Pandemia, guerre, devastazioni. La storia dell’uomo è costellata di momenti drammatici durante i quali è difficile pensare a un futuro radioso. Sopratutto se, come spiega un articolo del New York Times, vivi nel 1918 mentre l’influenza spagnola miete vittime come mai nessuna epidemia ha mai fatto prima. Che previsioni si farebbero se ci si trovasse in quella circostanza di molti anni fa?, si chiede l’articolo del quotidiano americano. Forse si penserebbe che l’influenza spagnola è soltanto un’anteprima di un futuro ancora più oscuro? E che il progresso a cui si è assistito fino a oggi crollerà come un castello di carta? Sono preoccupazioni analoghe a quelle suscitate dal Covid-19.
Eppure, sorprendentemente, la catastrofe della spagnola fu seguita da un secolo di vita prospera e inaspettata (ed è quello che si auspica che possa succedere anche stavolta). Infatti, gli anni 1916-1920 sono stati l’ultimo periodo in cui si è registrato un massiccio calo dell’aspettativa di vita globale (in quanto, perfino durante la Seconda guerra mondiale, l’aspettativa di vita è diminuita molto meno).
Durante il secolo che ha seguito la fine dell’epidemia di spagnola la durata media della vita umana è raddoppiata. Mentre la media nelle nazioni occidentali è cresciuta molto di più durante la prima metà del secolo scorso, altre nazioni, come la Cina e l’India, hanno recuperato terreno negli ultimi decenni. Cento anni fa, un cittadino povero di Bombay o di Delhi sopravviveva fino ai trent’anni. Oggi l’aspettativa di vita media in India è di circa 70 anni.
«Ci sono poche misure del progresso umano più sorprendenti di questa», spiega il Nyt. Ma come spiegarla? Partiamo dalle piccole cose: il cloro nella nostra acqua potabile, le vaccinazioni ad anello che liberano il mondo – per esempio – dal vaiolo, i data center che mappano nuovi focolai in tutto il pianeta.
Pezzi di un grande puzzle che tuttavia non è ancora completo. E forse non lo sarà mai: «Una crisi come la pandemia globale del 2020-21 ci offre una nuova prospettiva su tutti questi progressi. Per una volta ci viene ricordato quanto la vita quotidiana dipenda dalla scienza, dagli ospedali, dalle autorità sanitarie pubbliche, dalle catene di approvvigionamento dei farmaci e altro ancora. E un evento come la crisi del Covid-19 fa anche qualcos’altro: ci aiuta a percepire le vulnerabilità, i luoghi in cui abbiamo bisogno di nuove scoperte scientifiche, nuovi sistemi, nuovi modi di proteggerci dalle minacce emergenti», puntualizza l’articolo.
Ma come è avvenuto, invece, il raddoppio della durata della vita umana? Spesso si fa cenno a tre scoperte cardine: vaccini, germ theory e antibiotici. Ma la vera storia è molto più complessa. «Queste scoperte sono state avviate da scienziati, ma è servito il lavoro di attivisti, intellettuali e riformatori legali per portare i loro benefici alla gente comune», si legge ancora.
Da questa prospettiva, il raddoppio della durata della vita umana è un risultato più vicino a qualcosa come il suffragio universale o l’abolizione della schiavitù. Un progresso, quindi, che ha richiesto movimenti sociali, forme di persuasione e nuovi tipi di istituzioni pubbliche. E ha richiesto cambiamenti nello stile di vita che hanno attraversato tutti i livelli della società. Un impatto cumulativo che è pertanto sminuente assegnare solo alla ricerca scientifica. Si parla infatti di trasformazioni culturali che ci portano a dei risultati oggi dati per scontati: come l’acqua potabile priva di microrganismi o il vaccino ricevuto nella prima infanzia.
Entrando nello specifico, il raddoppio dell’aspettativa di vita nel secolo scorso è il risultato della somma di due conquiste fondamentali: i bambini muoiono molto meno frequentemente e gli anziani vivono molto più a lungo. Una vita più lunga e uno standard di vita – fin dalla nascita – molto alto, si potrebbe riassumere. Al tal punto che «si prevede che i centenari rappresenteranno il gruppo di età in più rapida crescita in tutto il mondo».
Una gran parte del merito di questi traguardi, ovviamente, si deve alla scienza. A partire dalla variolizzazione, una sorta di proto-vaccinazione che comporta l’esposizione diretta a piccole quantità del virus stesso adoperato prima della vaccinazione jenneriana in particolare in Inghilterra. Altri meriti vanno poi alla pastorizzazione del cosiddetto “veleno liquido”, ovvero il latte. Ebbene sì, il consumo di latte animale ha sempre presentato rischi per la salute, a causa del deterioramento o per via di infezioni trasmesse dall’animale. E a metà Ottocento la densità delle città industriali come New York aveva reso il latte molto più letale di quanto non fosse in passato. Fino al 1865, quando il chimico e microbiologo francese Louis Pasteur scoprì la tecnica che alla fine avrebbe portato il suo nome.
