Precarietà patologicaLe misure del decreto Sostegni bis rischiano di peggiorare la scuola italiana

Gli articoli 58 e 59 approvati dal governo confermano la volontà di privilegiare la semplificazione amministrativa a scapito della qualità e della professionalità della docenza, ma anche di considerare l’insegnamento alla stregua di un impiego statale meno qualificato

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Nel decreto legge 73 del 25 maggio, il cosiddetto sostegni bis, alla scuola sono dedicati due articoli, il 58 e il 59. Tra le tante disposizioni degne di approfondimento ce ne sono due che hanno un maggiore impatto sulla quotidianità degli studenti. La prima è la modifica della data di inizio delle lezioni e quella della conclusione delle procedure per l’avvio dell’anno scolastico. L’inizio delle lezioni sarà anticipato o posticipato? Non è una differenza da poco, ma la norma su questo tace. Un comunicato stampa del ministero parla di anticipo della fine delle procedure, ma qualcosa non torna: quando una norma mi obbliga a concludere entro una certa data, se voglio finire prima non ho certo bisogno di cambiarla.

Ecco quindi che il sospetto che in realtà l’idea sia di posticipare l’avvio per avere più tempo per assumere i docenti non sembra solo una questione tecnica, perché i nostri ragazzi hanno già perso moltissimi giorni di scuola: sacrificare il loro tempo per le inefficienze del sistema sarebbe l’ennesima conferma di quale sia il fattore che determina le scelte di politica scolastica nel nostro Paese. Una dimostrazione plastica che la scuola è governata nell’interesse del personale e non degli studenti e delle loro famiglie.

Eppure, un modo per conciliare le esigenze amministrative e quelle degli studenti ci sarebbe: sei costretto a posticipare l’inizio delle lezioni? Il minimo è fare lo stesso anche con la fine, o meglio ancora accogliere la proposta del Gruppo Condorcet di rimodulazione complessiva del calendario scolastico: un appello scritto nell’emergenza, ma pensato per i tempi ordinari.

Il secondo punto che impatta più di quanto non si pensi sulla scuola di tutti i giorni è la possibilità per i neoassunti di cambiare scuola a soli due anni dalla conferma in ruolo e non più dopo cinque. Perché questo sia fonte di problemi è spiegato in questo articolo: prima di intervenire sulla tempistica bisognerebbe rivedere le regole che governano i trasferimenti, prendendo spunto per esempio da quelle per i dipendenti degli enti locali.

Si è invece scelto di intervenire a regole invariate con grave danno per gli studenti, in particolare quelli delle regioni del centro-nord.

Ma è sull’articolo 59 che si concentra il dibattito di queste ore visto che il reclutamento sembra essere l’unica cosa che conta quando si parla di scuola. I commi da 4 a 9 contengono l’intervento che più di tutti ha le caratteristiche della sanatoria (tra sanatorie vere, mezze sanatorie e simil-sanatorie ne ho contate cinque).

Si è scelto di salvare una parte (chi è in prima fascia delle graduatorie per le supplenze) di quelli che non hanno superato il concorso dello scorso anno, riservato a chi ha almeno tre anni di servizio.

Per completare il quadro, da quel concorso non verranno più assunti solo i vincitori ma anche gli idonei e che non dovranno più sostenere la prova finale, né conseguire 24 crediti universitari. Non si poteva negare una mezza sanatoria anche a loro, dato il contesto: «Vorrei un decreto con tre sanatorie per favore». «Sono quattro dotto’, lascio?». «Allora già che c’è… faccia cinque».

È la prima volta che si interviene con una procedura riservata a chi non ha superato una precedente procedura riservata ancor prima che vengano pubblicate le relative graduatorie.

