La lettura delle ampie interviste rilasciate ieri da Giuseppe Conte al Corriere della sera e da Davide Casaleggio alla Stampa, all’indomani dell’accordo di separazione tra Movimento 5 stelle e Associazione Rousseau, dimostra come al fondo, nello scontro tra le due anime del grillismo, non vi sia nulla di così difficile da capire, o da decifrare, e nemmeno niente di particolarmente facile, perché semplicemente non c’è niente di niente. Almeno da un punto di vista politico, s’intende, è una vicenda che non ha, letteralmente, né capo né coda.
È naturale che adesso sostenitori e alleati dell’uno e dell’altro, e gli avversari dell’uno interessati a giocare di sponda con l’altro, e tutto il consueto corteo di analisti, portavoce ed esegeti più o meno interessati, ci spieghino le profonde motivazioni ideologiche del dissidio, le radici politico-culturali della contesa, le diverse visioni del mondo da cui originerebbe la diatriba, come si è fatto finora. Ma a leggere le parole dei protagonisti, stavolta, è difficile resistere alla sensazione che sia stato tutto un gigantesco equivoco.
È una sensazione fortissima, ad esempio, quando Casaleggio, con l’innocenza di un bimbo – in un’intervista fatta per domande e risposte scritte, in cui di conseguenza dobbiamo considerare che ogni parola è stata ben pesata e ponderata – dichiara: «Il modello del Movimento 5 stelle ha consentito di ottenere il 33% di fiducia del Paese e ha dato la possibilità a migliaia di cittadini sconosciuti, come lo stesso Giuseppe Conte, di rivestire ruoli prestigiosi e di potere impensabili».
Ecco, non avrei saputo dirlo meglio.
A conferma della sua tesi, non c’è una sola questione spinosa su cui Conte, nella sua intervista al Corriere, non risponda con una tautologia o con una perifrasi sostanzialmente priva di significato.
Dal limite dei due mandati («La questione non è nel nuovo statuto, sarà risolta in seguito con il nuovo codice etico e la discussione sarà fatta in modo trasparente coinvolgendo anche gli iscritti») al futuro dell’alleanza con il partito democratico («Io non do affatto un giudizio negativo del dialogo che stiamo coltivando col Pd e le altre forze di sinistra… La direzione di marcia è chiara e la nostra identità sarà così forte che ci consentirà di dialogare anche con l’elettorato moderato»).
L’unica cosa che si capisce, oltre a un certo desiderio di tenersi le mani libere col Partito democratico, è il desiderio di tenersele liberissime col governo Draghi, e forse anche qualcosa di più minaccioso. La risposta è un po’ lunga, ma il carattere piuttosto involuto dell’argomentazione contiana renderebbe qualunque sintesi parziale e fuorviante. Dunque, alla semplice domanda di Monica Guerzoni: «Continuerete a sostenere il governo, o prevarrà la spinta di chi vuole uscire?», Conte risponde come segue (prendete un bel respiro).
«Alcune decisioni hanno scontentato i cittadini e suscitato perplessità, penso al sostegno alle imprese, ad alcuni indirizzi in materia di tutela dell’occupazione e di transizione ecologica. Disorientamento hanno provocato anche il condono fiscale e adesso l’emarginazione dell’Autorità anticorruzione. È normale che il disagio dei cittadini si ripercuota anche sulla forza che conserva la maggioranza relativa in Parlamento. Ma noi che abbiamo lavorato per la tenuta del Paese durante le fasi più acute della pandemia vogliamo essere protagonisti anche della ripartenza. Lo saremo in modo leale e costruttivo senza rinunciare ai nostri valori e alle nostre battaglie».
Se vi siete persi, o non siete sicuri di aver capito bene, o siete dirigenti del Partito democratico, vi consiglio di prendere la prima pagina del Fatto quotidiano di ieri, e troverete nel titolo di apertura, scritto chiaro, quello che verosimilmente il leader neomovimentista tentava di far intendere a modo suo. Vale a dire: «Conte, prime sfide a Draghi: licenziamenti, green e Anac».
