Libertà, immunità, comunitàConsentiamo al vaccino di riaprire la società o l’emergenza diventerà permanente

È provato che un aumento di aggressività dei “parassiti” è direttamente proporzionale all’autoritarismo, alla limitazione dei diritti e alla chiusura verso l’esterno. E che una percepita diminuzione del rischio riporta invece pluralismo e cosmopolitismo. Per questo, ora che abbiamo antidoti efficaci, non dobbiamo rimanere ostaggio della paura

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Nella discussione pubblica, è ormai un’idea acquisita che ritroveremo la nostra libertà quanto più conquisteremo, grazie alle vaccinazioni, l’immunità di gregge o collettiva contro il virus che causa Covid-19. I più pessimisti sono pronti a fare notare che il virus muta e che i vaccini, per quanto molto efficaci, non sono uno scudo impenetrabile. Gli ottimisti hanno buon gioco a far notare che, se i vaccinati cominciano a essere una percentuale consistente della popolazione più anziana, la letalità comincerà a scendere. Impedire di per sé i contagi, visto che si tratta di un virus che nella stragrande maggioranza dei malati causa sintomi molto lievi, è una strategia “second best”: quella che si mette in atto, appunto, in assenza di cure efficaci o di un vaccino. Il vaccino ora c’è.

La vera questione, che emergerà sempre di più col passare dei mesi, è quali saranno gli effetti di lungo periodo di Covid-19 sul nostro modo di vivere. C’è chi sostiene che dobbiamo prepararci a una sorta di “pandemia perpetua”, perché il salto di specie di SARS-CoV-2 sarebbe il segnale della rottura di un mitico equilibrio fra uomo e natura. La tesi per la verità è un po’ curiosa: non si capisce bene perché questo episodio e non altri segnalerebbe tale rottura. In una “pandemia permanente”, dopotutto, lo siamo dai tempi del neolitico: siamo circondati e, letteralmente, “abitati” da parassiti, la più parte dei quali innocui.

A dispetto del modo in cui continuiamo a parlare della pandemia, SARS-CoV-2 non è un “nemico”: è un organismo che, come noi, cerca di riprodursi e assicurarsi il suo successo evolutivo. Se ha trovato terreno fertile nel mondo di oggi è per una serie di fattori, a cominciare dall’invecchiamento della società, che nel 2020 si sono rivelati le condizioni più appropriate per quel particolare parassita. Cosa avverrà tra trenta o quarant’anni, quali virus evolveranno, su quali fronti sferreranno il loro “attacco”, è difficile a dirsi, a meno di non voler fare gli aruspici o gli scrittori di fantascienza.

Tutta la retorica dell’“emergenza permanente” porta acqua al mulino di chi guarda con favore a un drastico cambiamento nelle nostre vite: a cominciare dai diritti e dalle libertà di ciascuno.

Che l’immunità contro specifici parassiti abbia rappresentato anche nel passato un presupposto della libertà, in primo luogo di quella personale, non è mai oggetto di riflessioni, neanche in questa nostra discussione pandemica che alla fine non si schioda dal luogo comune che la libertà non vada d’accordo con la sicurezza, al punto che persino “liberi tutti” è diventata un’espressione dal sapore nettamente allarmistico. Invece l’importanza dell’immunità contro specifici parassiti è una componente essenziale della storia della libertà occidentale.

Le campagne di vaccinazione contro Covid-19 procedono nei modi possibili, ovvero per tentativi ed eliminazione degli errori: si usano le esperienze a disposizione dei diversi sistemi sanitari o le pratiche non organizzate nei Paesi meno fortunati per pianificare azioni che poi si scontrano con la realtà, e richiedono aggiustamenti e cambiamenti. Non abitiamo nel migliore dei mondi possibili e l’unica misura per commettere meno errori è venire alle prese con i bias che ci fanno credere che esistano scelte ottimali, preconfezionate con delle buone intenzioni. Alla fine, è un po’ quel che ha fatto l’Italia, passando (pur faticosamente) da un approccio molto dirigista, con tanto di architettura monumentale, a uno più pragmatico e teso a massimizzare il numero di inoculazioni.

