Se c’è una cosa che oggi non vogliamo proprio sentirci dire è che anche questa epidemia Covid-19 dipende dalle nostre azioni scriteriate a danno dell’ambiente.
Oltre al cambiamento climatico, all’esaurimento delle risorse, all’impoverimento della vita sulla Terra, ci mancava che le malattie fossero colpa nostra, e non determinate dal caso o dall’ira degli dei. Ma ormai dobbiamo iniziare a ricrederci, e riconsiderare sotto una nuova luce anche altri casi recenti, come: Marburg (1967), Ebola (1976), AIDS (1986), Hendra (1994), Nipah (1998), Nilo occidentale (1999), SARS (2003) e suina (2009), nonché l’influenza A/H1N1 e MERS-CoV.
Tutte le ultime nove o dieci pandemie (sarebbe meglio dire «malattie potenzialmente pandemiche», perché solo AIDS e Covid-19 sono vere pandemie) sono colpa nostra. Ma è possibile?
I ricercatori partono da una semplice considerazione, ossia che il minimo comune denominatore di tutte queste patologie è indubbiamente la trasmissione animale. Sono tutte, cioè, zoonosi.
Circa i tre quarti delle EID (Emerging Infectious Diseases, malattie infettive emergenti) derivano da un’interazione più o meno diretta fra animali selvatici (qualche volta anche addomesticati) e sapiens. Però la differenza con il passato è cruciale: come si è visto, la domesticazione degli animali ha comportato la trasmissione delle infezioni che si sviluppavano all’interno dei branchi.
Del resto buoi, pecore e maiali vengono da progenitori selvatici che continuavano ad ammalarsi, anche se non riuscivano a trasmettere i contagi a popolazioni vaste di altri viventi.
Per millenni i sapiens hanno convissuto con quelle malattie e sono riusciti a sviluppare una relativa immunità prima dell’arrivo dei vaccini. Raggiunto un certo equilibrio con le malattie degli animali domestici, i sapiens moderni si sono trovati ad aver a che fare con i patogeni portati dagli animali selvatici e i contagi sono stati inevitabili.
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Le pandemie certificano che l’impoverimento della biodiversità, cioè della ricchezza della vita sul pianeta, porta conseguenze negative soprattutto per l’umanità. Sono almeno 40.000 le specie di viventi da cui traiamo servizi gratuiti: aria e acqua pulite, immagazzinamento di anidride carbonica in eccesso, cibo, principi attivi medicinali, divertimento e svago.
Ma gli uomini si muovono sulla Terra buttando all’aria gli ecosistemi: nessun’altra specie si comporta in questo modo. I cambiamenti sul pianeta sono la regola, ma dove passa l’uomo si distruggono gli habitat e si va ben oltre la competizione darwiniana per le nicchie ecologiche, che infatti, nei casi in cui non ci sono sapiens nei dintorni, continuano a rimanere integre.
Dove passa l’uomo no, il degrado e la distruzione cancellano letteralmente i viventi e i loro habitat naturali. Cioè gli uomini non spostano altrove gli ecosistemi, li spazzano via, specialmente trasformando praterie e foreste in città e centri commerciali.
Oppure riducendoli a minimi termini che permettono la resistenza in vita di una specie solo a livello simbolico, come è il caso del panda gigante, in Cina, ridotto a poche decine di esemplari per via dell’agricoltura.
L’estinzione di una specie è per sempre, dunque non ha possibilità di ritorno, però non è tanto il fenomeno dell’estinzione in sé a preoccupare, ma quello del tasso di estinzione, che è diventato troppo elevato: attualmente di circa 30.000 specie all’anno, un numero enorme, lo stesso che ha preceduto in passato le cinque grandi estinzioni di massa della vita sulla Terra. E che fa pensare a molti studiosi che se ne stia preparando una sesta.
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Ma partiamo da una questione basilare: se facessimo sparire dal mondo tutti i virus, i batteri e i patogeni in generale, noi sapiens dovremmo essere contenti? La risposta è no, perché senza virus noi non potremmo continuare a esistere: nel nostro genoma risiedono almeno due sequenze di DNA originate dai virus senza le quali i nostri ricordi non sarebbero possibili, così come nel nostro genoma e in quello dei primati risiedono due sequenze di DNA originate da virus senza le quali non si potrebbe partorire.
Frammenti di DNA virale contribuiscono a impacchettare e immagazzinare i nostri ricordi in vescicole di proteine. L’8 per cento del genoma umano è costituito da DNA virale: come a dire che i nostri geni sono anche geni virali, in particolare retrovirus di passate malattie con cui abbiamo convissuto trovando un equilibrio epidemiologico.
I virus sono gli angeli oscuri dell’evoluzione e innescano transizioni evolutive cruciali per cui il parassitismo diventa una simbiosi, una dipendenza reciproca di cui beneficia anche l’ospite. Quindi non è vero che nessun virus fa bene, non sono solo frammenti di brutte notizie avvolti nelle proteine, qualche volta ne hanno portate e ne portano anche di buone.
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Eliminare virus e batteri non è (vorrei dire per fortuna) possibile, e nemmeno possiamo scegliere quali mantenere. Non è peraltro interesse del germe sterminare gli ospiti, tutt’altro, la sua convenienza è mantenerli in vita almeno fino al momento in cui si sia diffuso nella maniera più massiccia.
O, meglio, al parassita interno è indifferente cosa accade all’ospite, l’importante è che sia funzionale a lui. Più in generale, a livello di specie e sul lungo periodo, per lui come per l’ospite, il raggiungimento di un equilibrio è l’obiettivo cruciale.
Proprio per questo, ciò che dobbiamo fare è conviverci, cronicizzando le malattie e mettendo in opera vaccini, esattamente come abbiamo fatto con il retrovirus HIV, visto che l’immortalità non è ancora contemplata per la nostra specie. E riconoscendo che il nostro migliore vaccino sono la conservazione e la tutela della natura intatta. Da un punto di vista evolutivo, la guerra contro i virus e, in qualche misura, contro i batteri non è difficile, è inutile. Se siamo ancora in vita – come specie umana – è perché batteri e virus hanno un precipuo, evidente interesse alla nostra sopravvivenza.
Ciononostante, siamo pur sempre stati in grado di misurare qualcosa di imperscrutabile come il moto dei corpi celesti e di partire alla scoperta dell’universo; ciononostante, siamo in grado di modificare profondamente l’ambiente terrestre e produciamo arte e cultura. In tutta questa avventura ce li siamo comunque sempre portati con noi.
Mario Tozzi, Uno scomodo equilibrio. Uomini, virus e pandemie, 2021, Mondadori, pagine 228, euro 19