Chi fa la spiaAnche la Cechia ha una crisi diplomatica con la Russia

Praga ha ordinato a 18 diplomatici russi di lasciare il Paese entro 24 ore con l’accusa di spionaggio. A sua volta Mosca ha espulso venti diplomatici cechi. «Nel loro desiderio di compiacere gli Stati Uniti le autorità ceche hanno persino superato i loro padroni», commenta in una nota il ministero degli Esteri russo

LaPresse

Mentre la tensione al confine tra Mosca e Kiev continua a salire, sullo sfondo la Federazione russa e Cechia hanno dato il via a una battaglia diplomatica a colpi di espulsioni. Con una certa sproporzione nella risposta da parte di Mosca. A dare il via al botta e risposta è stata Praga, che il 17 aprile ha ordinato a 18 diplomatici russi di lasciare il Paese entro 24 ore con l’accusa di spionaggio. Secondo quanto dichiarato dal premier ceco, Andrej Babis, il Governo ha agito in risposta alle prove fornite dai servizi segreti circa il coinvolgimento di alcuni agenti dell’Unità 29155 dei servizi russi (Gru) nel sabotaggio di un deposito di armi nella foresta di Vrbetice. Si tratta della stessa Unità accusata di aver preso parte al tentato omicidio di Sergei Skripal, l’ex spia russa avvelenata con il Novichok nel Regno Unito nel 2018. 

L’episodio di Vrbetice risale invece al 2014, quando due diverse esplosioni distrussero un deposito di armi causando la morte di due persone. Secondo quanto riportato all’epoca dai media cechi, il materiale bellico era destinato alle forze ucraine impegnate contro i ribelli filo-russi o alle milizie siriane anti-governative ed apparteneva a un noto trafficante d’armi bulgaro, Emilian Gebrev. L’uomo, secondo le autorità di Sofia, era già sopravvissuto a un tentativo di avvelenamento da parte del Gru e dell’unità 29155 nel 2015: quell’anno Gebrev aveva già iniziato a rifornire di armi le forze ucraine che combattevano contro i ribelli russi. 

Ma la risposta di Mosca non si è fatta attendere. Il Cremlino ha negato ogni coinvolgimento nell’esplosione del deposito, mentre il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore ceco Vitzeslav Pivonka e ordinato l’espulsione dalla Federazione di venti diplomatici cechi. Un numero superiore rispetto a quello dei funzionari russi espulsi dalla Cechia, ma significativo. «Nel loro desiderio di compiacere gli Stati Uniti e nell’ambito delle recenti sanzioni americane contro la Russia, le autorità ceche hanno persino superato i loro padroni», è stato il commento finale del Ministero degli Esteri. Il riferimento è all’espulsione dagli Stati Uniti di dieci diplomatici russi avvenuta il 16 marzo, a cui il Cremlino ha risposta allontanando dal Paese altrettanti funzionari statunitensi. 

In quegli stessi giorni anche la Polonia ha seguito l’esempio degli Usa, procedendo all’espulsione di tre diplomatici russi. Una mossa a cui Mosca ha risposto dando 24 ore di tempo a cinque funzionari dell’ambasciata polacca per lasciare la Federazione, due in più rispetto a quelli russi costretti a tornare in patria. Il fatto che il Cremlino abbia risposto in maniera proporzionata all’espulsione dei suoi funzionari dagli Stati Uniti non è un dato da sottovalutare. Mosca sta infatti avvertendo Polonia e Cechia, e in generale agli altri Paesi dell’area, che il loro peso è inferiore rispetto a quello degli Usa e che anche il trattamento che verrà loro riservato non sarà lo stesso. 

Emblematico a questo proposito è il caso del console ucraino a San Pietroburgo, Alexander Sosonyuk, arrestato con l’accusa di spionaggio mentre era in un locale perché «colto in flagrante dopo aver ricevuto dati classificati dalle banche dati delle forze dell’ordine russe e del Servizio federale di Sicurezza», secondo quanto riferito dalle autorità russe. 

Il caso della centrale di Dukovany
Ma le espulsioni e gli arresti di diplomatici o le reciproche accuse di spionaggio non sono l’unica fonte di attriti tra la Cechia e la Russia. Dopo l’allontanamento dei suoi funzionari dalla Federazione e le accuse del Ministro degli Esteri, Praga ha deciso di escludere l’azienda pubblica russa Rosatom da una gara di appalto per la realizzazione di nuovi reattori nella centrale nucleare di Dukovany, nella Moravia

La mossa del Governo ceco è stata criticata dall’azienda russa – una delle più importanti nel settore del nucleare e ritenuta da diversi analisti uno strumento nelle mani del Cremlino – che ha accusato Praga di star agendo per scopi politici. L’esclusione da un progetto che vale diversi miliardi di euro rappresenta una grande perdita per la Rosatom, ma è anche un danno di immagine di non poco conto per la Russia.

Dietro l’estromissione dell’azienda russa dalla gara di appalto per la centrale di Dukovany ci sono in effetti ragioni geopolitiche che vanno al di là dell’attuale tensione tra Cechia e Russia. La possibilità che la Rosatom potesse costruire nuovi reattori a Dukovany aveva allarmato Unione europea e Stati Uniti, poco propensi a vedere le aziende russe occuparsi di settori strategici come quello dell’energia nucleare. Tali preoccupazioni erano state sollevate soprattutto da Washington, che adesso può invece contare su una posizione privilegiata nella gara d’appalto: le aziende rimaste sono infatti la nippo-francese Mitsubishi Atmea, la sudcoreana Knhp e l’americana Westinghouse. Esclusa la Rosatom, data per favorita, l’ago della bilancia si è spostato verso la compagnia statunitense. 

L’esclusione della Russia dalla gara d’appalto e il probabile successo dell’azienda americana rappresentano una vittoria per gli Stati Uniti, impegnati a rafforzare il fronte anti-russo nell’est Europa, ma saranno anche motivo di ulteriori attriti tra Mosca e Washington. Lo stesso presidente Vladimir Putin, nel suo annuale discorso all’Assemblea federale, ha definito «un nuovo tipo di sport nazionale prendersela con la Russia» e ha avvertito che Mosca risponderà a eventuali «provocazioni in modo asimmetrico, rapido e duro». Un chiaro messaggio a quelle potenze che, afferma Putin, pensano di poter imporre il proprio volere alla Federazione russa.

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