Se ho appena fatto un concorso per quella platea, perché una nuova procedura? A chi è rivolta? A coloro che hanno maturato tre anni di anzianità dopo che il concorso è stato indetto (e che quindi non hanno potuto superarlo), a coloro che pur potendo non hanno partecipato (quelli che non hanno voluto), a coloro che pur potendo e volendo non lo hanno superato (quelli che non hanno saputo).

Individuare o rivendicare la medesima soluzione per tre gruppi con caratteristiche così diverse non potrà essere né equa né giusta, proprio perché univoca.

La cosa più preoccupante in prospettiva è che si sceglie di immettere in ruolo da una graduatoria pensata per le supplenze (GPS, in gergo): a chi conosce la scuolastica e la sua storia sarà subito chiaro che stanno ricostituendo le graduatorie permanenti, a mia memoria la più imponente fucina di precariato che la scuola abbia mai conosciuto.

Non si sono fatte attendere quindi le richieste di introdurre con la legge di conversione procedure che in prospettiva porteranno al ruolo anche le seconde fasce delle GPS.

Se passasse questa idea, le seconde fasce diventerebbero il canale per abilitarsi, come le prime lo diventano adesso per il ruolo.

Si sta prefigurando un meccanismo semiautomatico e molto semplice (per lo Stato), ma poco coerente con una professione intellettuale e con la dignità del lavoro: faccio tre anni di supplenza, questo mi dà diritto a un percorso privilegiato per abilitarmi, l’abilitazione mi dà diritto dopo altri tre anni al ruolo.

Dopo sei-sette anni (che presto diventeranno molti di più) senza che nessuno abbia mai valutato il mio lavoro in classe, senza che nessuno mi abbia mai formato per quella professione, divento docente a tempo indeterminato. E quando, nell’anno di prova, finalmente il mio lavoro potrà essere valutato sarò un signore, probabilmente di mezza età, che insegna da così tanto che chi se la prende la responsabilità di mettermi in mezzo a una strada?

Possiamo già immaginare come andrà a finire. Non per capacità divinatorie, ma perché è esattamente la situazione cui si è trovato di fronte l’ex ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni quando è arrivato a Viale Trastevere nel 2006: una pressione enorme per entrare in queste graduatorie, visto che prima o poi daranno accesso all’agognato posto fisso e che in pochissimi anni si sono riempite, rendendo la supplenza sempre più incerta.

Fioroni decise di trasformare le permanenti in graduatorie a esaurimento, per porre fine gradualmente a quello scempio. Risultato che verrà sostanzialmente raggiunto solo una dozzina d’anni dopo e che dal ministro Marco Bussetti in poi si fa di tutto per sabotare più o meno consapevolmente (le GPS vengono introdotte dalla ex ministra Lucia Azzolina con ben più nobili obiettivi, ma che avrebbero rappresentato il cavallo di Troia per chi sperava in questo sviluppo lo avevamo previsto in molti).

La trasformazione delle GPS in canale di reclutamento avrà un’altra conseguenza: avendo questo canale che consente allo Stato di reclutare senza alcuno sforzo, verrà meno l’incentivo a fare i concorsi, che con ogni probabilità torneranno a essere decennali.

I limiti del concorso tradizionale sono chiari anche a me e la volontà di superarli non può essere un tabù. Ma se la volontà è questa, si abbiano il coraggio di dichiararla, la forza di rivendicarla e la capacità di governarla.

In concreto, questo significa affiancare alla docenza formazione specifica, tutorship e osservazione sul campo, ma soprattutto la possibilità di valutare ogni anno il servizio svolto, dando alle scuole gli strumenti giuridici per fermare prima chi va fermato (in sei anni li riconosci).

Come abbiamo visto, la scelta è un’altra: si privilegia la semplificazione amministrativa a scapito della qualità e della professionalità della docenza; si torna a considerare l’insegnamento alla stregua di un impiego statale meno qualificato; si riporta a una dimensione patologica la precarietà, proprio quando stava diventando fisiologica. In sintesi: ci si mette una toppa, ma di quelle peggiori del buco.