Nuovi contrattiCome risolvere la questione delle carriere dei docenti scolastici

Con il governo Conte I il dossier su assunzioni e stipendi dei professori si è complicato maggiormente, facendo aumentare anche il numero di precari. Non servono aumenti a pioggia ma diverse tipologie contrattuali, e sopratutto concorsi non solo riservati ai precari storici ma aperti anche ai giovani laureati

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Questo intervento prende spunto da due articoli usciti il primo aprile. Il primo, di Tecnica della Scuola, è un classico tra i pesci d’aprile fatti ogni anno dai giornali che si occupano di scuola: il ministro dichiara che darà un aumento di 600 euro netti al mese ai docenti. Il tema è serio e dibattuto da tempo, ma mai si è andati oltre i proclami che regolarmente si trasformano, quando i proclamanti arrivano al governo, in una sequela di vedremo, faremo il possibile, ancora un po’ di pazienza… costa troppo.

Prima di accennare a una proposta, vediamo qualche numero. Il sacrosanto recupero del potere d’acquisto per tutti costa almeno 1,5 miliardi di euro. C’è poi il dato relativo alla differenza di stipendio tra italiani e europei: Eurydice rileva che il gap non è particolarmente significativo per i neo assunti (2,5 mila euro lordi), mentre è molto consistente al termine della vita lavorativa (8-9 mila euro lordi). Un dato meno rozzo è quello della differenza tra il trattamento economico dei docenti e quello degli altri laureati dello stesso paese. Sappiamo che il corpo docente vede una concentrazione di laureati in settori disciplinari deboli sul piano occupazionale che li penalizza ovunque, ma in lItalia accade più che altrove.

Se un valore pari a 1 indica una retribuzione pari a quella degli altri laureati, la media è compresa tra 0,86 e 0,96 nei paesi OECD, mentre in Italia è tra 0,68 e 0,72. Se però guardiamo all’età scopriamo che in Italia la penalizzazione è quasi nulla sotto i 35 anni (0,93 nella secondaria), mentre nella classe 45-54 anni un docente guadagna il 60% di quanto guadagnerebbe se avesse un’occupazione diversa (l’indice è tra 0,58 e 0,62). Un ultimo indicatore utile è quello del numero di anni necessari per raggiungere il massimo della retribuzione, che in Italia sono 35 ma la media è 29. [Per approfondire rimando, ad esempio, a Liberare la scuola, vent’anni di scuole autonome e Gli insegnanti nella scuola italiana, entrambi editi da il Mulino].

Questi dati ci dicono che la politica degli aumenti a pioggia praticata fin qui è penalizzante. La strada che propongo è certamente più densa di ostacoli, ma – a differenza della scorciatoia delle facili promesse – non è un vicolo cieco. I contratti nazionali si occupino del recupero del potere d’acquisto e di adeguare lo stipendio iniziale a quello dei colleghi europei; al contempo affidiamo gli aumenti più significativi a una contrattazione decentrata profondamente ripensata e alle carriere.

Il cambio di paradigma necessario affinché gli aumenti siano economicamente sostenibili, ma soprattutto socialmente accettabili, passa attraverso la scelta di differenziare mansioni, compiti e responsabilità, a seguito di una valutazione di tipo concorsuale, fatta in ciascuna scuola o rete di scuole. Introducendo le carriere, supereremmo anche uno dei tanti paradossi che fa più a cazzotti con il buonsenso: l’unico modo che ha un bravo docente per incrementare in modo significativo la propria retribuzione è quello di smettere di insegnare e diventare dirigente scolastico. Conoscete altre professioni dove questo accade in modo così generalizzato?

E vengo così all’articolo di Gianna Fregonara per il Corriere della sera. Il titolo è “Concorso ordinario docenti, con le nuove regole i giovani rischiano di restare fuori” e ha la data del 1 aprile, ma purtroppo pesce d’aprile non è. A cosa si riferisce? Al decreto 44/2021 che opportunamente prevede per tutta la PA il via libera ai concorsi sospesi per la pandemia. Nel farlo però ha anche disposto che la prova preselettiva sia sostituita dalla sola valutazione dei titoli e del servizio, valutazione che contribuirebbe anche al punteggio finale.

Il concorso ordinario, aperto a tutti, vede più di 400 mila aspiranti (i posti sono 32 mila). Il numero di precari è cresciuto in modo abnorme negli ultimi due anni per le pessime scelte del governo Conte I, che ha cancellato il piano dei governi Renzi e Gentiloni senza però prevederne uno alternativo. Se i titoli sostituiranno la preselettiva, le nuove generazioni verrebbero escluse dal concorso vero e proprio a scapito dei loro sogni, e con essi della necessità di abbassare l’età media e immettere nel sistema competenze nuove, in particolare quelle legate al digitale e all’innovazione didattica. Un concorso peraltro semplificato: una sola prova scritta al posto di due e una prova orale che diventa «eventuale».

Se nel resto della Pubblica amministrazione questa sarebbe la prima risposta al problema del precariato che la affligge, nella scuola è una scelta inspiegabile, visto che per i precari si è appena concluso un concorso riservato (ovviamente semplificato e senza preselettiva) e negli anni non sono certo mancate altre misure straordinarie, semplificate e riservate. I bocciati al riservato 2021, che secondo le prime proiezioni di Tuttoscuola si aggirano intorno al 40-50%, potranno così rientrare in gioco a scapito dei neolaureati, che non sarebbero nemmeno messi nelle condizioni di poter competere.

E oltre al danno, la beffa: quei pochi giovani che dovessero comunque accedere partirebbero svantaggiati, perché privi, per mere ragioni anagrafiche, dei punti per il servizio e degli ulteriori titoli. Nel golf dilettantistico si gioca con l’handicap, ovvero con un vantaggio che viene assegnato ai giocatori in modo da poter competere equamente con i golfisti più esperti; nella scuola, invece, gli esperti si prendono pure il vantaggio in modo da sbaragliare i più giovani. E no, non è un pesce d’aprile.

Che relazione c’è tra il pesce d’aprile sull’aumento ai docenti e quello, che purtroppo non lo era, di Fregonara? Il fatto che se la selezione dei nostri docenti fosse più rispettosa della necessità di assumere professionisti di qualità, sarebbe molto più semplice far accettare a una società lacerata dalla crisi un aumento significativo delle loro retribuzioni, in particolare in uno scenario post pandemico che sarà verosimilmente caratterizzato da una significativa contrazione dei redditi e dei livelli di occupazione nel settore privato.

Alcune scelte, queste ad esempio, qualificano più di altre. Il governo lavorerà affinché le carriere, peraltro previste dalla bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza, siano la prima vera riforma dell’era Draghi in campo scolastico? Arriverà mai il giorno in cui, leggendo dell’ennesima sanatoria, ci verrà naturale capire che è solo un pesce d’aprile? Giocando con il motto reso celebre da Antonio Gramsci, non so se far prevalere l’ottimismo della speranza o il pessimismo dell’esperienza.

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