Diciamolo subito, il vitello tonnato non esiste. Meglio: ne esistono talmente tante versioni che è necessario specificare a quale ramo della nobile famiglia vi riferite quando lo nominate. Perché c’è chi lo fa “alla vecchia maniera”, sigillando la carne con una breve rosolatura in padella e finendo la cottura in forno, chi lo lessa come fosse un bollito (metodo Artusi) e chi preferisce cullarlo dolcemente per ore a bassa temperatura.
Ma se il taglio di carne non si discute – girello di fassona, la razza piemontese per eccellenza, che altrove chiamano magatello o rotondino – la salsa scatena le battaglie più feroci. C’è chi la fa con le uova sode, chi senza, chi fa a meno persino del tonno e chi aggiunge la maionese in barba ai puristi. Sempre che parlare di purezza abbia senso nel caso di un piatto che ha oltre trecento anni di vita e un piccolo trabocchetto già nel nome, vitel tonné, che fa subito pensare alla Francia e rischia di portare fuori strada perché le sue origini si perdono, invece, tra le colline di Langhe e Monferrato, in quello zoccolo duro di piemontesità che ha per vertici Cuneo, Torino e Asti prima di diventare patrimonio della cucina italiana. C’è anche la giornata nazionale dedicata a questo piatto che l’associazione italiana Food blogger celebra ogni anno il 16 maggio con tanto di ricetta ufficiale a cura dell’accademia della cucina italiana.
Anche se ogni famiglia rivendica il segreto per rendere la carne più morbida e la salsa avvolgente, in nome della tradizione, ricostruire la ricetta del “vero” vitello tonnato è impresa ardua. Un po’ come gli animali mitologici che compaiono nei bestiari medievali, è un’anima antica e sfuggente, metà carne metà pesce, nobile e plebeo.
Tanto per distruggere qualche certezza, l’antenato del vitello tonnato nasce povero, probabilmente già in epoca medievale. Nel Settecento si fa con della semplice fesa di vitello, un taglio non particolarmente saporito né troppo tenero. Per rendere la carne più gradevole e meno stopposa si concia, si camuffa – di qui il termine tanné, conciato, che poi vira in tonné – lardellandola di acciughe che arrivano in Piemonte a dorso di mulo dalla vicina Liguria. Si lascia a salmistrare per qualche giorno con sale e aromi, si lessa nel vino bianco – per alcuni nell’aceto – e si fa riposare immerso nell’olio in un recipiente di vetro, proprio come il tonno (qualcosa di simile a quanto avviene per un’altra gloria della cucina piemontese di campagna, il tonno di coniglio). E qui le strade tra terra e mare iniziano a convergere: nei domini sabaudi, dove si parla più francese che italiano, i cuochi cucinano un vitello conciato come un tonno e lo chiamano vitel tonné anche se ancora il tonno non c’è.
La ricetta del medico
Arriverà a metà Ottocento in una sorta di versione dietetica della ricetta prima maniera e a introdurlo è un medico, Angelo Dubini, primario di dermatologia all’ospedale Maggiore di Milano, che nel 1862 pubblica un ricettario “La cucina degli stomachi deboli: ossia pochi piatti non comuni, semplici, economici e di facile digestione con alcune norme relative al buon governo delle vie digerenti”. Nel libro si nomina per la prima volta una salsa composta da tonno e acciuga tritati, diluita con il fondo di cottura del vitello insieme a olio e limone.
La ricetta viene ripresa da vari autori, tra cui l’Artusi nel 1891 il quale consiglia di lessare il vitello e, una volta freddo, lasciarlo marinare per due o tre giorni coperto da una salsa composta da tonno, acciughe, capperi, olio e limone. Siamo a fine Ottocento e dalla salsa mancano ancora le uova. Sappiatelo. Quando vi diranno “all’antica maniera” mettendo le uova sode nella salsa, potrete sempre vendicarvi citando l’Artusi.