È probabile che la sfida della pandemia farà fare un salto di qualità a “velocità curvatura” alle piattaforme tecnologiche per la produzione di vaccini, e quindi che non solo avremo negli anni a venire vaccini sempre più efficaci e sicuri contro SARS-CoV-2, ma saremo anche in grado di sviluppare rapidamente vaccini contro altre minacce epidemiche e pandemiche. La “lezione” positiva della pandemia è proprio questa: grazie al lavoro di network scientifici internazionali, grazie all’impulso dell’impresa privata, grazie alla capacità di adattamento dei regolatori, la produzione di vaccini è cambiata. Se ciò ha un effetto sulle nostre aspettative per il futuro, non dovrebbe essere quello di “meno” libertà e più regolazione dei comportamenti: al contrario, la tecnologia (a differenza della politica) è un formidabile alleato per far crescere la libertà.

Perché immunità e libertà viaggiano insieme? Diversi studi sociologici e di psicologia sociale convergono da anni nel mostrare che il livello di carico parassitario che grava su una comunità è predittivo dei valori sociali praticati da quella comunità. Il fatto ha una spiegazione darwiniana. All’aumentare del carico parassitario le società umane privilegiano valori etico-politici come familismo, autoritarismo, xenofobia, sospetto/complottismo, integralismo religioso, collettivismo, totalitarismo. Ovvero per proteggersi dai parassiti le società si chiudono, cioè rimangono chiuse o vengono chiuse, perché le società umane si sono evolute per difendersi dalla costante presenza dei parassiti nel passato. In questi mesi, in assenza di cure e vaccini, anche la nostra è diventata una società più chiusa di quanto non lo fosse.

Gli stessi studi storico-sociali mostrano che nella società dove il carico parassitario è stato significativamente ridotto, ovvero i parassiti sono stati messi via via più o meno sotto controllo emerge o viene praticato il cosmopolitismo, esiste una legalità basata sullo Stato di diritto, il pluralismo, la fiducia, la tolleranza, l’individualismo e il liberalismo.

Che cosa mette sotto controllo i parassiti? Intervenire sulle vie di trasmissione e conferire agli individui, per via artificiale, l’immunità. Intervenire sulle vie di trasmissione non ha mai significato esclusivamente politiche che assomigliano ai lockdown di questi ultimi mesi. Al contrario, le quarantene prolungate erano sostanzialmente insostenibili, prima del progresso economico e dei mezzi di comunicazione moderni. Sono stati gli interventi igienici di varia natura, consentiti dai progressi economico-produttivi, che hanno eliminato la peste, il colera, la malaria etc. dalle zone temperate, mentre i vaccini hanno eradicato il vaiolo, quasi sradicato la poliomielite e controllato altre infezioni virali e batteriche.

Che ha a che fare tutto questo con la libertà? Molto semplicemente, è proprio il fatto di non avere paura di contrarre un’infezione nel contatto con l’altro che riduce l’avversione al rischio e la diffidenza verso lo straniero nel comportamento delle persone e fa sì che l’intraprendenza individuale possa arricchire la capacità sociale di risolvere problemi per tentativi ed eliminazioni degli errori. Una società che vede nel prossimo un potenziale vettore di contagio sopra ogni altra cosa non potrebbe sviluppare una divisione del lavoro avanzata. Le società libere sono proprio quelle nelle quali la divisione del lavoro si è estesa di più, consentendo così quelle complesse reti di cooperazione, cieche ai confini nazionali, alle quali dobbiamo la nostra prosperità.

Le nostre società complesse e fondate sulla conoscenza si rigenereranno via via che l’immunità si diffonde sul pianeta e alla fine di questa esperienza avranno anche acquisito nuovi strumenti per agire più tempestivamente di fronte a minacce infettive future.

Coloro che pensano che sia necessario ridisegnare la nostra vita nel timore di una minaccia pandemica permanente si ingannano. Giocare agli scenari su dove partirà la prossima pandemia – esercizio che costerebbe soldi e sarebbe presto abbandonato come già accaduto nel passato – significa provare a prevedere l’imprevedibile. La storia delle pandemie del passato (nessuna delle quali, però, avvenuta in un mondo con l’apparato massmediatico di oggi) suggerisce che la memoria ne sia piuttosto labile, e che dunque non influenzino permanentemente le attitudini delle persone circa i rischi da prendere.

Se questa volta fosse diverso, se il Covid-19 ci rendesse ostaggi della paura, ci sarebbe da preoccuparsi. Rischiamo di ritrovarci con una società chiusa, immobilizzata, e per giunta impotente nel momento decisivo. L’unica strategia potenzialmente vincente è investire denaro e aspettative nella ricerca e innovazione sul fronte delle risposte immunitarie. Non abbandonare la libertà per combattere i patogeni, ma combattere i patogeni per preservare la libertà.

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