La battaglia è finita, la tempesta si allontana. E ciò che rimane «è quella strana capacità di risorgere che ha ogni uomo», quella che Vasco Brondi ha deciso di descrivere e cantare nel suo nuovo album, “Paesaggio dopo la battaglia” il primo dopo la conclusione del progetto delle Luci della centrale elettrica, il primo con il suo nome.
Il titolo è presto spiegato: «Sono paesaggi interiori e paesaggi esteriori», spiega il cantante, «che contengono i residui di una lunga battaglia». Anche personale, oltre che collettiva. Vuole rappresentare un mondo in macerie, ma dominato «da una pace incerta, piena di ferite», ma dove «c’è qualcuno che chiama un nome e qualcuno che risponde».
Il disco, autoprodotto da Cara Catastrofe e distribuito da Sony Music, è composto da 10 tracce, composte tra Ferrara, Milano e New York. Sono racconti personali in cui Brondi descrive battaglie, intime e universali, storie di formazione e di crescita, «in cui c’è un andare avanti, in cui si vede una fiducia nei confronti del futuro».
Scritte per voce e cori, orchestra e sintetizzatori, si avvalgono di nomi importanti. C’è Mauro Refosco, che ha collaborato con i Red Hot Chili Pepper e David Byrne, ma c’è anche Paul Frazier, fino a Enrico Gabrielli e Alessandro “Asso” Stefana.
È anche per questo un disco diverso dal passato. Dal respiro più ampio, senza dubbio. Ma anche dalla portata maggiore. Per Vasco Brondi si trattava, spiega, di rivelarsi e non di nascondersi, e di trovare quel nocciolo di ottimismo dopo un lungo periodo di disillusione («mi sembrava che la scrittura di canzoni fosse una operazione solo orizzontale, pensata solo per conquistare nuovi pubblici, o inserire le frasi giuste per avere successo in radio»). In questo senso «la vera battaglia, per me, è stata proprio scriverle».
È, in tempi difficili, un album ottimista. Fin dalla copertina, «un inedito di Ghirri che descrive uno di quei luoghi in cui sembra che non debba succedere niente» – e invece «le cose succedono, anche in questa epoca che per molti è irreale e in stand-by». Ma non mancano momenti di riflessione e di scontro. È il caso di un poema lancinante come “Chitarra nera”, sorta di flusso di coscienza senza regole né metrica, o “Paesaggio dopo la battaglia”, una dichiarazione di amore non per una persona, ma per una entità che, nel bene e nel male, riesce a resistere e ad andare avanti:«sulla Porta d’Europa rovinata dai decreti e dai venti, finalmente, rivederti / Italia maledetta / Italia benedetta / Italia solitaria / nel paesaggio dopo la battaglia».
Se la canzone più rappresentativa è “Ci abbracciamo”, scritta prima del Covid ma che, senza volerlo, è diventato un omaggio a uno dei gesti più semplici e oggi più preziosi possibile, la bellezza di “26.000 giorni”, inno alla vita (26mila sono i giorni, in media, della vita di un essere umano) e del liscio «esistenzialista» di Adriatico, realizzato con gli Extraliscio, regala un’emozione da canzone popolare, insieme semplice e liberatoria.
Tutto il progetto, insomma,è stato fatto nel tentativo di «essere autentico» per cercare di arrivare al profondo di sé e trovare la fiducia per affrontare il presente e creare, giorno dopo giorno, il futuro.