«La lotta per il latte pastorizzato è stata tra quei numerosi interventi di massa – originati dalla scienza del XIX secolo ma non attuati su larga scala fino all’inizio del XX secolo – che hanno innescato il primo aumento veramente egualitario dell’aspettativa di vita. Entro il primo decennio del XX secolo, la durata media della vita in Inghilterra e negli Stati Uniti aveva superato i 50 anni», spiega il quotidiano newyorkese.
Milioni di persone nelle nazioni industrializzate si sono trovate in un ciclo veramente nuovo di tendenze positive per la salute, guidato da un calo senza precedenti della mortalità infantile, in particolare tra le popolazioni della classe operaia.
Ad aggiungersi alla lista dei progressi, c’è anche la spinta delle nuove infrastrutture di cui ha beneficiato l’intera popolazione. «A partire dai primi decenni del XX secolo, le popolazioni nelle città di tutto il mondo hanno iniziato a consumare quantità microscopiche di cloro nella loro acqua potabile. In dosi massicce il cloro è un veleno, ma in dosi molto piccole è innocuo per l’uomo e letale per i batteri che causano malattie come il colera», puntualizza l’articolo. E, dopo numerosi esperimenti, condotti in particolare dal solito Louis Pasteur, molte città iniziarono a implementare sistemi disinfettanti a base di cloro nei loro acquedotti. E così, nel 1914, oltre il 50 per cento dei cittadini beveva acqua pubblica disinfettata.
L’aumento della clorazione, come l’aumento della pastorizzazione, potrebbe essere visto solo come un altro trionfo della chimica applicata. «Ma agire a supporto di quelle nuove idee della chimica è stato il lavoro di migliaia di persone molto lontane dalla chimica: riformatori di servizi igienico-sanitari, enti sanitari locali, ingegneri di acquedotti. Quelli erano gli uomini e le donne che lavorarono silenziosamente per trasformare l’acqua potabile americana da veleno a sostentamento sicuro e affidabile», continua il Nyt.
L’aumento dell’aspettativa di vita è stato anche accresciuto dall’esplosione dello sviluppo di vaccini e dalle riforme della sanità pubblica che hanno effettivamente iniettato le dosi nelle braccia delle persone. La grande fuga in avanti della “vita media” è avvenuta, pertanto, senza un effettivo utilizzo di farmaci. Certo, i vaccini erano una scoperta sensazionale, senza la quale era impossibile proteggersi da future infezioni, ma se ti ammalavi davvero o sviluppavi un’infezione da un taglio o da un intervento chirurgico, la scienza medica poteva fare ben poco.
Ovviamente non mancavano pillole e pozioni, ma la stragrande maggioranza di esse era inefficace (nella migliore delle ipotesi). Oggi, ovviamente, pensiamo alla medicina come a uno dei pilastri del progresso moderno, ma fino a poco tempo fa lo sviluppo di farmaci era un’impresa frammentaria e in gran parte non scientifica. Perché? A mancare, in primo luogo, era una normativa legale sulla vendita di medicine spazzatura. «Negli Stati Uniti, per esempio, l’intera industria farmaceutica è stata quasi del tutto non regolamentata per i primi decenni del XX secolo», spiega l’articolo.
Esisteva un’organizzazione nota come Bureau of Chemistry, creata nel 1901 per supervisionare l’industria, cioè l’attuale Food and Drug Administration degli Stati Uniti, ma non aveva gli strumenti adeguati affinché i pazienti ricevessero cure mediche efficaci. La sua unica responsabilità era assicurarsi che gli ingredienti chimici elencati sulla bottiglia fossero effettivamente presenti nel medicinale stesso.
A metà del XX secolo, finalmente, i farmaci medici hanno iniziato ad avere un impatto materiale sull’aspettativa di vita. E a cambiare per sempre, e più di ogni altra cosa, le dinamiche della medicina e della sanità fu la penicillina. Come nel caso di molte altre scoperte scientifiche, anche quella di Alexander Fleming è frutto di genialità e lungimiranza, ma anche di intuizioni civili. Il trionfo della penicillina, infatti, è in realtà una delle grandi storie di collaborazione internazionale e multidisciplinare nella storia della scienza. «Ci sono voluti due scienziati di Oxford – Howard Florey ed Ernst Boris Chain – per trasformare la penicillina da curiosità a salvavita, e il loro lavoro è iniziato più di un decennio dopo la scoperta originale di Fleming. A quel punto, gli eventi globali avevano trasformato la penicillina da semplice svolta medica in una risorsa militare chiave: la guerra era scoppiata ed era chiaro che un farmaco miracoloso in grado di ridurre il tasso di mortalità per infezioni sarebbe stato un importante strumento», aggiunge il Nyt.
