Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa
Alcuni esperti interpellati dai giornalisti del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS) in merito all’annunciata introduzione di una nuova tassa sul carbonio dell’Unione (il cosiddetto Carbon Border Adjustment Mechanism) affermano che l’applicazione di questa tassa potrebbe portare all’aumento delle bollette dell’energia elettrica e alla riduzione degli investimenti esteri e della produzione industriale in Serbia.
La nuova tassa verrà applicata infatti alle importazioni di alcune merci prodotte nei paesi terzi dove le leggi sulle emissioni di CO2 sono meno severe di quelle vigenti nell’Unione. La Commissione europea dovrebbe presentare una proposta legislativa per l’introduzione del Carbon Border Adjustment Mechanism nel corso del secondo trimestre di quest’anno.
Recentemente, parlando al Parlamento europeo, il Commissario europeo per l’economia Paolo Gentiloni ha dichiarato che, oltre alla nuova tassa sul carbonio, la Commissione sta valutando la possibilità di introdurre anche altre misure per ridurre le emissioni di CO2.
Lo scopo dell’introduzione della nuova tassa sul carbonio è quello di contrastare la cosiddetta delocalizzazione della CO2, cioè la pratica adottata da molte aziende di trasferire la produzione nei Paesi in cui non c’è alcuna tassa sulle emissioni di CO2, come la Serbia.
Il Carbon Border Adjustment Mechanism, che dovrebbe essere introdotto entro il 2023, riguarderà innanzitutto i settori più inquinanti.
Stando ai dati resi noti dall’Agenzia internazionale dell’energia (AIE), in Serbia le emissioni di CO2 derivano principalmente dalla produzione di energia elettrica e termica, nonché dalle attività industriali.
Secondo quanto anticipato dal Segretariato della Comunità dell’energia [ente istituito allo scopo di allargare il mercato energetico dell’Unione ai Paesi del sud-est Europa e della regione del Mar Nero, ndr], la nuova tassa sul carbonio verrà applicata anche all’energia elettrica prodotta dalle centrali a carbone.
L’analisi condotta dai giornalisti di CINS dimostra che l’introduzione di questa tassa potrebbe comportare tutta una serie di conseguenze per la Serbia, soprattutto considerando che circa il 70% dell’energia elettrica prodotta in Serbia deriva dalla combustione del carbone.
Secondo le ultime stime della Camera di commercio di Belgrado, nel corso del 2021 la Serbia esporterà in Europa circa l’8% dell’energia elettrica prodotta.
Viktor Berishaj dell’organizzazione Climate Action Network Europe spiega le possibili modalità di applicazione della nuova tassa europea sul carbonio.
«Se l’Unione dovesse decidere di applicare questa tassa sull’energia elettrica prodotta in Serbia dai combustibili fossili potrebbe tassarla sulla base della quantità di energia importata misurata in megawattora, oppure sulla base della quantità di CO2 emessa, ma in entrambi i casi l’importo dovrebbe corrispondere all’importo della tassa sulle emissioni di CO2 in Europa».
Nel 2019 in Serbia le centrali termoelettriche hanno emesso più di 27,3 milioni di tonnellate di CO2, dei quali oltre 20,3 milioni di tonnellate sono stati emessi dalla sola centrale “Nikola Tesla” di Obrenovac.
Bojan Stanić della Camera di commercio di Belgrado spiega che le principali aziende serbe operanti nell’industria chimica, metalmeccanica, automobilistica e della gomma, che consumano grandi quantità di energia, coprono circa il 52% dell’export serbo verso l’Europa.
Stando alle sue parole, le dieci più importanti aziende operanti in questi settori, di cui molte gestite dalle grandi compagnie extra-europee, coprono circa il 21% dell’export serbo, tra cui Tigar Tyres, HBIS Group, Serbia Zijin Bor Copper, Yura Corporation, Philip Morris International, Fiat e l’Industria petrolifera della Serbia (NIS).
Conseguenze per i cittadini serbi
Zvezdan Kalmar del Centro per l’ecologia e lo sviluppo sostenibile (CEKOR) di Belgrado afferma che le conseguenze dell’introduzione della nuova tassa sul carbonio cadranno soprattutto sulle spalle dei cittadini, che rischiano di vedersi aumentare le bollette dell’energia elettrica.
«L’Agenzia elettrica della Serbia (EPS) sicuramente non dispone di risorse sufficienti per pagare le tasse ambientali, che quindi dovranno essere pagate dai cittadini», spiega Kalmar.
Anche Slobodan Minić del Consiglio fiscale è dello stesso parere. Stando alle sue parole, la Serbia non è una grande esportatrice di energia, ma il surpuls di energia prodotta viene comunque esportato. Minić spiega che la nuova tassa europea sul carbonio non colpirà tanto l’EPS quanto piuttosto le aziende serbe che consumano l’energia sporca.
