Per la prima volta nella storia, un tribunale ordina a una industria privata di allineare la sua politica all’accordo di Parigi sul clima del 2015, diminuendo le emissioni di anidride carbonica.
I protagonisti sono il giudice Larisa Alwin della Corte olandese del tribunale distrettuale dell’Aia – che ha dato ragione a sette organizzazioni e a un comitato di 17mila olandesi, costituitisi parte civile – e il colosso petrolifero (anglo-olandese) Royal Dutch Shell.
La sentenza di mercoledì scorso – considerata storica non solo dagli ambientalisti e che potrebbe rappresentare un precedente internazionale per altre multinazionali che basano i loro profitti sulle fonti fossili – impone alla multinazionale, ai suoi fornitori e ai suoi clienti, di garantire un taglio delle emissioni nette di CO2 del 45 per cento rispetto ai livelli del 2019 entro la fine del 2030. Shell ha dichiarato che impugnerà la sentenza.
Tutto è iniziato nel 2019, quando il caso del “popolo contro Shell” prende le mosse dall’iniziativa di Milieudefensie, filiale dell’organizzazione ambientalista internazionale Friends of the Earth, sostenuta da sei ong tra cui Greenpeace e ActionAid.
Secondo il giudice Alwin la compagnia petrolifera sarebbe responsabile di un’enorme quota di emissioni di CO2, equivalente a quella dell’intera Russia. In più, gli impegni presi dal gigante petrolifero nel periodo 1988-2015 non sarebbero stati «abbastanza concreti».
La politica di sostenibilità di Shell è stata giudicata insufficiente dal tribunale olandese e questa sentenza potrebbe avere importanti implicazioni per l’industria energetica, anche perché di cause analoghe, secondo i dati di climatecasechart.com, ne sono state contate 1.800 in tutto il mondo.
Da parte sua Shell, che ha dichiarato che impugnerà la sentenza, aveva sostenuto a febbraio di aver fissato nuovi obiettivi per ridurre la propria impronta di carbonio netta rispetto a una previsione del 2016 del 20 per cento entro il 2030, del 45 per cento entro il 2035 e del 100 per cento entro il 2050.
Shell si è difesa sostenendo di essere impegnata in seri sforzi per ridurre le emissioni di gas, ma che non esiste una base giuridica per il caso e che sono i governi a essere responsabili del raggiungimento degli obiettivi di Parigi.
«Legalmente, economicamente e socialmente la sentenza è significativa», ha spiegato al Financial Times Thom Wetzer, professore e fondatore dell’Oxford Sustainable Law Programme (SLP). «Tutte le aziende del settore energetico e tutti gli emettitori pesanti saranno avvisati e dovranno accelerare i loro piani di decarbonizzazione».
Come riportato dal Ft, sebbene abbia affermato che investirà miliardi di dollari in energia a basse emissioni di carbonio, compresi punti di ricarica per veicoli elettrici, idrogeno, energie rinnovabili e biocarburanti, Shell ha spiegato che si muoverà «di pari passo con la società».
Pur riconoscendo che Shell «non può risolvere questo problema globale da sola», il giudice Larisa Alwin ha affermato che ciò non «assolve» l’azienda dalla sua responsabilità di ridurre le emissioni «che può controllare e influenzare». Il giudice ha aggiunto che Shell «ha la totale libertà di adempiere al proprio obbligo di riduzione come meglio crede».
Secondo una rielaborazione del Sole 24 Ore su un rapporto di Carbon Tracker, per allinearsi agli obiettivi sul clima le major petrolifere dovrebbero ridurre la produzione di 4,5 milioni di barili al giorno. Un taglio pari a circa la metà di quello effettuato dall’Opec Plus al picco della pandemia da Covid, però definitivo.
«Questa», ha sottolineato Donald Pols, direttore di Milieudefensie, «è una vittoria colossale per il nostro pianeta e per i nostri figli ed è una tappa verso un futuro vivibile per tutti. Il giudice non ha lasciato spazio a dubbi: Shell sta incentivando il pericoloso cambiamento climatico e deve fermare il suo comportamento distruttivo ora». Secondo Sara Shaw di Friends of the Earth International, «questo risultato è una vittoria per le comunità che vivono nei Paesi del Sud del mondo, che stanno già affrontando le conseguenze devastanti del climate change».