Era nell’aria. Una volta passata, o almeno ridimensionata, l’emergenza legata alla pandemia era solo questione di tempo e si sarebbe tornato a parlare di quello cui più anelano gli italiani una volta arrivati a una certa età. La pensione.
Vista la crisi economica e il cambio di poltrone a Palazzo Chigi neanche i più appassionati sostenitori di Quota 100 si sono sentiti di battersi fino allo strenuo per una sua riconferma. Inattuabile.
E tuttavia la grande maggioranza dei politici e degli italiani non si è ancora rassegnata al ritorno alla legge Fornero nella sua forma più pura, con la pensione di vecchiaia fissata a 67 anni. Spesso succede che riforme contrastate, in vari campi, una volta che entrano in vigore poi non vengano cancellate neanche se al potere arrivano coloro che le avversavano.
Non è accaduto in Italia con l’abolizione dell’articolo 18, che ormai pochi dicono di voler riesumare, e ancora meno lo farebbero veramente se ne avessero la possibilità. Non è accaduto con le unioni omosessuali, per andare in un ambito completamente diverso, che non sono state rinnegate neanche quando i partiti che nei vari Paesi le avevano introdotte hanno poi perso le elezioni, così come non accadrebbe in Italia, è ormai chiaro, anche se prevalesse il centrodestra nel voto.
Ma per le pensioni non è stato così, non ci vogliamo rassegnare all’idea di dover lavorare oltre i 65 anni, sulla soglia dei 70 anni. La resistenza culturale, istintiva, è fortissima, e rimane tale nel tempo. Non c’è un’evoluzione del pensiero e della mentalità in questo caso.
E come potrebbe essere, in fondo, se ben poco è evoluto nel nostro Paese nel mondo del lavoro? La pandemia ha solo peggiorato un quadro di stagnazione già presente. Si è interrotto quel grande cambiamento che aveva visto una società contadina diventare operaia dagli anni ’50-’60 e poi i più fortunati tra i figli di questa classe operaia divenire colletti bianchi.
Si è interrotto a un punto in cui per esempio le persone impegnate in mansioni più faticose, ripetitive, elementari e poco remunerative, quelle da cui sfuggire al più presto, erano ancora tante, più che in altri Paesi europei.
L’11,2%, la terza percentuale più alta nel Continente, dietro solo a Spagna e Lettonia, se prendiamo in esame proprio coloro che sono più vicini al momento del ritiro, i 40-59enni. La media europea è dell’8,8%, in Germania sono il 7,3%, nel Nord Europa anche meno del 6%.
Dati Eurostat, 2019
Si tratta di coloro che fanno i braccianti, si occupano delle pulizie, fanno i lavapiatti, i manovali, e molti altri ancora, costretti a orari scomodi, una carriera senza molte possibilità di avanzamento, e stipendi spesso sulla soglia della povertà.
Nel tempo, a differenza che altrove, non sono diminuiti. Dalla crisi del 2009 come in tanti altri ambiti il trend europeo e quello italiano si sono separati, mentre in media nella Ue vi è stata una lenta diminuzione della proporzione di lavoratori impegnati in queste mansioni, accentuata poi dalla pandemia, Nel nostro Paese le cose non sono cambiate. E anche se sono le donne a essere impiegate in queste tipologie di lavori in maniera maggiore, in realtà negli ultimi anni le differenze tra i generi sono diminuite.
Dati Eurostat
Se a questi dati aggiungiamo che in generale l’Italia è tra i Paesi in cui il numero di lavoratori over 40, a prescindere dalla mansione, è cresciuta di più tra il 2008 e il 2019, del 15,9%, a fronte di una media europea inferiore al 10%, si capisce bene come il tema della pensione anzi sia sempre più al centro dell’attenzione. I milioni di italiani che si sentono coinvolti in prima persona dal tema sono sempre di più.
Dati Eurostat
La bassa produttività e la bassa istruzione soprattutto della fascia di lavoratori più anziani fa in modo che siano milioni, e in continua ascesa, gli italiani che stanno facendo un lavoro che non li appaga, né a livello personale né finanziario, e che non li appassiona.