Dunque, tornando al punto da cui eravamo partiti – lasciando da parte questioni personali, dispetti e vecchi rancori – quale sarebbe esattamente la differenza tra la linea di Conte e quella di Casaleggio, nel merito? Quale dirimente questione politica distinguerebbe i parlamentari schierati con l’ex premier dai cosiddetti ortodossi? (O forse dovrei dire gli eretici, essendo stati espulsi? Ma poi siamo sicuri che siano stati proprio espulsi?). E tra Luigi Di Maio, faccio per dire, e Alessandro Di Battista? (E comunque, siamo proprio sicuri che il primo stia con Conte e il secondo con Casaleggio? E se fosse vero il contrario?).
Per la cronaca, l’ex capo del governo – dopo un’altra serie di fantasiosi nonsense tipo che l’appoggio a Draghi è stata una scelta difficile «ma non potevamo volgere le spalle alla sofferenza degli italiani, quella scelta andava compiuta e io ho subito posto le condizioni perché partisse il nuovo governo e si completassero campagna vaccinale e Pnrr» – come se non bastasse, dice al Corriere: «Di Battista è un ragazzo leale e appassionato, adesso è in partenza per l’America latina ma quando tornerà ci confronteremo e valuteremo le ragioni per camminare ancora insieme».
Parole cui Di Battista ha replicato ieri, in un altro lunghissimo post su Facebook non meno denso di dadaismi. Tipo «credo nella piccola e media impresa privata, nella socializzazione delle imprese e nel pubblico», che sembra un po’ la versione economica della grande chiesa jovanottiana. O tipo – rivolto direttamente al «caro Giuseppe» – «Ti sono stato leale quando occorreva andare fino in fondo con la linea che il Movimento aveva scelto (fino in fondo significa fino in fondo a casa mia)».
Dove magari sarà solo perché è saltata una virgola dopo l’ultimo «in fondo», ma mi resterà sempre il dubbio se intendesse che a casa sua «fino in fondo» ha un significato preciso, e impegnativo, o se invece voleva dire proprio fino in fondo a casa sua, piuttosto che restare aggrappato alle poltrone nei palazzi del potere (oddio, sto cominciando a parlare come lui, e se poi non riesco più a smettere?).
Insomma, tra tante altre cose degne di nota che potete andare a leggervi da soli, se proprio ci tenete, Di Battista risponde orgogliosamente: «Non sono solo un “ragazzo appassionato”, sono un uomo che da tre anni studia notte e giorno politiche innovative, best practices, geopolitica». Notte e giorno, capito? Mancava solo che aggiungesse: inclusi i prefestivi. E a riprova di quanto afferma, l’indefesso studioso, con piglio tipicamente manuelfantonesco, scrive testualmente: «L’anno scorso proposi al Movimento il “servizio civile ambientale”. Andai a studiare la risposta di Roosevelt alla crisi del ’29 attualizzando il suo “Civilian Conservation Corps” all’epoca di cambiamenti climatici che stiamo vivendo. Portai il progetto all’ex-Ministro Costa (un vero servitore dello Stato) che ne fu entusiasta. Ebbene oggi negli Stati Uniti tutti i principali esponenti politici democratici stanno parlando di un progetto non simile, identico! L’hanno battezzato Civilian Climate Corps, lavori green ben pagati per giovani disoccupati. Repubblica (guardandosi bene, ovviamente, di scrivere che la stessa idea la presentai io 13 mesi fa) ci ha fatto un lungo pezzo».
Arrivato a questo punto, lo confesso, ho smesso di leggere, e credo anche di avere dimenticato cosa volessi aggiungere a conclusione di questo articolo. Ma ho la sensazione di avere già abbondantemente dimostrato tutto quello che avevo da dimostrare.