Rapporto francoCome cambierà la relazione Italia-Turchia dopo che Draghi ha definito Erdogan un dittatore

«Non è nell’interesse di Ankara alienarsi le relazioni con il nostro Paese o con l’Europa in una fase di rilancio del dialogo con Bruxelles», spiega Valeria Talbot dell’Istituto per gli studi di politica internazionale

Pixabay

«Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, bisogna essere franchi per affermare la propria posizione ma anche pronti a cooperare per gli interessi del proprio Paese, bisogna trovare l’equilibrio giusto». Sono queste le parole pronunciate in conferenza stampa dal premier Mario Draghi che hanno causato l’ultima crisi diplomatica tra Italia e Turchia. 

L’esternazione del presidente del Consiglio ha subito creato scompiglio in quanto possono compromettere non solo le relazioni tra l’Italia e Turchia, ma anche quella tra Ankara e Bruxelles in un momento in cui i rapporti tra le due parti sono già particolarmente tesi. 

Le affermazioni di Draghi sono arrivate dopo l’incidente diplomatico legato alla visita dei presidenti di Consiglio e Commissione Ue ad Ankara, il cui viaggio si è improvvisamente trasformato in un momento di imbarazzo per l’Unione. «Mi è dispiaciuto moltissimo per l’umiliazione che la presidente della Commissione europea ha dovuto subire», ha infatti affermato Draghi in merito alla sedia negata a Ursula von der Leyen durante l’incontro con il presidente turco. Proprio dalla richiesta di un commento sulla vicenda è partito poi l’affondo del presidente del Consiglio contro Recep Tayyip Erdogan, definito senza giri di parole un dittatore necessario. 

Il primo a condannare le parole di Draghi è stato il vicepresidente turco, Fuat Oktay, che su Twitter ha definito «sfrontate e scandalose» le affermazioni dirette «al nostro presidente che per tutta la sua vita ha fatto gli interessi del suo Paese e della sua nazione e ha vinto ogni elezione con grande fiducia da parte del popolo». A stretto giro è arrivata anche la reazione del Ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, che ha convocato l’ambasciatore italiano ad Ankara Massimo Gaiani e definito «populista e inaccettabile» quanto detto del «premier italiano nominato» (e non eletto, a differenza di Erdogan).

Le parole di Draghi, come era prevedibile, hanno messo in allerta anche Bruxelles. Interrogato sulla posizione europea in merito alle affermazioni del presidente del Consiglio italiano, il portavoce della Commissione Ue ha cercato di smorzare i toni ricordando che la Turchia è «un Paese che ha un parlamento eletto e un presidente eletto», aggiungendo che «non spetta all’Ue qualificare un sistema o una persona» e che le preoccupazioni europee «riguardano la libertà di espressione, i diritti fondamentali, la situazione del sistema giudiziario».

Ma che effetti potrebbero avere le dichiarazioni di Draghi sui rapporti della Turchia con l’Ue e la stessa Italia? 

Come ricorda a Linkiesta Valeria Talbot, co-head del MENA Centre dell’ISPI, l’incontro del 6 aprile ad Ankara serviva proprio per ridare slancio al dialogo tra Ue e Turchia e per alla cooperazione in vari settori dopo lo stop dell’ultimo anno a causa delle tensioni nel Mediterraneo orientale. Un dialogo su cui l’Italia stessa ha investito, spendendosi a favore della linea diplomatica e contribuendo ad arginare i Paesi che chiedevano l’adozione di una posizione intransigente. «È nell’interesse sia dell’Ue che della Turchia portare avanti il dialogo e la cooperazione, quindi c’è da aspettarsi che si continui su questa linea. Le affermazioni di Draghi sono tese a dire che abbiamo un rapporto franco con Ankara, che dobbiamo cooperare perché ci sono interessi in gioco». Nonostante la situazione interna del Paese anatolico. 

Anche sul piano delle relazioni tra Italia e Turchia, secondo Talbot, ci saranno ben pochi cambiamenti. «Le relazioni economiche tra i due Paesi sono solide e la debolezza economica e della lira turca sono entrambi fattori alla base di tante valutazioni da parte della Turchia. Lo spettro di una crisi valutaria sulla scia di quella del 2018 non è stato eliminato, quindi questa posizione di debolezza spinge la Turchia a guardare verso l’Ue, che resta primo partner commerciale. L’Italia poi è uno dei principali partner quindi non è nell’interesse di Ankara alienarsi le relazioni con il nostro Paese o con l’Europa in una fase di rilancio del dialogo con Bruxelles». 

Draghi inoltre sa di poter contare sull’appoggio degli Stati Uniti nel condannare con tanta fermezza il comportamento di Erdogan. «Joe Biden ha inaugurato la sua presidenza puntando sul sostegno ai diritti umani, elevati a principio inalienabile nei rapporti e nelle relazioni esterne degli Usa». Il presidente americano vuole infatti creare una rete di alleanze tra i Paesi democratici del mondo, facendo del rispetto dei diritti lo spartiacque tra nazioni amiche e nemiche degli Stati Uniti.  

A ridimensionare l’impatto delle parole di Draghi sulle relazioni con la Turchia è anche Silvia Colombo – responsabile di ricerca del programma Mediterraneo e Medio Oriente presso lo Iai – che pone invece l’accento sui problemi interni dell’Unione. Facendo riferimento al sofa-gate, vicenda alla base delle affermazioni del premier, Colombo evidenzia l’incapacità dell’Ue di veicolare un messaggio chiaro su sé stessa e su che tipo di attore vuole essere a livello geopolitico. «Prima di tutto non si capisce quali siano questi messaggi e chi sia la figura cui spetta il compito di veicolarli, come si è visto ad Ankara. Questa confusione sui ruoli ha lasciato spazio a personaggi come Erdogan che si sono approfittati della mancanza non solo di presenza, ma anche di chiarezza da parte europea». 

La questione della Turchia è poi particolarmente rilevante in quanto legata a dossier importanti per l’Unione, data la presenza turca nel vicinato europeo. «L’Europa si sta allontanando dalla Turchia e questo modo di gestire relazioni le impedisce di trovare un coordinamento costruttivo sui vari dossier, in primis quello libico. Ankara ha fatto la sua parte sconfiggendo il maresciallo Khalifa Haftar e ora si aspetta che l’Europa faccia la sua». Più che alle parole di Draghi o all’incidente diplomatico di Ankara, quindi, ciò che bisogna tenere in considerazione è il reale stato delle relazioni tra le parti e quanto intrecciati siano sul campo gli interessi di Ue e Turchia. 

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