Cade a fine ottobre, in corrispondenza dell’assegnazione dei Nobel, richiama le maggiori case editrici europee, decide le strategie dei mesi successivi a livello continentale.
È la Buchmesse di Francoforte, la fiera delle fiere del libro, tappa obbligata di autori, agenti e soprattutto editori. Ma anche spazio magico per party notturni, incontri improbabili e trattative da suk.
Tutto materiale che Matteo Codignola, grazie alla sua esperienza, raccoglie e racconta con raffinato umorismo in “Cose da fare a Francoforte quando sei morto”, in uscita per Adelphi. Un diario della fiera in ordine sparso, ma anche un bestiario dei personaggi (più o meno improbabili) che la popolano e infine guida e mappa a un mestiere – quello dell’editoria – dove alle buone letture, l’intelligenza e la brillantezza sono richieste, nota con ironia, «dotazioni superiori alla media di pressapochismo e cialtroneria, unite a qualità istrioniche fuori dal comune».
Dopo il lungo prologo/viaggio d’arrivo, con cui si introduce il compagno di viaggio (il fotografo Basso) e si passano in rassegna imprevisti chapliniani, ricordi di Cordon Bleu squisiti, agenti di polizia fin troppo zelanti, patenti scadute e problematiche varie, si entra nel cuore del racconto: la Fiera, con gli spazi riservati agli incontri (il cosiddetto Centro di immigrazione «disfunzionale», secondo una definizione rimasta celebre di una delle leggende dell’editoria), le seccature infinite, il tam-tam delle voci (più o meno affidabili) l’agenda fittissima di appuntamenti (per la maggior parte inutili), ma anche il sistema solare dei party, che invadono le ore della notte e costituiscono il terzo tempo del lavoro.
Accostando aneddoti e ricordi, Codignola parla di sé, della casa editrice, dei tic ricorrenti (i titoli, le correzioni dei redattori, la devozione ai vocabolari per la scelta degli accenti, le famigerate «biscioline»), riassumendo gli usi e costumi di una redazione dove ognuno, dal germanista al sinologo, trova una sua collocazione – purché eccentrica.
A metà tra il sogno e il resoconto, la Fiera descritta è quasi archeologia. Dal punto di vista tecnologico, prima di tutto (una epoca senza smartphone, e ancora segnata dal fax) ma anche delle abitudini.
La Francoforte degli anni zero è quella dove girano agenti che sembrano broker di borsa e scout che speculano su un titolo vendendo al miglior offerente, spesso il più allocco, aria fritta in poche righe e qualche descrizione sommaria.
Non che in altri casi vada sempre meglio: «nel nostro mestiere, le trattative per l’acquisto di un libro hanno spesso una componente esoterica e una comica». E si sovrappongono, a partire da una «fantasticheria contabile» che fa sì che il prezzo massimo immaginato per acquistare i diritti di un libro diventi, per magia, il prezzo che si desidera spendere. È quando «il libro si impone», lievitando, trovando spazio e accordo tra i presenti.
Che il mondo dell’editoria sia tutto qui? Francoforte ne è il fondamento, ed è (come tutte le fiere) fatta di richieste, offerte, trattative feroci e rivalità tra colleghi.
Ma sia la fiera che l’editoria è anche un luogo di intuizioni, magie e apparizioni (quelle vere) di fantasmi. Area designata di stranezze e sogni, dove si commerciano storie e titoli. E dove tutti sono alla ricerca, come di un santo Graal, del “libro della Fiera”, «l’oggetto misterioso che tutti (tranne te) avevano letto, e che tutti erano venuti in Germania apposta per comprare. Che tutti, per essere più precisi – quindi più ansiogeni – stavano già comprando».
In questo senso, quello di Codignola è allora il libro “sulla Fiera”: ha natura diversa (anche solo perché anziché suscitare ansia fa divertire) e altri obiettivi. Quello che rimane da fare a Francoforte, in mezzo alla girandola di caos e frenesia, è alla fine una cosa molto semplice: raccogliere storie e scriverle sorridendo.