«Gli investitori stranieri continueranno ad aprire fabbriche in Serbia se dovranno pagare ingenti tasse per poter esportare le merci prodotte nell’Unione?», si chiede Slobodan Minić.
Minić aggiunge inoltre che un’eventuale riduzione degli investimenti esteri porterebbe alla diminuzione della produzione industriale in Serbia, e forse anche ad un calo dello standard di vita. Senza investimenti esteri di alta qualità non può esserci alcun trasferimento di tecnologie e conoscenze e si rischia di innescare in un circolo vizioso di stagnazione economica.
Secondo Minić, l’introduzione del nuovo meccanismo di aggiustamento del carbonio comporterà anche un aumento dei prezzi delle merci prodotte in Serbia, rendendo così l’industria serba meno competitiva.
Viktor Berishaj spiega che le aziende operanti nei settori che contribuiscono allo sviluppo economico inizialmente potrebbero essere esentate dal pagamento della nuova tassa sul carbonio, aggiungendo però che tali eccezioni sicuramente non verranno applicate alla produzione di energia elettrica da combustibili fossili.
La Serbia chiede chiarimenti all’Europa
Interpellato dai giornalisti di CINS in merito al nuovo Carbon Border Adjustment Mechanism, il ministero dell’Integrazione europea ha precisato che la Serbia ha presentato una serie di obiezioni all’Unione, sostenendo che l’introduzione della nuova tassa sul carbonio rappresenterebbe “una violazione diretta dell’Accordo di stabilizzazione e associazione”, perché non prevede un’armonizzazione graduale alla normativa europea, bensì la piena applicazione delle nuove norme.
Secondo il ministero, l’applicazione delle nuove norme potrebbe avere forti conseguenze sull’economia serba, soprattutto tenendo conto del fatto che circa il 65% dell’export serbo è diretto verso l’Europa.
L’Agenzia dell’energia serba non ha voluto rispondere alle domande di CINS in merito alla nuova tassa Ue sul carbonio, invitando i giornalisti a contattare il ministero delle Miniere e dell’Energia, mentre il ministero del Commercio, del Turismo e delle Telecomunicazioni ha suggerito a CINS di rivolgersi al ministero dell’Ambiente. Al momento della pubblicazione di questo articolo non abbiamo ricevuto alcuna risposta né dal ministero dell’Energia né dal ministero dell’Ambiente, e nemmeno l’EPS ha voluto rispondere alle nostre domande sulla quantità di energia esportata verso l’Europa e su un eventuale aumento delle bollette dell’energia elettrica a seguito dell’introduzione della nuova tassa sul carbonio.
Bojan Stanić teme che la Serbia possa diventare una vittima collaterale della lotta per il controllo del mercato tra le grandi potenze.
«Vi è il rischio che, con la scusa della tutela dell’ambiente, questa vicenda si trasformi in un conflitto basato sul protezionismo, cioè in una gara tra le economie più sviluppate, ovvero tra l’Unione, gli Stati Uniti, la Cina e altri paesi industrializzati con un elevato tasso di crescita economica», afferma Stanić, aggiungendo che occorre dare tempo ai paesi in via di sviluppo per recuperare il ritardo rispetto alle economie avanzate.
Stanić spiega inoltre che la Serbia dovrebbe fare tutto il possibile per proteggere l’ambiente, cercando, al contempo, di trovare una via di mezzo tra la tutela dell’ambiente e lo sfruttamento del potenziale industriale.
Slobodan Minić invece ritiene che l’Unione con l’introduzione della nuova tassa sul carbonio voglia inviare un messaggio ai paesi come la Serbia, mettendo in chiaro che non è possibile risparmiare ignorando la necessità di proteggere l’ambiente.
Secondo Minić, la Serbia ha due opzioni. «Possiamo seguire l’esempio dell’Unione, e questo significa una transizione verde, l’introduzione delle misure per la riduzione delle emissioni di CO2, quindi l’adeguamento alle direttive europee […] e un’eventuale riduzione o l’esenzione totale dal pagamento di quella tassa. La seconda opzione è quella di non fare nulla, il che praticamente significa che saremo costretti a pagare quella tassa speciale […] Questa seconda opzione è decisamente più onerosa», afferma Minić.
Emissioni di CO2 in aumento
Nonostante si sia impegnata a ridurre l’inquinamento atmosferico, la Serbia è al secondo posto tra i Paesi dei Balcani occidentali (preceduta solo dalla Bosnia Erzegovina) per investimenti nel carbone. Stando ai dati pubblicati dalla Comunità dell’energia, nel periodo tra il 2015 e il 2019 la Serbia ha destinato 388 milioni di euro agli incentivi per la produzione di energia elettrica dal carbone, e di questa cifra 41 milioni sono stati stanziati solo nel 2019.
