Non esiste gruppo di insegnanti sui social network nel quale non si evochi ad ogni nota ministeriale, ad ogni decreto, ad ogni evoluzione normativa, il ritornello benaltrista delle classi pollaio. Ma quante sono queste classi pollaio?
Prima di tutto, cerchiamo di smontare alcune bufale dovute a legittime percezioni. Supponiamo che in una scuola ci sia una classe pollaio. Che questa scuola abbia 1000 studenti e 100 insegnanti. Avremo cento insegnanti che diranno sui social: «Nella mia scuola c’è una classe pollaio», ma questo corrisponde a 32 studenti su 1000, 3,2 studenti su 100.
Il 3,2% degli studenti di quella scuola è in una classe pollaio. Supponiamo che in una scuola vicina non ci siano classi pollaio, ma tutti sappiano che in quella appena indicata ce n’è una. Questi diranno: «Nella scuola vicina alla mia ci sono le classi pollaio!». Si noti già una prima distorsione, quella che passa dal singolare al plurale. Infine cito un episodio.
Una mia cara amica insegnante, su un noto social network, in una discussione sul tema mi ha redarguito: «Una mia amica avrà l’anno prossimo una prima di 32 persone. Nel mio liceo l’anno prossimo due prime di 27 con un alunno certificato per ciascuna, a seguire due terze di 26 e 27. Due anni fa al professionale abbiamo avuto una prima meccanica (meccanica, ripeto, rendiamoci conto) di 33 persone più alunno certificato. A Firenze ho insegnato in una prima di 28 con cinque alunni certificati».
Facciamo un po’ di conti. «Una mia amica avrà una classe di 32 persone». Quante amiche avrà questa amica? Tutte diranno «una mia amica avrà una classe di 32 persone». Se le amiche sono 30, voi conterete 30 classi pollaio, ma si tratta sempre della stessa. E se in quella scuola c’è solo quella classe lì avremo il 3,2% di persone che frequentano una classe pollaio. Troppe, certo. Ma non tante.
Prime da 27 o da 26 sono certo corpose, ma per quale motivo non si citano mai le classi quinte da 15 studenti? È lo stesso che ci induce a pensare di essere sfortunati coi semafori perché notiamo quelli rossi, ma trascuriamo di contare i casi favorevoli e non lo facciamo perché non li notiamo, infatti non ci disturbano.
Il caso della prima meccanica con 33 persone è spinoso. Romperla sarebbe cosa buona e giusta, ma avremmo una classe da 17 e una da 16. Se c’è margine nell’organico di fatto, questo succede, ma gli Uffici Scolastici Regionali governano delle coperte che non sono troppo elastiche, di conseguenza se favorisco, ad esempio, le scuole primarie dove si costruisce il futuro delle persone (assumendo che l’istruzione precoce sia quella più formativa ed efficace per costruire “ascensori sociali”), inevitabilmente non avrò risorse per compensare casi del genere.
Infine non è raro insegnare in classi dove ci siano diversi alunni certificati. È sufficiente farlo in un istituto professionale dove succede spesso che ci siano, a titolo di esempio, tre classi prime e quindici alunni certificati. O la scuola ne accetta tre, per non eccedere nel numero di disabili per classe, oppure questo è il risultato. Poi ci sono moltissime classi nei licei e negli istituti tecnici dove i disabili non ci sono. Spariti.
Una statistica che ho chiesto agli uffici del Ministero dell’Istruzione potrebbe gettare luce definitiva sul fenomeno e sarà mia cura fornirla appena mi verrà comunicata. È infatti risolutivo un dato fornito in queste due maniere:
- Istogramma con il numero di classi con 1, 2, 3, 4… 29, 30, 31… studenti.
- Istogramma con la probabilità di uno studente di essere allocato in una classe con 1, 2, 3, 4… 29, 30, 31… studenti.