L’affermazione del piatto su scala nazionale e internazionale avviene a partire dagli anni Sessanta a opera, tra gli altri, di Guido e Lidia Alciati del ristorante Da Guido di Costigliole d’Asti. Le variazioni sul tema dell’alta ristorazione non si contano quasi più: dal tiramisù di vitello di Stefano De Gregorio alla versione colorata di Matteo Vigotti, al manzo marinato come un tonnato di Giancarlo Perbellini.
Due chiacchiere con il macellaio
Nota personale: sono diventata grande mangiando vitello tonnato in versione express come la maggior parte di quelli cresciuti negli Anni Ottanta: girello già cotto e salsa tonnata in versione pop, con la maionese. Dal mio macellaio di fiducia il girello già cotto non manca mai. Lo produce Coalvi, il consorzio di tutela della razza bovina piemontese e arriva in macelleria già pronto, in atmosfera protetta. Chi preferisce la versione da cuocere trova solo carne di razza fassona piemontese certificata.
Perché è da preferire il girello o magatello? Perché è un taglio molto magro, composto da un solo muscolo, perfetto per ottenere fettine regolari nella forma e morbidissime, se sarete stati bravi a cuocerlo, ovviamente. A proposito di cottura: se non lo ha già fatto il macellaio, il pezzo va pulito per eliminare eventuali residui di grasso superficiali e legato con lo spago perché mantenga al meglio la forma.
Se decidete per la bollitura fatelo a fuoco dolce per evitare che la carne cuocia troppo all’interno; la rosolatura in padella invece va fatta a fuoco alto e coprendo bene tutti i lati per sigillare i succhi all’interno prima di infornare. Per ottenere l’effetto rosato all’interno la temperatura al cuore non deve superare i 58-60 gradi (se avete un termometro a sonda per alimenti potete controllare).
Capitolo affettatura: in macelleria risolvono il problema in un batter d’occhio e potete anche chiedere di farvi mettere le fettine sottovuoto per consumarle entro un paio di giorni; in questo caso le affetteranno leggermente più spesse per evitare che si rompano. Se invece cuocete il vostro girello da soli, per evitare che la carne si sbricioli, meglio farla prima raffreddare per poi tagliarla con un coltello dalla lama larga e liscia; un unico, lungo taglio senza fare avanti e indietro con la lama altrimenti imprimerete sulle vostre fettine dei solchi a zig-zag. Per la salsa il frullatore è sdoganatissimo ma se cercate una consistenza leggermente più strutturata meglio tritare gli ingredienti con la mezzaluna. La differenza si sente, eccome.
Troppo complicato? Allora mettevi comodi e fatevelo preparare dagli chef. Qui una selezione parziale e non esaustiva dei posti migliori dove mangiarlo a Torino.
Il vitello a tutte le ore
La prima tappa del tour non può che essere Le Vitel Etonné, “il vitello” come lo chiamano gli habitué di questo locale a due passi da via Po. Da vent’anni il piatto della casa che dà il nome al locale è una garanzia. Che lo mangiate seduti al tavolino come entreé o lo infiliate dentro una focaccia per uno spuntino al volo la sostanza non cambia: le fette di vitellone sono morbidissime, rosate grazie alla cottura a bassa temperatura, affettate sottilissime e coperte da uno strato di salsa a base di uova bio, olio di semi di girasole, senape in grani, tonno sott’olio, acciughe e capperi sotto sale. Una vera goduria da gustare in orario open (dalle 12 alle 22) o portare a casa come take away.
Le due maniere dello chef Beppe Rambaldi
Meglio la versione classica senza uova o quella pop con la maionese? Beppe Rambaldi, per vent’anni sous chef di Davide Scabin al Combal Zero, ora alla guida di Cucina Rambaldi a Villardora e Gastronomi(a)tipica, nel quartiere Cit Turin, ve le mette entrambe nel piatto. Decidete voi. Anche le location sono diverse: a Villardora troverete il tovagliato bianco, le stoviglie d’antan rigorosamente spaiate e musica soffusa ad accompagnarvi.
