Micro dirittiIl tabù dell’aborto nei piccoli Stati europei

A Gibilterra la pena per la interruzione di gravidanza è l’ergastolo. In Andorra è illegale persino quando ci sono rischi per la salute della madre. Nel principato di Monaco è è stata depenalizzata solo nel 2019, ma è prevista la sospensione per il personale medico che la pratica

Il Parlamento europeo ha riconosciuto tra i diritti umani fondamentali l’accesso all’interruzione di gravidanza. Nella stessa settimana in cui a Gibilterra un referendum l’ha legalizzata per ragioni mediche, la plenaria di Bruxelles ha approvato – con 378 voti a favore, 255 contro e 42 astensioni (i voti contrari sono arrivati dai conservatori di Ecr e da Identità e democrazia, ma anche da un pezzo di Ppe) – una risoluzione per garantire negli Stati membri il diritto a un aborto sicuro e legale, ridurre le barriere alla tutela della salute sessuale e riproduttiva, e rimuovere l’Iva su assorbenti e affini. Ma in diverse enclave europee questi diritti sono negati. Con l’eccezione della Polonia, i micro-Stati sono tra le nazioni più retrograde.

«Ogni 15 minuti nel mondo una donna muore a causa delle complicazioni derivanti da un aborto illegale. Significa circa 60 mila vittime all’anno – hanno scritto alla vigilia del dibattito gli eurodeputati socialdemocratici Iratxe García e Fred Matić. In Europa abbiamo fatto progressi enormi, ma si sta intensificando una reazione contro i diritti delle donne, che erode le tutele esistenti e mette in pericolo la loro salute. L’estrema destra e i movimenti anti-genere non sopportano donne sempre più indipendenti e potenti: il diritto all’aborto legale è un obiettivo chiave dei loro attacchi». Il gruppo S&D fa nomi: Polonia e Malta.

In Polonia, dopo una sentenza della corte costituzionale di gennaio, l’interruzione di gravidanza è stata resa possibile solo in caso di stupro, incesto o qualora sia a rischio la vita della madre. In precedenza, un pronunciamento della stessa corte aveva dichiarato «contrario alla costituzione» l’aborto in presenza di malformazioni del feto. Contro la mozione promossa da Matić, si è mobilitata Ordo Iuris, un’organizzazione tradizionalista e cattolica sempre più influente sul governo sovranista del PiS (c’erano due ministri all’inaugurazione della sua scuola quadri, il Collegium Intermarium, a maggio). Contestazioni simili sono arrivate dai vescovi polacchi.

In Ungheria, alleata illiberale di Varsavia nella svolta nativista dei due Paesi, l’interruzione è rimasta legale, ma dopo il ritorno al potere di Viktor Orbán nel 2010 sono cresciuti gli ostacoli, normativi e indiretti, per scoraggiarla. Viene permessa solo in caso di gravi malformazioni del feto – da proteggere «fin dal concepimento», è stato aggiunto alla costituzione: un unicum tra le carte europee –, quando la gravidanza mette a repentaglio la salute della donna o se è risultato di un crimine. Inoltre, alcuni finanziamenti statali vengono erogati agli ospedali solo se le strutture non praticano l’aborto. E gli attivisti temono che un’ulteriore stretta sia all’orizzonte.

A Malta il divorzio è stato introdotto appena dieci anni fa e i matrimoni tra persone dello stesso sesso sono permessi dal 2017. L’isola è la sola nazione dell’Unione dove l’interruzione della gravidanza è totalmente vietata per legge. Il parlamento, per la prima volta, sta discutendo la depenalizzazione dell’aborto, che oggi prevede pene fino a tre anni – anche se dal 2000 a oggi le condanne sono state solo tre – mentre il governo stima che ogni anno 400 donne maltesi volino all’estero per abortire e altre 200 acquistino online la pillola.

Difficilmente l’aula si esprimerà: i maggiori partiti sono contrari o temono le ricadute elettorali di un tema considerato divisivo, dagli ultimi sondaggi risulterebbe a favore della proposta della deputata Marlene Farrugia solo il 18% degli intervistati (con una sperequazione generazionale). A Bruxelles, solo un eurodeputato maltese (su sei) ha votato a favore del cosiddetto «Matić report».

Uscendo dai confini dell’Unione europea, la situazione peggiora. Gibilterra aveva – e continuerà ad avere – una delle legislazioni più severe del continente: sulla carta, la pena per l’aborto è l’ergastolo. Fortunatamente, la norma non è stata più applicata nel presente. Ma fino al referendum del 24 giugno l’interruzione era prevista solo per salvare la vita della madre. Alle urne, il 62% dei gibilterrini ha approvato una serie di emendamenti che avvicinano la Rocca alla madrepatria britannica.

A Gibilterra ora l’aborto potrà essere praticato nel corso delle prime 12 settimane di gravidanza (la metà della finestra prevista in Gran Bretagna) in presenza di malformazioni o se un medico valuterà ci siano pericoli per la salute mentale o fisica della madre.

Oltre alla Polonia, sono proprio i micro-Stati come Gibilterra gli unici altri luoghi del continente europeo dove l’aborto è bandito o sottoposto a pesanti limitazioni: Andorra, San Marino, Monaco, Liechtenstein.

In Andorra, non sono previste eccezioni alla regola: l’aborto è illegale, persino quando ci sono rischi per la salute della madre. Le abitanti sono costrette a spostarsi nelle confinanti Francia e Spagna. Non ci sono statistiche anno per anno, ma nel 2017 sono state 124 le donne di Andorra a rivolgersi al sistema sanitario catalano per questa ragione. Oltre a essere costosi, ai viaggi è ancora associata una marcata condanna sociale nel principato. Negli ultimi anni, però, il movimento femminista sta facendo campagna per cambiare le cose e sempre più persone partecipano alle manifestazioni.

Nel principato di Monaco, l’interruzione di gravidanza è stata depenalizzata solo nel 2019, ma per chi la pratica, ci sono pene fino a dieci anni e la sospensione per il personale medico. Il risultato è che gli abitanti devono continuare ad andare oltreconfine, in Francia, come prima del 2009, quando è arrivata l’apertura, alle condizioni già viste altrove: stupro, malattie o malformazioni del feto.

In Liechtenstein nel 2011 si è votato per legalizzare l’aborto: i cittadini hanno detto di «no», bocciando l’ipotesi con il 52% dei voti al referendum. Il codice penale del principato alpino mette al bando l’interruzione di gravidanza, tranne negli stessi casi previsti in Andorra. Fino alla revisione del 2014, veniva consentita solo sotto i 14 anni d’età.

Anche nella Repubblica di San Marino interrompere una gravidanza è reato, punibile con pene dai tre ai sei anni di carcere, a prescindere dalle motivazioni. Quest’anno, però, l’Unione donne sanmarinesi ha raccolto abbastanza firme – tremila, a fronte delle mille richieste – per indire un referendum per legalizzarlo entro le dodici settimane (e oltre, in presenza di pericolo di vita per la donna o gravi malformazioni). Ora va solo stabilita la data del voto.

Una postilla per chiudere la rassegna di micro-nazioni. Anche se dopo il 2008 Città del Vaticano ha introdotto le modifiche al codice penale italiano, non ha recepito quelle considerate in dissonanza con la dottrina cristiana cattolica, come aborto e diritti civili.

Nel cuore dell’Europa, continuano a esistere alcuni «buchi neri» dove viene negato un diritto delle donne appena riconosciuto anche dall’Europarlamento.

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