Entrambi questi istogrammi dovrebbero fornire il dato complessivo (tutto il paese), macroregione e per regione, ma anche per ordine e grado di scuola (infanzia, primaria, secondaria di primo grado, di secondo grado, licei, tecnici, professionali, liceo scientifico, istituto tecnico dei trasporti e della logistica, istituto professionale commerciale, etc.; questi ultimi sono alcuni dei possibili indirizzi e sono esplicitati a titolo di esempio). Questi istogrammi ci consentirebbero di osservare oggettivamente il fenomeno, al netto delle percezioni distorte secondo l’effetto “semaforo rosso” più sopra descritto.
Ci viene comunque in soccorso il sito dell’Istat nel quale ho trovato i dati medi, suddivisi come appena richiesto al Ministero dell’Istruzione, che sono interessanti e significativi, ma che manifestano il difetto che è ben noto a tutti per la poesia dei polli di Trilussa e agli statistici che preferiscono coadiuvarlo con altri indici, ad esempio mediana e moda, o completarlo con la deviazione standard. Ne fornisco qui un riassunto che penso essere sufficientemente interessante (anche se informativamente povero quanto lo è una media).
I dati qui riportati si riferiscono alle scuole pubbliche statali. Nel sito sono riportate anche quelle paritarie che non sono considerate in questa sede per esigenze di sintesi divulgativa.
Intanto si rileva che il numero medio di studenti per classe non è tanto distante da 20, cosa che è piuttosto rilevante e distante dall’essere quello di una classe pollaio. Questo significa che se ho una classe da 32 persone, ce ne sono due da 14. Significa che un insegnante insegna tre ore in una classe da 32 persone e sei ore in classi con 14 persone. Oppure insegna nove ore in classi da venti persone.
Naturalmente ci sono differenze significative a livello geografico e di istituzione. Questo grafico le mostra chiaramente (occorre fare attenzione al fatto che un punto in più non è affatto incremento trascurabile!). Mi sono permesso di estrapolare il dato della Liguria meramente per il fatto che in questa regione io abito, ma tutte le altre sono parimenti censite nel sito sopra indicato e ciascuno potrà fare le proprie ricerche puntuali.
Salta all’occhio il dato del liceo scientifico (nel liceo classico si hanno dati similari), cioè la scuola maggiormente frequentata e, anche, quella maggiormente frequentata dalla “Genova bene”, dalla “Roma bene”, dalla “Palermo bene”. Cioè dall’“Italia bene”. Questa “Italia bene” è quella dei parlamentari, dei giornalisti, degli avvocati, dei medici e degli imprenditori che hanno maggiore influenza e accesso ai media. E quello che emerge, senza una lettura attenta dei dati, è quindi proprio una percezione distorta del fenomeno perché chi ha voce è poco significativo (o parzialmente significativo), mentre chi non ha voce se la passa meglio, ma non può dirlo.
Se è vero che nelle scuole frequentate dall’“Italia bene” il fenomeno delle classi pollaio è più diffuso che altrove e, certamente, significativamente diffuso, si trascura tuttavia il fatto che la percentuale di studenti disabili in quel segmento è meno dell’uno percento, mentre sfiora il 10% negli istituti professionali che hanno classi mediamente più piccole (tre studenti in media di meno).
La notizia del giorno è legata alle imminenti assunzioni che si configurano in modo tale da accondiscendere le differenze occupazionali che leggete in tabella, invece che contrastarlo. Prendendo atto del fatto che nelle graduatorie meridionali ci sono molti aspiranti che non desiderano spostarsi al nord, si prospettano ulteriori limature nell’organico di diritto nelle regioni settentrionali per gonfiare quello meridionale. Non potendo assumere “precari pronti all’uso” al nord e dovendo sfoggiare significativi numeri di assunzioni, tra le righe normative ad oggi trapelate si nota questo dettaglio. A saperlo leggere, beninteso.
Taccio sugli studi dell’Ocse Pisa che non sono del tutto incoraggianti in merito all’efficacia didattica nelle classi con basso numero di studenti e che mostrano modi migliori di spendere i soldi, se si ha a cuore il successo formativo degli studenti. Quindi affrontare queste questioni è davvero molto complicato. Maledettamente controintuitivo e complicato.