I corvi e la faida tra magistratiL’indagine sui verbali consegnati a Davigo

Repubblica e Corriere raccontano delle deposizioni dell’avvocato Amara consegnate all’allora membro del Consiglio superiore della magistratura. Le presunte rivelazioni chiamavano in causa l’ex premier Giuseppe Conte e vertici di uffici giudiziari

Atti giudiziari coperti da segreto, lettere anonime, calunnie: un nuovo scandalo rischia di investire il Consiglio superiore della magistratura e di avvelenare ulteriormente il clima di alcune Procure, prima fra tutte quella di Milano. Perché è stato proprio un pm di questo ufficio, Paolo Storari, a consegnare i verbali ancora segreti con le deposizioni dell’avvocato siciliano Piero Amara all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Un anno fa. Senza informare i propri capi, a partire dal procuratore Francesco Greco.

Per un anno, come raccontano oggi Repubblica e Corriere, mentre il Consiglio superiore della magistratura era alle prese con la vicenda Palamara, mani diverse veicolavano all’interno dello stesso Csm, e anche alle redazioni dei giornali, atti riservati di indagine (coperti da segreto istruttorio) che chiamavano in causa l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, i vertici di alcuni uffici giudiziari e dei più importanti apparati istituzionali del Paese. In quei verbali si trovano le deposizioni di uno degli uomini dello scandalo che nell’estate del 2019 ha travolto pezzi di potere giudiziario e politico italiano: l’avvocato siciliano Piero Amara.

Il caso, di cui si discuterà oggi nel corso dell’appuntamento di LinkiestaTalks “Per una giustizia liberale e democratica”, comincia a fine 2019. Quando, davanti ai pm di Milano, Amara ha raccontato fatti al momento assolutamente non riscontrati: decine di pagine di verbali nelle quali fa nomi di altissimi magistrati, politici, organi istituzionali riuniti in una loggia segreta: “Ungheria”. E accusa l’allora premier Conte di aver avuto consulenze d’oro e vantaggi, dal gruppo, quando era soltanto un autorevole avvocato civilista. «Solo calunnie, di cui chiederò conto in ogni sede», ha risposto l’ex premier.

I primi a conoscere i segreti di Amara sono due pubblici ministeri di Milano, titolari dell’indagine: Paolo Storari e Laura Pedio. Secondo la ricostruzione che fanno oggi le procure, uno dei pm, Paolo Storari, decide di portare quel materiale a Roma, nel cuore del Csm, affidandolo nelle mani dell’allora consigliere Piercamillo Davigo, che conosce da sempre. È la primavera del 2020, tra marzo e aprile: Storari lascia a Davigo i verbali in cui si parla di vari magistrati e anche del Consiglio superiore. Una mossa del tutto irrituale. Ma il pm ha spiegato davanti al suo capo Francesco Greco, racconta Repubblica, di aver compiuto quella scelta perché preoccupato dall’«immobilismo» che registrava intorno a quelle accuse.

Secondo quanto riporta il Corriere, Storari premeva perché si procedesse a iscrizioni formali, ravvisando che gravissimi potessero essere i fatti se veri, e gravissima la calunnia se si fossero rivelati falsi. Greco, De Pasquale e Pedio ritenevano invece più opportuno attendere o non procedere ad iscrizioni formali. E per questo, passati alcuni mesi, Storari avrebbe scelto di confidarsi con una figura istituzionale come il consigliere Csm Davigo.

Quello che sorprende, tuttavia, è il silenzio (almeno in apparenza) di Davigo, dopo aver ricevuto quel plico. Da aprile a ottobre 2020, mese in cui Davigo lascia il Csm per raggiunti limiti di età, l’ex consigliere non rivelerebbe a nessuno della visita di Storari. Avrebbe parlato però – «in maniera assolutamente generica e vaga», scrive Repubblica – con il vicepresidente David Ermini di una indagine a Milano che potrebbe coinvolgere nomi importanti. Il Corriere ha chiesto a Davigo se dunque sia vero che Storari gli abbia confidato le divergenze in Procura e portato i verbali con la motivazione di volersi tutelare dai colleghi: «Sì, è vero», risponde. «Il segreto non è opponibile ai componenti il Csm. E io ho subito informato chi di dovere». Cioè il vicepresidente Ermini o l’ufficio di presidenza del Csm? «Ho ho informato chi di dovere», ribadisce. Greco, interpellato, non commenta.

