Non ci sono più le primarie di una voltaA Roma il Pd rischia di rompersi l’osso del collo (lo capirà?)

Qualche anno fa, la sinistra si rigenerò facendo scegliere al suo “popolo” tra veri candidati. Ma oggi il ricorso alla “gente” per legittimare con un finto plebiscito un nome (Gualtieri?) proposto da un partito indeciso per la corsa a sindaco della Capitale sarebbe solo una mossa tattica. Probabilmente sbagliata

vincenzo livieri/LaPresse

Le elezioni primarie non sono più quelle di una volta. All’epoca, era comunque un successo: giovani, vecchi, proletari, altoborghesi, disoccupati e registi di fama, partigiani, architetti e casalinghe, con il sole o con la pioggia, ci andavano tutti. Era diventato un rito della democrazia, un balsamo sulle ferite della disillusione, un raggio di sole nella stanza di un malato. Ma oggi?

Diciamo la verità: evocare le primarie per le Amministrative di Roma (e solo a Roma) sembra invece solo un modo per ammantare una scelta del gruppo dirigente del Pd di una qualche legittimazione popolare, cioè esattamente il contrario dello spirito originario delle primarie, pensate per una vera “gara” democratica fra candidati diversi: che vinca il migliore (e non sempre è stato così, Ignazio Marino non era più forte di Paolo Gentiloni o David Sassoli, ma il popolo volle così).

Ora, se Enrico Letta pensa di allestire i gazebo per consentire agli elettori del centrosinistra di fare una scelta autentica si illude. O addirittura compie una mossa tattica per chiedere una forma di legittimazione al “suo” candidato. In teoria, si tratterebbe di primarie di coalizione: solo che a Roma non esiste una coalizione. Non c’è nemmeno più quel “popolo di sinistra” che esisteva fino ad alcuni anni fa e che comunque si riconosceva in uno dei tanti partiti – appunto – della coalizione.

A prescindere dalla fattibilità tecnica (a giugno-luglio come staremo messi con la pandemia?) bisogna sapere che la sfiducia accumulatasi in questi anni verso la sinistra e, in generale, verso la politica non inducono a ritenere che ai gazebo oggi come oggi andrebbero a votare a Roma centinaia di migliaia di cittadini ma minoranze più o meno organizzate a sostegno di questo o quel candidato del Pd o di area Pd. Truppe cammellate, si diceva a sinistra un tempo. Il termine venne anche tradotto in democristianese, “truppe mastellate”.

All’epoca del bipolarismo che pareva nascere – seconda metà degli anni Novanta – le primarie italiane, lontana imitazione di quelle americane, servirono al centrosinistra per immergersi nella società dopo la lunga stagnazione-crisi degli anni post-Muro e a esaltare la sfida tra personalità diverse.

Le primarie servirono anche a prefigurare lo schema istituzionale bipolare/bipartitico, tanto che per anni si vagheggiò l’introduzione delle Primarie per legge (persino la destra in certi momenti considerò la proposta). Ma oggi i partiti non possono chiedere alla “gente” di fare quello che devono fare da soli: rigenerarsi davvero. La “gente” lo sa e si tiene alla larga. È stanca di coprire all’ombra dei gazebo magagne e contraddizioni dei partiti, e in questa epoca dominata da un’inedita ansia di concordia capisce sempre meno gli scontri di partito. Ma di che parliamo?

Concretamente, a Roma sarebbero primarie del Pd. Può darsi che i dem romani, che per varie vicissitudini sono ridotti maluccio, decidano di appellarsi ai loro elettori per scegliere il loro candidato, ma sarebbe una falsa competizione essendo chiaro a tutti che il nome forte di Roberto Gualtieri non potrebbe certo temere le varie candidature di cui si parla da mesi (con troppo spregio definiti “i sette nani”): e quindi a che servirebbero? A insignire l’ex ministro di alcune migliaia di consensi, dato che per il suo profilo certamente alto ma non esattamente “popolare” Gualtieri difficilmente sembra in grado di mobilitare una città?
Forse è per tutto questo che l’ex ministro dell’Economia non ha ancora ufficializzato la sua discesa in campo: sarebbe ragionevole tuffarsi in Primarie senza la certezza di un bagno di folla? E Letta nutre forse lo stesso dubbio?

Il sospetto, piuttosto, è che il Nazareno (giacché al di là delle chiacchiere questa è tutta una vicenda “nazionale”) pensi ancora di imbrigliare Carlo Calenda imponendogli una sconfitta già scritta stante la non parità organizzativa che comunque sussiste a tutto vantaggio del Pd. Ma Calenda, a torto o a ragione, ha già rifiutato la conta e l’ipotesi di un ritiro (se non di fronte a Francesco Totti…), quindi la sfida sarebbe tutta fra dem. Davvero poco appassionante.

Letta deve dunque scegliere entro pochi giorni se rischiare un passaggio privo di senso politico, una prova di forza che potrebbe rivelarsi una prova di debolezza, o puntare tutte le fiches su un’ipotesi di accordo con Calenda in chiave anti-Raggi per poi potersela giocare con la destra al ballottaggio. Già, questo forse è il punto vero: l’intensità di una campagna contro la sindaca grillina. Più dura con Calenda, più morbida con Gualtieri. Se non sbroglia questa ambiguità il segretario del Pd rischia davvero, come ha detto lui stesso, di «rompersi l’osso del collo». Altro che Primarie.

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