Scenari d’ufficioCome sarà il mondo del lavoro dopo la pandemia (ancora in città)

Da un articolo del Financial Times emerge che non c’è stato alcun esodo di massa dai principali hub professionali e che molte persone hanno scelto di rimanere nelle grandi centri. La tendenza è maggiore flessibilità, e alla lunga potrebbero beneficiarne le periferie, visto che tra i lavoratori europei è scoppiato il fenomeno del “working near home”

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Cercasi lavoratori flessibili. È questo il messaggio che in tutto il mondo, da Tokyo a Bordeaux, potrebbe ridefinire i rapporti professionali. Un articolo del Financial Times cerca di immaginare quali saranno gli post-pandemici, visto che il presente sta lasciando i lavoratori in uno stato di confusione. La tesi del quotidiano è semplice e forse banale: «per il momento non è possibile determinare il futuro del lavoro a lungo termine». Ma i possibili scenari, invece, sì, e banali non sono.

Parte del panorama del mondo del lavoro post-pandemia sta infatti iniziando a emergere e le tendenze sono chiare: «Non c’è stato alcun esodo di massa dai principali hub: capitali come Londra, Parigi e Tokyo hanno registrato flussi di uscita variabili nell’ultimo anno, e spesso le persone che si trasferiscono scelgono di rimanere nell’orbita delle grandi città», si legge nell’articolo. Le grandi città sono ancora attraenti e la vita cittadina è più economica di prima. «Sono scettico e difficilmente vedremo un cambiamento globale», afferma Andrew Carter, amministratore delegato di Center for Cities, un think tank di politica urbana, al quotidiano britannico.

È vero: molti giovani si sono rifugiati nelle case dei genitori, o in case con affitti più economici fuori dalla capitale o dal principale centro economico che li aveva attirati prima di marzo 2020. Ma ancora per quanto? Mentre il Regno Unito si prepara ad allentare le restrizioni, le persone stanno infatti tornando a vivere nelle città per approfittare degli affitti ridotti.

Secondo l’analisi del portale immobiliare Rightmove per la BBC, gli affittuari stanno ora cercando di più nelle zone uno e due del centro di Londra, rispetto alla maggiore domanda nella zona tre di agosto. Mentre un recente studio della London School of Economics sulla pandemia e sul mercato immobiliare ha rilevato invece che alcuni dei maggiori aumenti di prezzo nel 2020 rispetto al 2019 riguardano proprio le case unifamiliari vicine al centro di Londra. «Le città, che sono state costruite 12.500 anni fa, sono “sopravvissute” a innumerevoli catastrofi naturali, epidemie o pandemie», afferma lo studio. «Mentre a lungo termine, diciamo tra cinque a 10 anni, alcuni adattamenti, come l’uso di Zoom o più lavoro da casa, potrebbero conservarsi, le città si riprenderanno dalla pandemia di Covid-19 e le persone continueranno comunque a viverci».

Londra, tuttavia, ha perso molti lavoratori stranieri. Circa 700.000 persone nate all’estero hanno lasciato la capitale britannica lo scorso anno a causa della pandemia e della Brexit. Attirare nuovi migranti economici però non sarà così difficile: la campagna di vaccinazione imponente potrebbe essere percepita come vantaggio e la nazione come un “rifugio sicuro”.

Inoltre, spiega ancora l’articolo, a fare leva sulle prossime scelte di dipendenti e liberi professionisti sarà l’opzione di lavorare vicino a casa. La tendenza più grande è infatti il working near homedove spazi di lavoro accolgono i residenti che vogliono uscire di casa ma non vogliono spostarsi nel centro della città. Business First, un fornitore di spazi di lavoro, ha nove sedi nelle città intorno a Manchester. Sarah Fretwell, il suo direttore, afferma che durante la pandemia l’occupazione di questi uffici ha sfiorato il 90%.

Un altro esempio virtuoso è quello irlandese: il governo ha appena svelato un piano per incoraggiare il trasferimento dei cittadini dalle principali città al resto del Paese, che prevede anche la creazione di una rete di oltre 400 centri di lavoro a distanza e agevolazioni fiscali per individui e aziende che supportano lo smart working.

Il nuovo fenomeno si sta diffondendo anche in altre città, come New York, ed è qualcosa da cui i fornitori di coworking possono trarre vantaggio. Debra Moritz, responsabile della consulenza strategica per Cushman & Wakefield con sede a Chicago, stima che il numero di dipendenti che lavoreranno interamente fuori sede raddoppierà dal 5%, mentre un altro 10-20% lavorerà in ufficio cinque giorni alla settimana. Il resto dividerà il tempo tra casa e ufficio.

In Europa una buona infrastruttura di trasporto e la voglia di lavorare da casa hanno portato a un aumento delle persone che risiedono fuori dal centro di Parigi e Berlino. Di conseguenza alcune città hanno aumentato il loro marketing per attirare coloro che cercano di fare una scelta permanente. In Germania, per esempio, la pandemia ha cambiato l’atteggiamento nei confronti del lavoro a casa: un sondaggio condotto su 500 aziende dall’Istituto Fraunhofer e dall’Associazione tedesca per la gestione delle risorse umane ha rilevato che il 90% delle aziende è disponibile a offrire ai propri dipendenti più opzioni per lavorare da casa.

Angela Million, capo del dipartimento di pianificazione urbana e regionale presso l’Università tecnica di Berlino, ha affermato che città come Brandeburgo sull’Havel, a circa 70 km a ovest di Berlino, potrebbero potrebbero diventare molto più attraenti rispetto al passato, così come altre città di medie dimensioni. Ma modelli simili stanno emergendo anche in grandi città tedesche, come Amburgo e Hannover.

«Quando devi andare in ufficio solo due volte a settimana, puoi davvero espandere il raggio della tua ricerca di un appartamento», spiega Matthias Günther, economista presso il Pestel Institute, al FT. Stessa storia per Parigi. Circa un parigino su dieci ha abbandonato la capitale durante il primo lockdown, secondo l’istituto nazionale di statistica francese, e solo una piccola frazione – 4.000 su 208.000 – è tornata. Le aziende, di conseguenza, sono diventate più flessibili nel rispondere al crescente desiderio dei parigini di vivere in aree più remote, e alcune di esse hanno persino deciso di aprire secondi uffici o spostare la loro sede in una città succursale.

C’è poi il fattore cultura del lavoro. «La pandemia ha messo in luce le inefficienze della vita lavorativa tradizionale incentrata sul presenzialismo e sui lunghi spostamenti» spiega l’articolo. In Giappone, per esempio, «il telelavoro e gli uffici satellite sono sbocciati presso società lungimiranti come Fujitsu (azienda tecnologica), ma il cambiamento è stato più lento nelle piccole imprese prive di infrastrutture e mentalità manageriale», si legge ancora.  Recenti sondaggi mostrano che più di tre quarti dei dipendenti delle aziende giapponesi devono ancora adottare lo smart working.

Ma chi lo ha fatto difficilmente riuscirà a tornare indietro. «Non riesco a pensare di tornare di nuovo in ufficio», confida la quotidiano Junko Okuyama, che da un anno non vede di persona i suoi clienti e non frequenta l’ufficio a Tokyo. «Sia che le persone decidano di allontanarsi dalle città o di rimanere in un’orbita ravvicinata, un aspetto positivo del lavoro da o vicino a casa è che le persone sono molto più legate ai loro quartieri» afferma infine Lynda Gratton, professoressa di management practice alla London Business School. «Mi piacerebbe che le città riuscissero a capirlo».

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