L’ultimo e unico rifugio sicuro per il dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenka è la Russia del suo omologo Vladimir Putin. L’incontro di Sochi del 28 maggio è servito a sugellare agli occhi del mondo di l’alleanza tra i due Paesi, già strettamente legati tra di loro. L’interdipendenza di Russia e Bielorussia risale ai tempi dell’Unione sovietica ed è proseguita anche dopo la dissoluzione dell’Urss, seppur tra alti e bassi. E i rapporti tra Putin e Lukashenka sono emblematici di questo andamento altalenante.
Il presidente bielorusso ha cercato negli ultimi anni di ridurre la dipendenza del suo Paese dalla Russia, ma le rivolte popolari scoppiate a seguito delle elezioni di agosto lo hanno costretto a tornare tra le braccia di Putin. Che adesso deve fare i conti con un presidente che non può abbandonare e le cui azioni rischiano di danneggiare la stessa credibilità della Russia sul piano internazionale. In attesa di un lauto ritorno.
Come detto, la Bielorussia ha fatto parte dell’Urss e dopo la sua dissoluzione si è unita alla Comunità degli Stati indipendenti (Csi), un’organizzazione internazionale di cooperazione economica, politica e militare. Non sorprende quindi che gli scambi economici tra Minsk e Mosca siano particolarmente elevati: nel 2019 la Russia era il primo investitore estero in Bielorussia e l’interscambio nel primo trimestre del 2021 ha superato i livelli pre-pandemia. A seguito della crisi interna in Bielorussia, Mosca ha inoltre concesso 1.5 miliardi di dollari di prestiti a Minsk per sostenerne l’economia. L’appoggio della Russia però non è disinteressato: dopo anni di tentennamenti, Lukashenka ha concesso ai porti russi l’esclusiva sull’esportazione di petrolio, con ingenti ritorni economici per la compagnia di stato Gazprom.
Ma il vero settore in cui i rapporti Mosca-Minsk contano è quello militare. La Bielorussia fa parte dei quei Paesi che la Russia considera la sua buffer-zone e che la proteggono da un eventuale attacco dall’Occidente, soprattutto ora che l’Ucraina non è più nella sua sfera di influenza. Grazie al comando unificato e alla recente decisione di creare di tre centri di addestramento congiunto, Russia e Bielorussia sono sempre più legate sul piano militare. Con lo scoppio delle proteste, inoltre, Lukashenka ha acconsentito allo stazionamento nel Paese di contingenti militari della Guardia Nazionale russa.
Il sogno dell’unificazione
L’attuale grado di interdipendenza tra Russia e Bielorussia non è tuttavia paragonabile al sogno russo di unificazione di cui si parla già dal 1999, quando Lukashenka e l’allora presidente russo El’cin firmarono il Trattato dell’unione per l’integrazione dei sistemi politici, economici e sociali. Fino ad oggi non si è giunti ad un simile grado di assimilazione anche a causa dell’opposizione dello stesso Lukashenka, che ha persino cercato di prendere le distanze dalla Russia prima che le proteste popolari lo costringessero a tornare sui suoi passi.
Il presidente bielorusso sa bene che Mosca non può permettersi di vedere il suo regime crollare sotto i colpi di un’opposizione filo-occidentale e sa come sfruttare il timore russo a suo favore. Il Cremlino si trova così nella scomoda posizione di dover difendere un leader che ne mina la credibilità a livello internazionale, ma il ritorno che spera di ottenere nel lungo periodo vale il sacrificio attuale.
Lukashenka ha 66 anni e il suo successore – se scelto dietro pressioni russe – potrebbe essere una figura più accomodante per l’Occidente ma ugualmente favorevole alla Russia e addirittura all’unione dei due Paesi.
Come la Russia aiuta Lukashenka
Dall’inizio delle proteste i rapporti tra Russia e Bielorussia sono diventati ancora più stretti. Mosca ha continuato a sostenere l’economia bielorussa con nuovi prestiti, ha aumentato le esportazioni di merci bielorusse in Russia, si è fatta carico del trasporto del petrolio prodotto da Minsk per aggirare l’ostilità dei Paesi baltici e ha offerto un appoggio incondizionato sul piano internazionale. Quest’ultimo aspetto è quello che più conta: senza il sostegno russo, Lukashenka sarebbe crollato sotto il peso delle proteste di piazza non avendo alleati su cui contare. Già ad agosto del 2020 Putin aveva inoltre promesso di intervenire militarmente in Bielorussia nell’eventualità di minacce militari esterne e non ha mai abbandonato il suo alleato.
Guardando agli ultimi avvenimenti, il coinvolgimento del Cremlino nella questione bielorussa è più lampante che mai. La Russia ha negato l’autorizzazione di volo nello spazio aereo russo a due compagnie aeree europee in risposta alle sanzioni imposte dall’Ue a seguito del dirottamento dell’aereo Ryanair in volo da Atene a Vilnius operato da Minsk. Il divieto è stato successivamente esteso a tutte le compagnie che si rifiutano di sorvolare la Bielorussia e diretti verso gli aeroporti russi. Ma la campagna di Mosca in difesa di Minsk si è estesa anche all’infosfera: come riportato dalla task force europea EUvsDisinfo, la Russia ha lanciato una campagna mediatica in difesa del dirottamento ordinato da Lukashenka per difenderne l’operato.
Lo stesso presidente bielorusso nell’incontro di Sochi ha portato con sé una valigia di documenti su Roman Protaevch e sulla vicenda del dirottamento per convincere Putin della giustezza della sua scelta. Tuttavia, il meeting è servito principalmente a sottolineare la stretta relazione che lega Russia e Bielorussia sia sul piano politico che economico e l’importanza di implementare il Trattato sull’unione. Come detto dal capo del Cremlino il processo di unificazione con la Bielorussia continua «nel rispetto degli interessi delle parti e senza fretta» e sta già dando «risultati concreti per i nostri cittadini». Il fine ultimo dell’intervento russo è quindi chiaro: il futuro della Bielorussia deve passare da Mosca.
Il fondo dell’Unione europea per la Bielorussia
L’Ue intanto non è rimasta a guardare e si è impegnata a sostenere l’opposizione al regime di Lukashenka. Come riportato dal Consiglio europeo, l’Unione è pronta a fare la sua parte nello stabilizzare l’economia bielorussa, nel riformare le istituzioni in senso democratico e nel sostenere la crescita della società civile. Nel fare ciò, l’Ue ha previsto un investimento 3 miliardi di euro e si aspetta che anche il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale diano presto il loro contributo.
Il piano di Bruxelles si articola lungo cinque assi: sostengo per un’economia innovativa e competitiva; miglioramento dei trasporti; promozione della trasformazione digitale e green; investimenti per rendere il Paese più democratico e trasparente. Perché ciò venga attuato è però indispensabile che la Bielorussia avii finalmente quel processo di transizione democratica tanto osteggiato da Lukashenka.