La Fondazione degli studi progressisti, ossia la Fondazione dei Socialisti europei, si è rivolta al Tribunale civile di Bruxelles chiedendo la restituzione di circa mezzo milione di euro al suo penultimo presidente, Massimo D’Alema. Secondo quanto racconta Repubblica, i nuovi vertici della Feps – la fondazione delle fondazioni di sinistra – sostengono che D’Alema non avrebbe avuto diritto a incassare quasi 500mila euro di emolumenti.
Il segretario generale dell’associazione, Laszlo Andor dice: «Abbiamo presentato l’azione legale venerdì scorso». E l’ex leader dei Ds, ascoltato al telefono, risponde: «Iniziativa immotivata. Andremo in giudizio e poi sarò io a chiedere i danni. Di certo è una vicenda che davvero mi amareggia».
D’Alema viene eletto presidente della Fondazione legata al Pse nel giugno del 2010. Per tre anni quella carica viene svolta senza percepire alcuna remunerazione. Del resto tutti i suoi predecessori e l’attuale successore, la portoghese Maria Joao Rodrigues, non hanno mai ricevuto compensi. Dal 2013 però – da quando D’Alema non è più parlamentare – e fino al 2017 – quando abbandona la Fondazione dopo uno scontro con l’allora segretario del Pd Matteo Renzi – viene introdotta una novità: un contratto siglato insieme all’allora segretario generale della Fondazione, il tedesco Ernst Stetter, per circa 120mila euro l’anno. Di quel contratto, però, nessuno avrebbe saputo niente, in quanto non sarebbe mai stato sottoposto all’attenzione degli organismi dirigenti.
Quel documento sarebbe stato custodito con attenzione e i pagamenti non sarebbero mai stati effettuati con i canali digitali. Ma è nel 2019 che inizia a emergere qualche dubbio. Il segretario generale, Stetter, conclude il suo mandato ed entra in carica l’economista ungherese Laszlo Andor. Che nei primi passi del suo incarico compie una sorta di due diligence. Non una scelta a caso. Perché sa che da lì a poco sarebbe arrivata una richiesta ordinaria dal Parlamento europeo: fare un piccolo controllo sui bilanci. Tutte le fondazioni di questo tipo ricevono dei sostanziosi sostegni da Strasburgo e periodicamente verificano come quei soldi vengono spesi. Sono finanziamenti pubblici e il controllo su come quei denari sono utilizzati è periodico e incisivo.
Il primo risultato che viene fuori è che negli anni successivi al 2017 emerge un consistente risparmio nel costo del lavoro. Una sorpresa. Il nuovo segretario generale allora cerca di capire se si è proceduto a dei licenziamenti. Ma il personale è lo stesso. Fino a quando, appunto, non si scopre questo contratto intercorso solo tra D’Alema e Stetter.
La presidente e il segretario generale della Fondazione si rivolgono al predecessore italiano: ristornare quei soldi. L’obiettivo, in realtà, è soprattutto rassicurare il Parlamento europeo e garantire i finanziamenti futuri senza i quali la Feps entrerebbe in difficoltà. Ma la trattativa non ha esito positivo. Gli attuali vertici vorrebbero una soluzione amichevole. Fanno presente che quel contratto esulava dall’ordinaria amministrazione e che c’era l’obbligo di sottoporlo al Bureau e all’Assemblea.
Per D’Alema, che si è affidato allo studio legale Grimaldi, invece tutto è regolare: «Non è vero che doveva passare all’esame del Bureau. Non hanno nemmeno voluto ascoltare il segretario dell’epoca, Stetter. Lui aveva proposto di pagare le mie prestazioni intellettuali. Che ho fatto valutare da una società ad hoc: valgono di più di quel che mi hanno dato. E alla Feps ho anche regalato un libro senza pagare i diritti».
E così di trattativa in trattativa si arriva al 30 marzo scorso. L’invito a D’Alema è di nuovo a transare, altrimenti la via della causa legale sarebbe diventata inevitabile. L’ex premier italiano si difende, ribadisce la sua buona fede e soprattutto insiste sulla legittimità dei suoi comportamenti. Si arriva al voto. Sono presenti 25 fondazioni europee tra cui 4 italiane: la Fondazione Socialismo, la Fondazione Gramsci, la Fondazione Pietro Nenni e la Fondazione ItalianiEuropei, quella di D’Alema. Il voto finisce con 23 favorevoli alla causa civile e due astenuti. Si decide quindi per la causa civile e venerdì scorso l’intero incartamento è stato depositato presso il tribunale civile di Bruxelles.
E ancora, racconta Repubblica, il segretario generale in carica spera che «sebbene l’azione legale sia stata avviata c’è sempre la possibilità di una soluzione amichevole». Vedremo cosa deciderà D’Alema.