Ma agli atti c’è soltanto la rottura di Davigo con il collega di Csm Sebastiano Ardita, con cui nel 2015 aveva contribuito a fondare la corrente Autonomia&indipendenza. Il nome di Ardita è nei verbali che Davigo riceve.

Alla fine del 2020, la procura di Milano decide di inviare per competenza a una serie di procure le confessioni dell’avvocato Amara affinché vengano effettuati i riscontri del caso. A Roma, però, negli uffici del Consiglio superiore della magistratura c’è chi teme che quelle parole rimangano lettera morta. Secondo la ricostruzione che ne fa la procura di Roma, una su tutte: Marcella Contrafatto, funzionaria storica del Consiglio superiore della magistratura, compagna di un importante magistrato romano e fino a qualche giorno prima nella segreteria del consigliere Davigo. Secondo le indagini dei pm di Roma, è Contrafatto a far recapitare al Fatto Quotidiano un plico con i verbali di Amara. Lo stesso plico che qualche settimana dopo verrà consegnato anche al consigliere del Csm Nino Di Matteo. E, infine, a inizio 2021, le stesse carte arrivano anche alla redazione di Repubblica.

Le indagini non hanno accertato come la Contrafatto sia venuta in possesso del plico consegnato da Storari a Davigo. Né perché si sarebbe preoccupata di fare da “postina” con i giornali. Certo è che la donna ha ottimi rapporti personali con Fabrizio Centofanti, faccendiere accusato di essere uno dei corruttori di Luca Palamara. Uno di quelli, insomma, che aveva interesse a far crollare il sistema. Le denunce dei giornalisti

I giornalisti che ricevono il plico mangiano, però, si accorgono che i verbali non sono firmati. Al Fatto Quotidiano il fascicolo finisce sul tavolo di Antonio Massari che li consegna alla procura di Milano per gli accertamenti del caso. A Repubblica , mesi dopo, arriva un plico simile (con due verbali in meno, però, rispetto all’altro quotidiano) a Liana Milella che denuncia i fatti alla procura di Roma. Dopo le denunce la Guardia di Finanza si muove e identifica quella che ritengono essere il corvo: la funzionaria Contrafatto, appunto.

Il dossier non è stato inviato soltanto ai giornalisti. È anche sul tavolo di alcuni consiglieri del Csm. Di uno certamente: Nino Di Matteo. Quando Di Matteo lo riceve accompagnato da una lunga lettera anonima nella quale si denuncia il presunto immobilismo della magistratura sull’argomento – l’ex pm di Palermo lo mostra per primo a un collega, Sebastiano Ardita. E lo fa perché, come si è detto, in un verbale Amara cita espressamente Ardita.

Fin quando, nel marzo scorso, lo stesso Di Matteo informa il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, di aver ricevuto quello strano plico. Glielo dice in occasione dell’audizione di Cantone al Consiglio, quando è chiamato a parlare della vicenda Palamara. Cantone immediatamente si mette in contatto con il vertice della procura romana Michele Prestipino. E l’indagine – che si muove sull’asse Milano-Perugia-Roma – ha un’accelerazione. La Finanza individua la Contrafatto. La interroga. E arriviamo così a mercoledì 28 aprile. Il Consiglio si riunisce in mattinata. Il primo a prendere la parola è proprio Di Matteo: «Ritengo doveroso rendere edotto il Consiglio di una vicenda che ritengo importante. Nei mesi scorsi ho ricevuto un plico anonimo recapitatomi tramite spedizione postale contenente una copia informale e priva di sottoscrizioni di interrogatorio di un indagato risalente al dicembre del 2019 innanzi a un’autorità giudiziaria. Nella lettera anonima che accompagnava il documento quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto. Nel contesto dell’interrogatorio l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria se non un consigliere di questo organo. Auspico pertanto che le indagini in corso possano far luce sugli autori e sulle reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima all’interno di questo Consiglio superiore».

I pm di Perugia avviano una serie di verifiche. Dunque, scatta l’inchiesta. Il procuratore Cantone è la lavoro. E alcune toghe sarebbero, anche a loro tutela, già indagate.