attività. Si tratterebbe in particolare del carbon leakage, cioè la delocalizzazione delle aziende in Paesi che hanno regole meno restrittive sulle emissioni inquinanti, e sui criteri ESG (Environmental, Social and Governance) utilizzati per la valutazione della sostenibilità ambientale, sociale e di governance di un investimento.
L’obiettivo è favorire un aumento della domanda di asset dall’impatto climatico “positivo” da parte della finanza, ed evitare che le imprese si macchino di greenwashing attraverso un ecologismo “di facciata” costruito attraverso strategie di comunicazione ingannevoli.
«È il momento di agire. L’accordo di Parigi non basta», ha suggerito poche settimane fa John Kerry, inviato speciale degli Stati Uniti per il clima. Per poi rincarare la dose: «Il presidente Biden ha chiarito che questa è una delle questioni più importanti che la sua Amministrazione intende affrontare». Staremo a vedere.