Gastronomi(a)tipica, aperto da pochi mesi in città, ha le stesse proposte ma viaggia a un ritmo più veloce con un’offerta flessibile: è contemporaneamente gastronomia, enoteca e bistrot. Sosta ideale a pranzo (dalle 12,30), per un aperitivo (dalle 17 in poi) o per fare una spesa gourmet scegliendo qualcosa al banco gastronomia (dalle 10 alle 20), con la possibilità di farselo personalizzare sul momento dallo chef. Tra le proposte sempre in carta c’è il vitello tonnato alle due maniere che viene rosolato in padella e cotto al forno a 46/47 gradi al cuore, servito su una base di salsa antica (uovo sodo, tonno, acciughe, capperi) e ricoperto da foglie di insalata condite con la salsa in versione anni Ottanta (maionese, tonno, acciughe, capperi).
La cucina dello chef Roberto Solina anche da asporto
Scannabue è un altro storico punto di riferimento della cucina piemontese, a metà tra la trattoria e il bistrò francese, nel quartiere San Salvario. È stato tra i primi a inaugurare il servizio Gastronomia & Vini durante la pandemia. Tra le proposte in carta e disponibili per l’asporto il vitello tonnato non manca mai e il passaparola racconta che sia uno dei migliori di Torino. L’executive Chef Roberto Solina, radici siciliane ormai trapiantate sotto la Mole, lo prepara al forno (130 gradi per circa 45 minuti) con brodo vegetale previa rosolatura veloce in padella al vino bianco. La morbidezza della carne è esaltata dalla salsa, fatta con maionese artigianale, tonno, acciuga, capperi di Pantelleria e aceto di mele. Per completare il menu: acciughe al verde, plin ai tre arrosti, carpione, tonno di coniglio, pesche ripiene e bunet. Il locale è aperto a pranzo (12-15) e a cena (dalle 19 fino a orario consentito).
La versione rosata dello chef Dario Rista
Lo chef Dario Rista, al timone di Magazzino 52 con il fratello Diego in sala e Graziano Cipriano sommelier, lo serve in fette rosate e non troppo sottili come vuole la tradizione. Non fatevi distrarre dalla presentazione molto curata, con la salsa pennellata dalla sac a poche, perché la sostanza c’è tutta e si sente. Il girello di fassona viene salmistrato con sale e zucchero per un’ora e mezza, poi passato in padella a caramellare con un filo d’olio e di pepe quindi va in forno, dove termina la cottura a 80 gradi (sonda al cuore a 52) avvolto in carta d’alluminio. La salsa super corposa rispolvera l’antica ricetta, quando l’olio d’oliva scarseggiava e la maionese era una questione da ricchi: qui la salsa diventa una mousse densa che si lega alla carne senza sovrapporsi; dentro ci sono uova sode montate con capperi, acciughe, olio e tonno, il tutto corretto con un’ombra d’aceto. In inverno e primavera viene servito con foglie d’insalata dal retrogusto leggermente amaro, condite da tuorlo d’uovo sodo sbriciolato e frutto del cappero. In questo caso la salsa utilizza solo gli albumi sodi. Nato come vineria con cucina, è stato inserito da Wine Spectator tra le migliori enotavole torinesi in cui concedersi un calice di vino. In attesa di poter tornare a pranzare tra gli scaffali fitti di bottiglie, ci si deve accontentare dell’asporto durante la sola fine settimana.
Forma e contenuto secondo lo chef Andrea Fasano
Non so decidermi se sia più buono o più bello il vitello tonnato dell’osteria con enoteca Sorij (termine intraducibile in italiano e che in piemontese identifica la vigna baciata dal sole), a due passi dal Po. Nel dubbio l’ho ordinato una seconda volta. Lo chef Andrea Fasano approdato qui dopo varie esperienze, innesta la tecnica su materie prime al top e una solida base di tradizione. Per il vitello tonnato utilizza un girello di fassona femmina cotto a bassa temperatura (59 gradi al cuore) per tredici ore con sedano, carota e cipolla. La qualità della carne consente di lavorarla in purezza, senza aggiungere altri condimenti come sale e olio. Il fondo di cottura dà corpo alla salsa vecchia maniera, cioè senza uova: solo ottimo tonno sott’olio, capperi e acciughe. Le verdure tornano come guarnizione, trasformate in gel a punteggiare il piatto. Chi l’ha ordinato da asporto nelle scorse settimane si è perso metà della poesia.
