Se a un giorno di distanza due grandissimi chef lasciano due importanti cucine d’hotel, non siamo davanti a due cambiamenti di vita personali, ma probabilmente stiamo assistendo a una delle prime grandi rivoluzioni che il Covid ha causato.
Ha dato il via alle danze Andrea Aprea, da 10 anni alla guida del Vun, il ristorante che lo chef partenopeo ha portato alle due stelle Michelin, all’interno dell’hotel Park Hyatt di Milano, proprio all’imbocco della Galleria.
Lo ha fatto con un messaggio su Instagram, molto commentato, molto condiviso: «Non è mai facile prendere decisioni, ma questa l’ho presa con molta riflessione … soprattutto in un momento storico come questo, ma ho deciso di inseguire il mio sogno, vi informo che lascio la gestione delle cucine del Park Hyatt Milano e del Vun per aprire il mio ristorante, ora mi aspetta un nuovo percorso, vi terrò informati sull’evoluzione. Vorrei ringraziare tutta la famiglia Park Hyatt Milan per questi 10 anni meravigliosi e di successo!! GRAZIE».
Venerdì pomeriggio l’annuncio di un altro grande che lascia lo ha dato un giornalista del settore, Paolo Marchi, che annuncia «Clamoroso a Firenze: Vito Mollica lascia il Four Seasons del capoluogo toscano dopo 25 anni nel gruppo e 14 in riva all’Arno. Arrivato al traguardo dei cinquant’anni, applaudo il suo desiderio di vivere una seconda vita professionale».
Entrambi dicono di voler costruire una nuova carriera, di volersi lasciare alle spalle il molto che hanno ottenuto per poter creare qualcosa di diverso, più tagliato su loro stessi. Qualcosa che torni a dare centralità allo chef.
Ma a lasciarli andare via sono stati due colossi, che al di là delle intenzioni dei singoli, hanno le spalle abbastanza larghe per trattenere chi costituisce l’ossatura della loro strategia.
E se – semplicemente – fosse cambiata la strategia?
Perché è sempre più evidente che anche e soprattutto i ricchi frequentatori degli hotel a mille stelle quando torneranno a riempire del stanze vorranno trovare nel piatto proposte più semplici, rassicuranti, confortevoli.
Qualcosa che sia un completamento del soggiorno ma non un’esperienza a sé.
E dopo aver cercato per anni di portare la clientela esterna a godersi il ristorante interno, forse siamo al punto di svolta, nel quale la ristorazione in hotel sarà uno dei tanti optional, con una proposta gastronomica veloce, smart, che permetta ai viaggiatori di mangiare bene ma senza bisogno che lo star chef di turno illumini la sala.
Un ritorno della cucina alla sua dimensione di servizio, con meno lustrini e più sostanza.