Poco rinnovabiliEolico e solare non riescono (ancora) ad arginare la dipendenza da carbone

L’energia pulita cresce a livello globale ma non abbastanza da tenere il passo con la domanda di elettricità. La Cina, primo inquinatore al mondo, nel 2020 ha generato il 53% dell’energia attraverso il combustibile fossile

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L’energia pulita è il futuro. La questione ormai è assodata, ripetuta e recepita a livello globale. Quando però questo avverrà, ancora non è dato saperlo. L’analisi del think tank ambientale Ember “Global Electricity Review 2021” lancia infatti un allarme: l’energia pulita non viene ancora costruita abbastanza velocemente da tenere il passo con la crescente domanda di elettricità, favorendo ancora i combustibili fossili tra cui il carbone.

In altre parole, eolico e solare stanno contribuendo ad arginare l’utilizzo del carbone come fonte di generazione di elettricità, ma non abbastanza da ridurre le emissioni complessive. Nel 2019, secondo un rapporto del think-tank sul clima Sandbag in collaborazione con Agora Energiewende, si è registrata una riduzione di energia da centrali a carbone del 3 per cento, nonostante la dipendenza della Cina da questa energia sia aumentata.

Il vero calo si è registrato in Europa e negli Stati Uniti dove la produzione di carbone si è dimezzata dal 2007 a oggi, diminuendo l’anno scorso rispettivamente di quasi un quarto nell’Ue e del 16 per cento in America. Il merito è anche dell’aumento della generazione eolica e solare: secondo il “Global Electricity Review 2021” anche nel 2020 è infatti salita del 15 per cento e combinata con la pandemia ha brevemente arrestato la crescita della domanda di energia, portando a un calo record della produzione di carbone.

Nel totale, le energie rinnovabili messe insieme hanno fornito quasi un decimo dell’elettricità totale globale lo scorso anno, circa il doppio della quota di solo cinque anni prima. In Germania per esempio l’eolico e il solare hanno fornito insieme il 33 per cento dell’energia elettrica lo scorso anno, e il 29 per cento nel Regno Unito.

Tuttavia, nel 2020 non ci sono soltanto i record di eolico e solare. C’è anche tanto carbone. La Cina, primo inquinatore e seconda economia al mondo, nell’anno della pandemia ha generato il 53 per cento dell’energia mondiale ottenuta dal carbone. Un trend in netto aumento. Cinque anni fa – all’indomani dell’accordo di Parigi sul clima – questa percentuale si fermava al 44 per cento.

Sebbene la Cina abbia aggiunto un record di 71,7 GW di energia eolica e 48,2 GW di solare lo scorso anno, è stata l’unica nazione del G20 a vedere un aumento significativo nella generazione a carbone, ha affermato Ember. «Con la ripresa e l’aumento della domanda di elettricità, il mondo dovrà fare molto di più per garantire che il carbone continui a diminuire», spiega Dave Jones di Ember. «Con l’utilizzo del carbone già in aumento nel 2021 in Cina, India e Stati Uniti, è chiaro che il grande passo in avanti deve ancora avvenire».

La gara tra rinnovabili e combustibili fossili rimane comunque aperta: a livello globale la richiesta di carbone è stata fiacca negli ultimi anni, principalmente a causa della transizione energetica, e secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (IEA) la domanda mondiale di carbone è diminuita dell’1,8 per cento nel 2019 (nonostante un aumento dei consumi in Cina e nel Sud-est asiatico). Nel 2017 e nel 2018 era cresciuta di circa l’1 per cento.

Nonostante ciò, nel 2020 le emissioni totali del settore energetico sono state comunque del 2% superiori rispetto al 2015. «Il progresso non è neanche lontanamente abbastanza veloce – svela ancora Dave Jones. L’energia del carbone deve crollare dell’80 per cento entro il 2030 per evitare pericolosi livelli di riscaldamento superiori a 1,5 gradi».

Anche Michelle Manook, amministratrice delegata della World Coal Association, avverte che in «Asia ci sono un sacco di nuovi e diversi private equity, o anche finanziatori interessati a sostenere progetti sul carbone per lo sviluppo economico asiatico».

Oltre al mondo asiatico, per definizione il più inquinatore, nella lista nera compare anche l’Australia. Secondo un report dell’Australian Conservation Foundation, conteggiando anche le emissioni indotte dagli export di carbone e gas naturale liquido, il Paese diverrebbe uno dei principali inquinatori mondiali (con il 17% delle emissioni mondiali). Solo nello Stato del New South Wales, al centro delle polemiche di queste settimane, sono previsti 23 progetti sul carbone, tra aperture di nuove miniere ed espansione di siti già in uso. In tutto, se venissero approvati garantirebbero un aumento della produzione di oltre 150 milioni di tonnellate l’anno.

Tutto questo nonostante le centrali a carbone del Paese stiano chiudendo i battenti. Secondo Green Energy Markets e l’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, già entro il 2025 cinque delle 16 centrali a carbone potrebbero essere costrette a cessare le attività perché messe fuori mercato dalla competizione con le fonti rinnovabili.

Il ministro per le Risorse australiano Keith Pitt, però, difende a spada tratta la fonte fossile, immedesimandosi perfettamente nella dicotomia che divide ancora l’economia globale: «L’estrazione del carbone rimarrà una grande industria per l’Australia per i decenni a venire. Sta generando energia in molti paesi in via di sviluppo per fornire servizi essenziali e opportunità economiche che aiutano a sollevare le persone dalla povertà».

Infine, il rapporto Ember specifica che «la transizione globale dell’elettricità è in rotta di collisione con gli obiettivi climatici. Anche se l’eolico e il solare sono saliti a quasi un decimo dell’elettricità mondiale, la loro crescita è rallentata negli ultimi anni. Questo ritmo lento e la mancanza di ambizione sta bloccando la fine della dipendenza dai combustibili fossili».