Gustare Torino dall’alto / 1
Nelle giornate terse, Torino vista dalla collina è magnifica. Un motivo in più per salire fino a Superga e pranzare all’aperto. Un paio di tornanti sotto la Basilica c’è il ristorante Bel Deuit, bel garbo in piemontese, che anticipa già nel nome quel che troverete all’interno di questo baluardo di vecchio Piemonte: gentilezza e cibo del territorio, oltre a uno splendido panorama sulla città.
Anche se quando l’ho visitato il locale aveva appena riaperto e c’era posto nel dehors ho preferito fare come i tanti ciclisti e motociclisti che arrivano fin quassù e mi sono messa in coda per il vitello tonnato in versione da passeggio, infilato in una rosetta di pane. Carne eccellente cucinata alla vecchia maniera, come se fosse un arrosto, e affettata finissima; salsa un po’ leggera e in quantità ridotta, credo per evitare spiacevoli inconvenienti mentre si addenta il panino. Il prezzo, 5 euro, è onestissimo, ma vi consiglio di provare a gustarlo stando comodamente seduti con le gambe sotto al tavolo.
Gustare Torino dall’alto / 2
Altra opzione: vedere la città dall’alto restando immersi nel suo cuore. Si può fare dalla terrazza del Turin Palace Hotel, proprio accanto alla stazione di Porta Nuova. Il ristorante panoramico apre a inizio giugno, solo alla sera. Lo chef Beppe Lisciotto alla guida della brigata de “Les Petites Madeleines” lo propone in versione antica come voce di apertura del menu estivo: girello di sanato cotto a bassa temperatura, arricchito da una salsa senza maionese. Nel piatto gli ingredienti prendono la forma di una corona impreziosita da foglie di sedano croccante, acciughe del Cantabrico e tuorli d’uovo mimosa. Uno spettacolo, non solo per gli occhi.
Le due versioni dello chef Matteo Baronetto
Per celebrare i duecentosessanta anni del ristorante “Del Cambio”, il ristorante dei torinesi per antonomasia, lo chef Matteo Baronetto ha ideato un menu composto da undici piatti proposti in versione tradizionale e rivisitata. Tra questi, ovviamente, c’è anche il vitello tonnato. Il dehors non ha lo stesso fascino della sala Risorgimento dove pranzava Cavour tra una seduta del parlamento e l’altra, ma tant’è.
Per la preparazione della carne servono 700 gr di magatello di vitello, 50 gr di zucchero e 55 di sale. La carne viene marinata per sedici ore in una salamoia di acqua, zucchero e sale, e tenuta al fresco in frigorifero. In una padella antiaderente si rosola in olio molto caldo, quindi cuoce in sottovuoto in olio d’oliva a 68 gradi per un’ora e quarantacinque minuti.
Nella versione tradizionale si affetta molto sottilmente e si guarnisce con una salsa a base di tonno, maionese, capperi, acciughe, succo di limone e olio extra vergine d’oliva.
Nella versione rivisitata, si parte da una brunoise di sedano e carote che viene frullata con il fondo di cottura del vitello, tonno sott’olio sgocciolato, tuorlo d’uovo, acciughe sotto sale del Cantabrico e capperi sotto sale dissalati.
Per l’impiattamento la carne viene tagliata a coltello e servita con una guarnizione di capperi fritti, qualche goccia di fondo di cottura della carne, foglie di sedano fritte, rapa bianca tagliata al velo vestita da polvere di capperi, un cucchiaio di salsa rivisitata e una quenelle ottenuta mescolando il fondo di cottura alla maionese.