Dopo l’episodio di Joe Biden, che ha pubblicamente convenuto sul fatto che Vladimir Putin sia un assassino, qualche giorno fa è toccato a Mario Draghi, che ha chiamato «dittatore» Recep Tayyip Erdoğan, trovarsi nella stessa scomoda posizione e finire incolpato non di mendacio, ma di un uso sconveniente della verità.
Ci sono molte ragioni onorevoli e in senso lato “professionali” per cui un politico dovrebbe usare prudenza nel qualificare amici e avversari in modo eccessivamente disinvolto, cioè senza badare agli effetti delle parole sulle cose. Peraltro, una verità pronunciata con leggerezza, al solo fine di averne un vantaggio (anche solo reputazionale) e non di trarne conseguenze coerenti sul piano dei fatti, è sempre una verità dissipata nell’incoerenza e nell’irrilevanza. La buona coscienza a buon mercato è, per certi versi, l’opposto dell’etica della responsabilità.
Ma nelle parole di Biden e di Draghi – e nell’orgoglio e nel sollievo che soprattutto le prime hanno suscitato in milioni di occidentali, sull’una e sull’altra sponda dell’Atlantico – è anche possibile leggere qualcosa di molto più serio e profondo, cioè una reazione cosciente alla deriva agnostica o conformistica della democrazia e alla crisi culturale e economica del suo modello, che ormai minaccia dall’interno e non solo dall’esterno la costituzione politica dell’Occidente.
La democrazia, cioè, più precisamente, la liberal-democrazia non è un regime politico come un altro, cioè non è semplicemente un sistema che, alla pari degli altri, anche se con regole diverse e più “umane”, organizza il funzionamento del potere politico. È un regime fondato sull’esigenza del controllo e della limitazione del potere, in nome della libertà.
La forza della differenza e dello scandalo, che la democrazia rappresenta e porta con sé, è tutta in questa dialettica instaurata tra la politica e il potere, per una superiore esigenza di tutela della libertà umana. Laddove la politica e il potere coincidono – cioè dove non c’è politica fuori o contro i palazzi del potere – anche la verità coincide con il potere e quindi la menzogna diventa verità di Stato.
In questo quadro, le parole di Biden, come quelle di Draghi, cessano di apparire puri orpelli o scivoloni retorici e diventano denuncia dell’impostura e della menzogna che il potere assoluto, cioè incontrollato, porta con sé e soprattutto affermazione del legame inscindibile tra la libertà degli uomini e la libertà di dire la verità, dentro e fuori dal campo della politica.
A costo di sembrare troppo ottimista, voglio sperare che ad avere mosso le parole di Biden e di Draghi non siano stati la smargiasseria in un caso e l’inesperienza nell’altro, ma la preoccupazione che, anche dalle nostre parti, qualcuno a quelle verità di stato di Mosca e di Ankara abbia iniziato a credere e pensi quindi che sia vero, proprio vero, che Putin è il caro leader del popolo russo e Erdoğan un capo democratico un po’ manesco, ma tutto sommato accettabile.
E che la democrazia, in fondo, possa avere anche la forma di un potere plebiscitato da grandi masse manovrate, intimidite e condizionate dalla minaccia e dalla violenza. Quelle parole rischiose di Biden e di Draghi suonano la sveglia alle democrazie addormentate.