E non si tratta solo dei lavori non qualificati: sono più della media nel nostro Paese anche coloro che sono impegnati nel campo di alcune attività commerciali, dai cuochi ai camerieri ai baristi ai commessi in negozio. E inoltre come artigiani e operai specializzati, dagli elettricisti ai carpentieri. Nel caso italiano si tratta spesso di attività svolte in realtà piccole, in micro-aziende, con una stabilità e una paga inferiore a quella cui possono ambire tedeschi o francesi, per esempio.
Il punto è che sono invece ancora pochi, in particolare tra chi si avvicina alla pensione, quelli che si occupano di professioni intellettuali e scientifiche, medici, insegnanti, avvocati, informatici, scienziati, nonché i manager e i dirigenti. Non sono aumentati nel tempo se non molto lentamente.
La buona notizia è che invece cresce la percentuale di under 40 che lavora in tali ambiti. Ma è ancora inferiore a quella dei più anziani, nonostante la loro istruzione media sia decisamente superiore.
Dati Eurostat
In generale i “colletti bianchi”, coloro che probabilmente hanno meno urgenza di andare in pensione, e che potrebbero vedere meno come un sacrificio lavorare a 65 anni, sono una porzione ancora ridotta del nostro mondo del lavoro.
Professionisti, dirigenti, impiegati sono, tra i 40-59enni, il 31,6%, e il 28,4% tra i più giovani. Mentre si arriva, se consideriamo sempre gli over 40, al 39% tra i tedeschi e addirittura al 46,2% tra gli olandesi.
Dati Eurostat, 2019
Il mondo del lavoro mostra di non avere vissuto quell’evoluzione verso un’economia fatta di servizi avanzati, digitalizzata, di cui tanto si parla. E la dimostrazione sta nel modo in cui i lavoratori si dividono per settore. Quelli a maggiore valore aggiunto, e/o meglio pagati, e/o che svolgono un lavoro creativo, poco ripetitivo, in teoria più appagante, danno lavoro in Italia al 38,9% degli occupati. Nel Regno Unito si arriva al 56,3%, in Francia al 49,4%.Si tratta degli ambiti della salute, dell’educazione, dell’ICT, della finanza, dell’arte, della Pubblica Amministrazione, per esempio. E il dato probabilmente più negativo è che tra 2008 e 2019, mentre altrove vi è stato un aumento della porzione di lavoratori over 40 impegnati in tali settori, in Italia vi è stato addirittura un calo.
Dati Eurostat, 2019
Questo spiega in parte perché pochi abbiano voglia di rimanere al lavoro anche in tarda età. Ma in prospettiva la notizia peggiore è che anche tra chi ha meno di 40 anni coloro che lavorano negli stessi settori sono meno che negli altri principali Paesi.
Dati Eurostat, 2019
L’incremento dell’occupazione che ha caratterizzato la debole ripresa dell’economia dal 2014 alla pandemia ha interessato più l’industria dei servizi in alcune fasi, e tra i servizi più il settore della ristorazione, del commercio, del turismo, della logistica, che quelli avanzati.
Era inevitabile del resto. Abbiamo mancato la rivoluzione informatica, la produttività è stata stagnante, e in queste condizioni l’unico modo per aumentare le fette di una torta che non aumenta è farle più piccole. Da qui il grande incremento dei lavoretti, pagati male e in settori a basso valore aggiunto.
Su queste basi, se ormai dobbiamo dare per scontata ancora per una ventina d’anni tensioni e resistenze sull’età della pensione, pensione che del resto appare come unica grande forma di welfare in Italia, appaiono ancora più urgenti gli interventi del Next Generation Eu. Che proprio a questo mirano: a rendere il lavoro del futuro più produttivo, specializzato, in settori innovativi e per questo più remunerato. E meno detestato.
Dopo i decenni perduti, di cui ora vediamo le conseguenze, ora non possiamo perdere questa occasione unica. O dover discutere tra 40 anni di pensione a 62, a 65 o 67 anni sarà solo il minore dei problemi.