Non le Conferenze Episcopali, ma di certo il sentire dei credenti ha dato ampio sfogo al libero arbitrio, potremmo dire alla fantasia, per dare concretezza alle più varie forme di penitenza.
Le ricerche sociologiche sulle forme del cristianesimo contemporaneo e delle sue numerose declinazioni lo dimostrano: per esempio, da un’osservazione fatta in Francia e in Austria, sono state censite offerte wellness (massaggi inclusi) in monastero, ivi compreso lo spiritual jogging, pubblicizzato con lo slogan Jesus as a first coach, Gesù come primo allenatore.
Succede in Austria. Difficile non pensare all’esistenza di un’operazione di buon marketing, alla luce del globale e crescente successo della corsa nel menu dei gusti degli sportivi non professionisti.
Unire il richiamo alla spiritualità, in questo caso cristiana, con quello alla corporeità del jogging (running per i più convinti) potrebbe schiudere prospettive impensate pure alla dieta del maratoneta, aprendolo all’immaterialità e andando oltre a un vocabolario fatto di carboidrati semplici e complessi, proteine, glicogeno muscolare, cena e colazione pregara, pasto di recupero.
Sempre in Austria, esistono forme di digiuno liquido e altre «offerte» rivolte a religiosi e laici: si può essere aiutati ad astenersi dalla tecnologia, come dai rapporti sessuali.
Non pensiamo sia un gioco al ribasso. Leggendo le conclusioni delle ricerche qui in esame, infatti, pare sia più facile non mangiare che rinunciare all’uso del telefono. Il digiuno si trasforma così in una forma di consumo, nella quale il penitente si converte in cliente e paga per non mangiare, non bere, non telefonare, non chattare, non copulare e quant’altro.
Soffermiamoci sulle privazioni alimentari. Gli studi qui sintetizzati evidenziano un paradosso: nella percezione di molti degli intervistati, religiosi e non, nel Terzo Millennio, diverse società in particolare dell’Europa occidentale digiunano e si astengono più di quanto non facessero quando vi erano formalmente obbligate dalle regole di un calendario liturgico alle quali aderivano in stragrande maggioranza. E si impegnano con grande serietà, forse con una severità nuova, godendo probabilmente della libertà data dalla sostanziale differenza tra scelta e imposizione: nessuno costringe a mantenere determinati comportamenti, ma si decide in autonomia, andando se necessario alla ricerca di una guida o di un sostegno.
È un’ascesi secolare, certo spirituale, ma non religiosa, attraverso la quale la ricerca del benessere immateriale si sposa con quella del benessere materiale. Non è, questa unione, una novità, ma un aggiornamento della celeberrima massima mente sana in corpo sano, dove la mente coinvolge il poco afferrabile «spirito».
Si tenta di raggiungere la salute, la serenità, anche attraverso pratiche di rinuncia e privazione, come il digiuno nelle sue più fantasiose forme, caratterizzate dall’assenza di riferimenti sacri oppure da composite forme di bricolage religioso, un fenomeno che in un saggio di qualche anno fa ho scelto di definire patchwork religion.
Una riflessione sul concetto di patchwork religion merita una nuova parentesi. Partiamo dalla consapevolezza fornita da studi come quelli appena esaminati e da altri simili: è dimostrato come sia sempre più diffuso il fenomeno della natura composita della fede individuale.
Le convinzioni personali, di conseguenza, sono sempre meno facilmente identificabili con un sistema di credenze; si tende a costruire la propria identità religiosa attingendo a insegnamenti provenienti dalle culture e dalle fedi più disparate. Si evidenzia per esempio il distacco di molti credenti dalle strutture organizzate, percepite come inutili perché bastiamo a noi stessi.
Per dare una definizione, possiamo descrivere come patchwork religion il fenomeno che induce un sempre più rilevante numero di persone a prendere in prestito elementi da svariate tradizioni religiose e da movimenti esoterici e spiritualisti per creare la propria fede/spiritualità individuale. Andiamo così oltre al cristianesimo.
Tra questi elementi le regole della tavola, e quelle riconducibili alle privazioni alimentari, possono avere ed effettivamente hanno un ruolo niente affatto marginale.
Pensiamo alla Fastenwoche (settimana del digiuno), ideata da Otto Buchinger (1878-1966) e piuttosto diffusa in Germania e in Austria: ai partecipanti è richiesto di nutrirsi di soli liquidi come succhi di frutta, tè e una Fastensuppe (zuppa del digiuno) costituita da acqua senza sale nella quale sono messe a bollire varie verdure. Si aggiunge una significativa attività fisica, passeggiate fino a raggiungere la ragguardevole distanza di centocinquanta km nella settimana. Si vive in stretto contatto, dividendo camere doppie con degli sconosciuti e affidandosi, in definitiva, a un digiuno per il benessere privo di medicine.
In iniziative di simile tenore sono compresi rituali di purificazione, come quelli pensati per il cosiddetto «digiuno olistico», per il quale non è previsto solo il rifiuto temporaneo di qualsiasi cibo solido, ma anche l’ingestione di ingenti quantità di liquidi e l’uso di pratiche più radicali di lavaggio dell’intestino, come il clistere.
Chi ha sperimentato tali esperienze ha parlato di «purificazione rituale», alla quale non sono estranei il rifiuto della società dei consumi e l’impegno ecologico. Quest’ultimo consente di affiancare alle volontarie restrizioni della mensa l’attività fisica all’aria aperta e la scelta, terminata la Fastenwoche o comunque il periodo di «purificazione», dell’astinenza da ogni tipo di cibo non biologico o a km zero.
Altre esperienze paragonabili sono quelle del cosiddetto digiuno interreligioso, proposte ancora una volta in Germania e talvolta utilizzando gli spazi di antichi monasteri. Ci limitiamo a richiamarne una in particolare, condotta da una guida spirituale ispiratasi a quattro diverse tradizioni: cristiana, indiana di Sai Baba, buddhista tibetana del Dalai Lama e giapponese del Reiki.
In casi simili non siamo certo di fronte a una riproposizione delle antiche tradizioni monastiche, ma a qualcosa di nuovo, alla trasformazione di una pratica antichissima che mantiene la propria connotazione religiosa, dunque non solo spirituale, reinterpretandola e riconoscendo a chi propone questo tipo di offerte una dimensione missionaria, intesa come opportunità d’incontro.
da “Venerdì pesce. Digiuno e cristianesimo”, di Claudio Ferlan, Il Mulino, 2021, pagine 200, euro 15