L’anidride carbonica è il primo gas a effetto serra emesso in Serbia. Le emissioni di CO2 rappresentano una delle principali cause dei cambiamenti climatici che provocano, tra l’altro, siccità, inondazioni e temperature estreme, minacciando la salute umana.
Stando ai dati resi noti dall’Agenzia per la protezione dell’ambiente (SEPA), nel 2018 le emissioni di CO2 rappresentavano il 99,44% di tutte le emissioni di gas serra in Serbia, segnando un aumento di 8 punti percentuali rispetto al 2000.
La Serbia ormai da tempo avrebbe dovuto ridurre anche le emissioni di anidride solforosa (SO2), di ossidi di azoto (NOx) e di polveri sottili che possono causare diverse malattie cardiovascolari e respiratorie e aumentare il rischio di morte prematura. Al momento solo nella centrale termoelettrica di Kostolac B esiste un sistema di desolforazione, ed è in corso la costruzione di un simile impianto presso le termocentrali Nikola Tesla A e B.
Zvezdan Kalmar mette in guardia sul fatto che la tendenza ad investire negli impianti di desolforazione potrebbe produrre un effetto boomerang, perché questi impianti non solo non riducono le emissioni di CO2, ma consumano grandi quantità di energia e, mantenendo in funzione le centrali termoelettriche, contribuiscono all’aumento della produzione e del consumo di carbone e quindi anche all’incremento delle emissioni di CO2.
Nel gennaio 2021 la Comunità dell’energia ha inviato una lettera alla Commissione serba per il controllo degli aiuti statali, invitandola a verificare se i sussidi per il settore del carbone – che, secondo la Comunità dell’energia, mantengono artificiosamente basso il prezzo dell’energia elettrica in Serbia – possano essere considerati come aiuti di stato.
Investimenti cinesi
La maggior parte degli investimenti effettuati negli ultimi anni nell’industria mineraria e metalmeccanica in Serbia proviene dalla Cina. Si tratta però di investimenti che comportano numerosi rischi legati all’inquinamento.
Come abbiamo già scritto, nel 2020 l’azienda cinese Zijing è stata condannata in primo grado a una sanzione amministrativa di 400mila dinari (circa 3400 euro) per l’inquinamento atmosferico causato dalla miniera di Bor. Anche i cittadini di Smederevo che vivono nei pressi dell’acciaieria, gestita dalla compagnia cinese HBIS Group, lamentano la pessima qualità dell’aria.
Nel 2014 la Serbia ha ottenuto un prestito dalla banca cinese Exim per la costruzione di un nuovo blocco della centrale termoelettrica Kostolac B e per l’aumento della capacità produttiva della miniera di Drmno da cui si estrae il carbone usato nella centrale.
L’ampliamento della centrale di Kostolac B è stato annunciato come il più grande investimento nel settore energetico e il primo grande progetto di costruzione di un impianto industriale in Serbia negli ultimi tre decenni.
Nel dicembre 2020 il direttore del Segretariato della Comunità dell’energia Janez Kopač ha dichiarato all’agenzia Beta che «il sostegno irragionevole al carbone» rappresenta un grande problema per la Serbia, affermando inoltre che l’annuncio del presidente serbo Aleksandar Vučić di voler ampliare la centrale di Kostolac [arrivato pochi mesi dopo la firma della Dichiarazione di Sofia che prevede la totale decarbonizzazione entro il 2050] «risulta completamente irragionevole se la promessa riguardante la decarbonizzazione è seria».
Molti attivisti hanno criticato anche il progetto di costruzione di una fabbrica di pneumatici a Zrenjanin finanziato dall’azienda cinese Ling Long, in quanto violerebbe la normativa sull’inquinamento atmosferico, mentre i cittadini di Bor sono preoccupati per i danni ambientali causati dalla nuova miniera di rame gestita dall’azienda Zijin.
Dušan Stokić della Camera di commercio di Belgrado afferma che, nonostante sia al primo posto al mondo per emissioni di CO2, la Cina investe nella riduzione dell’inquinamento.
Stando alle sue parole, sia lo stato che la società civile e i media possono incidere sulla questione dell’inquinamento e dei suoi effetti sulla salute umana.
«Gli investitori odierni, ma anche quelli futuri dovranno rispettare anche le regole vigenti nell’Unione perché noi, un passo alla volta, ci stiamo avvicinando all’Europa […] Se il nostro stato dovesse insistere sull’applicazione di queste norme, se la società civile e i media dovessero persistere nel mettere a nudo questi problemi [legati all’inquinamento], riusciremmo a proteggere la salute dei nostri cittadini», conclude Stokić.