Siamo nel cuore della primavera, la stagione dell’esplosione della vita.
Il simbolo della primavera è la comparsa dei fiori selvatici, via via sempre più fitti dovunque un seme possa attecchire, anche tra le pietre o nelle spaccature dell’asfalto e del cemento.
Numerosi ed estremamente vari per forme e colori i fiori dimostrano così la loro forza e resistenza. E ci forniscono straordinarie lezioni di economia.
Osservare un prato fiorito, in primavera e poi in estate, ci permette di avere una rappresentazione chiara di cosa significhi gestione oculata e attenta delle risorse e come questa porti a straordinari risultati di ricchezza ed efficienza, che si traducono al nostro occhio in bellezza. Nel corso della storia umana questa ispirazione ha spesso guidato riflessioni sulla trasposizione, la replica di queste dinamiche nell’organizzazione sociale umana.
Sono molte le lezioni che possiamo trarre, ma occorre l’osservazione, cioè posare la mente e l’anima oltre agli occhi sull’oggetto, in questo caso i fiori. Il semplice sguardo non ci aiuta. E noi troppo spesso, è un fatto naturale anch’esso, indugiamo nella superficialità.
La prima indicazione che possiamo trarre da questa osservazione riguarda il concetto biodiversità che in linguaggio pragmatico, quotidiano possiamo tradurre in: ricchezza e salute. Osservando un prato noteremo diverse specie di fiori: istintivamente – l’istinto è dato dal patrimonio culturale ancestrale, frutto dell’esperienza acquisita dalla nostra specie fin dagli albori – associamo quest’immagine alla floridezza, ricchezza e salute, appunto.
Maggiore sarà la quantità di fiori, maggiore è la biodiversità, più forte sarà l’effetto ricchezza/salute.
Ogni ecosistema racchiude un insieme di organismi viventi e l’ambiente che li circonda. La ricchezza di forme di vita (biodiversità) rafforza l’efficienza, la produttività e lo stato di salute di qualunque ecosistema. Una vasta area di territorio coltivata con un’unica specie (monocoltura) è più povera e diventerà ogni anno più povera. Soprattutto se non ci si preoccupa di difendere anche la più piccola area di incolto.
Un ecosistema con poche forme di vita è più vulnerabile. È ampiamente dimostrato dai fatti (e quindi dalla scienza, che raccoglie e mette a sistema l’insieme dei fatti osservati e analizzati dall’uomo nel corso dei secoli) che la biodiversità favorisce la sicurezza alimentare ed energetica, la protezione da disastri naturali, aumenta il livello di salute all’interno della società umana e dei gruppi animali, aumenta quantità e qualità delle risorse idriche disponibili e per tutte le ragioni precedenti arricchisce addirittura le tradizioni culturali.
Noi abbiamo istintivamente la tendenza a considerare degne di attenzione soltanto le forme di vita fisicamente notevoli: ci accorgiamo di un albero, meno di un filo d’erba; di un cane o un gatto, meno di un insetto (a meno che non ci infastidisca). Magari un prato ci sembra meno ricco di un bosco: in realtà un pascolo di montagna può contenere anche dieci o venti volte il numero di specie vivente in un bosco fitto.
Suggerisco questo gioco, come test: alla prossima gita, con amici e famigliari, provate, in un prato selvatico, a delimitare un quadrato con un metro di lato. Poi, iniziate a osservare in dettaglio e magari con una lente d’ingrandimento (e se ce l’avete anche un microscopio di quelli giocattolo) le specie viventi (distinguiamo i fili d’erba in base alla forma, non sono tutti uguali!), vegetali e animali (anche se piccolissimi). Contateli e rimarrete sorpresi.
Ogni specie svolge un ruolo fondamentale nell’intero ecosistema e l’impoverimento della biodiversità interrompe questo gioco di squadra, ne compromette l’efficacia e i risultati. Pensiamo alla catena alimentare: questa ha il suo inizio con organismi microscopici che nutrono organismi più grandi, che a loro volta nutrono organismi più grandi e così via. Se manca l’organismo microscopico all’inizio di questa catena, in breve tempo saranno in difficoltà anche tutti gli altri organismi ovvero la catena si spezza e non esiste più (estinzione).
Un prato fiorito in questa dinamica ha un ruolo fondamentale.
I fenomeni climatici in atto mettono a rischio anche i prati fioriti, quindi la biodiversità, quindi il nostro benessere. Un altro elemento non banale che possiamo trarre dall’osservazione di un prato riguarda il concetto di bellezza. Noi spesso ci limitiamo a farne una questione estetica: proviamo a riprodurre forme e linee in modo da creare una composizione che ci risulti gradevole. I fiori ci aiutano a comprendere che la bellezza è il risultato di un processo che ha cercato innanzi tutto l’estrema efficienza.
La forma dei petali e delle foglie, il colore: tutto è così perché in quel modo si favoriscono la riproduzione e l’acquisizione delle risorse necessarie a produrre l’energia che mantiene in vita.
Ma non è tutto. Se la nostra osservazione è costante nel tempo, comprenderemo anche che nel corso della primavera e poi dell’estate e fino all’autunno, le specie di fiori che potremo osservare cambiano, si alternano, mutano. Comprenderemo, insomma, che la natura si è organizzata (quell’insieme di dinamiche che chiamiamo evoluzione) in modo da utilizzare al meglio le risorse disponibili in quel dato luogo.
Se tutte quelle specie di fiori, per qualche ragione, fiorissero tutte insieme, le risorse (per nutrirsi e trarre energia, ma anche per riprodursi) non sarebbero sufficienti o verrebbero stressate per poi abbondare in altri momenti creando prima una crisi e poi uno spreco. Tutti concetti economici.
L’intasamento, la densità di specie presenti, produrrebbe effetti negativi su alcuni di questi gruppi che finirebbero per soccombere, ma questo produrrebbe un effetto negativo anche su quelle prevalenti, superstiti che alle scomparse erano in qualche modo legate: ecco l’importanza della biodiversità come elemento di ricchezza e salute.
Insomma, l’evoluzione e l’equilibrio verso cui le leggi naturali tendono ha prodotto un sistema estremamente efficace. Non significa che questo non verrà mai messo in crisi, intendiamoci. Ma verrà messo in crisi soltanto dal mutamento delle condizioni. A quel punto, troverà nuovamente un nuovo equilibrio, con la scomparsa di alcune specie e la comparsa di altre che nell’evoluzione sapranno adattarsi alle nuove condizioni.
È un elemento estremamente chiaro, quello che emerge, quasi ovvio: la gestione razionale delle risorse non è impoverimento, come spesso capita di sentire nei duelli retorici sull’economia, ma al contrario è creazione di ricchezza maggiore e più diffusa.
Prima che le teorie economiche, ce lo insegnano miliardi di anni di evoluzione.