«Salvini? Non faccio mai polemica, ma penso che nessuno dovrebbe soffiare sul fuoco dell’inquietudine, del tormento di tanti italiani. Di fronte alla difesa della salute dobbiamo unire il Paese e non dividerlo, perché la battaglia è ancora complicata». In un’intervista al Corriere, il ministro della Salute Roberto Speranza risponde così alle polemiche del leader della Lega che lo accusa di aver chiuso l’Italia.
«Vedo bene che un bel pezzo di Paese è in forte sofferenza», ammette il ministro. «Sono consapevole che ogni mia scelta provoca un sacrificio e che ci sono settori in grande difficoltà, per cui ritengo che sostegni economici mirati siano fondamentali. Ma la maggior parte degli italiani capisce che queste misure, per quanto costose e dolorose, sono necessarie e io le assumo con animo sereno. Tutelare la vita non è un lavoro sporco, ho giurato sulla Costituzione per questo».
Ma «sono scettico», aggiunge, sul «derby tra rigoristi e aperturisti» nel governo. «Il quadro è ancora molto serio e il punto è adeguare le misure alla situazione epidemiologica. La principale preoccupazione sono le varianti, quella inglese è arrivata all’86,7% di prevalenza e ha una capacità diffusiva maggiore del 37% rispetto al ceppo originario. Le misure rigorose sono una risposta necessaria, come scrive l’Iss».
Ma perché chiudere i ristoranti, visto che la situazione è diversa tra una regione e un’altra? «I nostri scienziati ritengono che con queste varianti le zone gialle non siano in grado di piegare la curva. Potranno tornare solo quando avremo raggiunto un livello sufficiente di vaccinazioni».
Ma nessun rigorismo ideologico, spiega: «Se sono ideologico io, lo sono anche Merkel, Macron e tutti i ministri della Salute del mondo costretti a firmare restrizioni. Qui l’ideologia non c’entra nulla, ogni misura è ponderata sulla base dei dati scientifici. Fidiamoci della scienza, che ci ha sempre guidati in questo anno difficile».
Quanto al «tagliando» a metà aprile chiesto da Lega e Forza Italia, che ora sperano nella mediazione di Draghi, dice: «Nel decreto non c’è nessun automatismo, c’è l’impegno a valutare costantemente i dati, come facciamo ogni settimana. Il presidente Draghi sta tenendo una posizione di grande realismo e pragmatismo, vuole programmare con fiducia il futuro, ma fronteggiando duramente l’epidemia. Dobbiamo avere il coraggio della verità, non illudere le persone. Abbiamo 3.700 letti di terapia intensiva occupati, un dato molto alto che deve diminuire».
Perché non fissare una data per le riaperture? «Dobbiamo dire la verità, non possiamo suscitare illusioni che finiscono per rivelarsi un boomerang. Io però sono ottimista, grazie ai sacrifici di queste settimane e all’accelerazione della campagna di vaccinazione, già nella seconda parte della primavera vedremo risultati incoraggianti e staremo meglio». Ma «non c’è una data in cui tutto magicamente finisce, ci vorrà molta gradualità. La cabina di monitoraggio verifica costantemente l’evoluzione epidemiologia, è probabile che alcuni territori rossi possano passare in arancione. In questo momento parlare di area gialla è sbagliato perché i nostri scienziati ritengono non sia sufficiente a contenere il contagio con questo livello di vaccinazione».
Il problema è che, nonostante gli sforzi di Figliuolo e Curcio, la campagna vaccinale è ancora indietro. «La vaccinazione è l’arma decisiva per chiudere questa fase così difficile. Abbiamo superato le 280mila dosi somministrate in un giorno e non c’è dubbio che dobbiamo accelerare ancora di più», dice il ministro. Ma mancano ancora le dosi, come denunciano i presidenti delle Regioni.
«Stiamo facendo tutte le pressioni possibili perché le case farmaceutiche rispettino gli impegni», spiega Speranza. «Nella seconda metà di aprile avremo finalmente le prime forniture di Johnson&Johnson, importante perché dà l’immunità con una dose sola. Ci aspettiamo oltre 50 milioni di dosi nel secondo trimestre e 80 nel terzo, che ci consentiranno una vera accelerazione».
La promessa, prima di Draghi, poi di Figliuolo, è di arrivare ad aprile saremmo a 500mila somministrazioni al giorno. Ma siamo ancora a metà strada. «Abbiamo firmato intese con medici di medicina generale, specializzandi, specialisti ambulatoriali, odontoiatri e pediatri di libera scelta», spiega Speranza. «Sono 160mila medici. Ci sono i 270mila infermieri del Sistema sanitario nazionale che ora possono vaccinare fuori dal loro orario di lavoro e stiamo formando 19mila farmacisti. Con queste forze spero raggiungeremo al più presto il traguardo delle 500mila somministrazioni al giorno, indicato dal generale Figliuolo».
Ma una deadline, alla fine, il ministro la indica: «È realistico che entro fine estate ogni italiano che lo chieda sia stato vaccinato».