Quasi abbracciati, mano nella mano, uccisi entrambi da un colpo di pistola alla testa. Furono trovati così, il 31 ottobre 1980, sotto un enorme pino marittimo a Giarre, in provincia di Catania, il venticinquenne Giorgio Agatino Giammona e il suo zito (fidanzato, in dialetto siciliano) quindicenne Antonio Galatola, detto Toni. I due erano scomparsi due settimane prima.
È quello che sarebbe passato alla storia come il delitto di Giarre, la cui natura è rimasta fino a oggi non chiarita: fu suicidio, omicidio-suicidio o assassinio per mano del tredicenne Francesco Messina, che il 2 novembre ritrattò la confessione resa, dicendo di essersene assunto la responsabilità su pressione dei carabinieri?
Una cosa è certa: Giorgio – che in paese era chiamato dispregiativamente puppu cu bullu (frocio patentato) – e Toni morirono di pregiudizio. Pregiudizio radicato nella comunità giarrese, che ancora tende a tacitare la memoria di quanto avvenuto sotto quel pino marittimo. Oggi l’imponente albero non esiste più. Ne rimane il ceppo all’interno del parcheggio antistante l’istituto tecnico locale in una zona da anni urbanizzata. Ma, insieme alla reliquia di quello che fu il testimone silenzioso del delitto, resta vivo, nella collettività Lgbt+ italiana, il ricordo di Giorgio e Toni, la cui morte venne quasi a segnare, in senso unitario, la nascita di quanto fu inizialmente indicato come movimento di liberazione omosessuale. Anche perché l’opinione pubblica fu non solo scossa dal fatto di sangue, ma portata a riconoscere l’esistenza dell’effettiva discriminazione verso le persone Lgbt+.
Come diretta conseguenza si costituì il Fuori! – Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano – a Catania. E, il 9 dicembre 1980, a poco più di un mese dalla grande manifestazione tenutasi a Giarre, cui parteciparono attiviste e attivisti di tutta Italia come Enzo Francone e Bruno Di Donato, nonché i radicali con Francesco Rutelli, fu fondato a Palermo il primo nucleo di Arcigay grazie al contributo di varie persone, tra cui Gino Campanella e Massimo Milani. Il 31 ottobre 2020, a quarant’anni esatti dal rinvenimento dei corpi dei due ziti, proprio Gino e Massimo si sono uniti civilmente a Giarre, quasi a chiudere idealmente il cerchio.
Questo libro nasce come sviluppo di un mio articolo pubblicato su Linkiesta il 2 novembre 2020, in occasione del 40° anniversario del fatto di sangue. Risponde alla volontà di colmare un vuoto al riguardo, dal momento che il delitto di Giarre ha finora trovato posto solo in trattazioni generali di storia gay come quella di Gianni Rossi Barilli o di “omocidi” come nel caso di Andrea Pini, che ne coniò il termine, o di autobiografie di figure storiche del movimento quali Angelo Pezzana e Franco Grillini. Ha invece dedicato specifico interesse alla narrazione giornalistica del delitto di Giarre in ottica socio-antropologica Yuri Guaiana in un breve ma corposo saggio comparso sulla rivista S-nodi nel 2009, che è da considerarsi a tutt’oggi uno studio fondamentale. Sono, da ultimo, romanzi liberamente ispirati alla vicenda di Giorgio e Toni “Per non dimenticare mai” di Riccardo Di Salvo e Antonio Eredia, “Per sempre amore” di Barbara e Vittorio Amenta, “Stranizza” di Valerio La Martire, rispettivamente editi nel 2005, nel 2012 e nel 2013.
Il presente volume è un’inchiesta giornalistica sui due giovani, la loro tragica morte e il procedimento giudiziario che ne seguì, condotta sulla base di articoli coevi e dichiarazioni testimoniali provenienti dall’ambiente familiare degli ziti, da quello civico giarrese e da quello di attivisti e attiviste partecipi di quella stagione, essendo andato purtroppo distrutto il fascicolo d’indagine. Su questa eterogenea documentazione si fondano la pista interpretativa e la verosimile soluzione del caso che ne ho dedotto. Ma c’è, in filigrana, anche la narrazione di quattro decenni di battaglie e rivendicazioni del movimento Lgbt+ italiano.