La penicillina, insieme agli altri antibiotici sviluppati subito dopo la fine della guerra, ha quindi innescato una rivoluzione nella salute umana. Le malattie più letali, come la tubercolosi, sono state quasi completamente eliminate; le persone hanno smesso di contrarre infezioni gravi da semplici tagli e graffi; e hanno cominciato a essere eseguite molto più semplicemente procedure chirurgiche radicali come i trapianti di organi.
La rivoluzione degli antibiotici segnò anche una svolta più generale nella storia della medicina: i medici ora avevano farmaci veramente utili da prescrivere. Nei decenni successivi, agli antibiotici si sono aggiunti altre nuove forme di trattamento: i farmaci antiretrovirali, ad esempio, che hanno salvato tante persone sieropositive dalla condanna a morte dell’AIDS. Inoltre, gli ospedali non sono più considerati come luoghi in cui andare a morire e le procedure chirurgiche di routine raramente provocano infezioni pericolose per la vita.
Tra tutti i risultati che hanno portato alla grande fuga in avanti dell’aspettativa di vita, però, spicca la sconfitta del vaiolo, dopo migliaia di anni di conflitto e convivenza con gli esseri umani. Un fattore chiave fu la comprensione scientifica del virus stesso: il ceppo della variola aveva perso la capacità di sopravvivere al di fuori dei corpi umani e questa conoscenza diede agli scienziati un vantaggio fondamentale rispetto al virus.
Guardando al futuro, invece, l’articolo si chiede: «Quante probabilità ci sono che gli esseri umani possano continuare la loro crescita incontrollata nell’aspettativa di vita?». Una risposta certa ancora non c’è. «Il numero di infezioni della pandemia Covid-19 è ancora in crescita. E anche prima gli Stati Uniti avevano registrato un aumento significativo delle overdose da oppioidi e dei suicidi – le cosiddette morti per disperazione – che hanno contribuito a ridurre le aspettative di vita del Paese per tre anni consecutivi, il periodo di declino più lungo dalla fine dell’influenza spagnola», scrive il Nyt. Inoltre, l’attuale pandemia ha sottolineato un carattere importante delle nostre società: «Esistono ancora divari sanitari sostanziali tra i diversi gruppi socioeconomici e tra le nazioni in tutto il mondo».
Nondimeno, sono montati in questi anni seri problemi derivanti dall’aumento della popolazione, conseguenza del raddoppio dell’aspettativa di vita. Problemi, ad esempio, di tipo ambientale, che a loro volta hanno innescato una catena di eventi che hanno portato alla casella iniziale, quella drammatica e catastrofica che prima era l’influenza spagnola e ora è il coronavirus.
Nel 1918, comunque, c’erano meno di due miliardi di esseri umani nel mondo, oggi sono quasi otto miliardi. E la verità è che il picco di crescita della popolazione globale non è stato causato da un aumento della fertilità: «Le persone stanno avendo meno bambini pro capite che mai. Ciò che è cambiato negli ultimi due secoli, prima nel mondo industrializzato e poi a livello globale, è che le persone hanno smesso di morire, in particolare i giovani. E poiché non sono morti, la maggior parte ha vissuto abbastanza a lungo da avere figli, che hanno poi ripetuto il ciclo con la loro prole».
In altre parole: tutte le soluzioni brillanti che abbiamo progettato per ridurre o eliminare minacce come il vaiolo, hanno creato una nuova minaccia di livello superiore: noi stessi. «Molti dei problemi chiave che ora dobbiamo affrontare come specie sono gli effetti di secondo ordine della riduzione della mortalità. Per ragioni comprensibili, il cambiamento climatico è solitamente inteso come un sottoprodotto della rivoluzione industriale, ma se fossimo riusciti in qualche modo ad adottare uno stile di vita alimentato da combustibili fossili senza ridurre i tassi di mortalità, oppure, se avessimo inventato motori a vapore e una rete elettrica alimentata a carbone e le automobili ma avessimo mantenuto la popolazione globale ai livelli dell’Ottocento, il cambiamento climatico sarebbe stato un problema molto minore. Perché semplicemente non ci sarebbero abbastanza esseri umani per avere un impatto significativo sui livelli di carbonio nell’atmosfera», spiega l’articolo.
La crescita incontrollata della popolazione – e la crisi ambientale che ha contribuito a produrre – dovrebbero ricordarci che i continui progressi nell’aspettativa di vita non sono inevitabili. E che forse il Covid-19 è solo un’anteprima di epidemie ancora più mortali. Come sarà allora la nostra vita? Le forze che hanno guidato così tanti cambiamenti positivi nel secolo scorso continueranno a spingere la grande fuga anche oggi? Ma sopratutto: «Tutti quei traguardi epocali saranno spazzati via?», conclude l’articolo.