Al telefono, la voce di Padre Víctor de Luna è rassicurante: «Il primo passo è riconoscere di aver bisogno di aiuto». Non è proprio così. Il primo dei “dodici passi” di Courage – un metodo per curare l’omosessualità, come dicono loro, attraverso il sostegno spirituale – recita così: «Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’omosessualità e che le nostre vite erano divenute incontrollabili».
Courage è un apostolato cattolico fondato negli Stati Uniti e attivo anche in Italia, ha preso in prestito i suoi 12 punti dagli Alcolisti Anonimi e considera l’omosessualità un sintomo da curare. Non è illegale, perché il disegno di legge che avrebbe dovuto rendere tali le cosiddette terapie di conversione non è mai stato discusso.
È stato presentato nel 2016 dall’ex senatore del Partito Democratico Sergio Lo Giudice e redatto con il supporto scientifico dello psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi. La proposta prevedeva una sanzione penale per chiunque praticasse le terapie di conversione, riservata però solo ai tentativi sui minorenni. «Anche quelle sugli adulti sono inaccettabili – dichiara Lo Giudice – ma affrontare solo la situazione più incresciosa minimizzava il rischio di obiezioni e resistenze».
Non è bastato, e il ddl è rimasto impantanato in Senato, dove in questi giorni dovrebbe essere discussa la legge Zan. Secondo Lo Giudice: «Se riusciremo a concludere l’iter sull’omotransfobia, fino a fine legislatura non ci sarà spazio per altre tematiche legate al mondo LGBT». Ma il suo desiderio è che presto si torni a parlare di abolizione delle terapie di conversione (e di matrimonio egualitario).
Courage non menziona trattamenti rivolti ai minorenni. Eppure, c’è un gruppo dedicato «alle esigenze spirituali di genitori e fratelli di persone che provano attrazione per lo stesso sesso». Gli omosessuali che si rivolgono all’apostolato non sono mai chiamati gay o lesbiche e anzi vengono invitati a definirsi come persone con A.S.S. (attrazione per lo stesso sesso). Secondo Padre Víctor, quello che intraprendono «è un percorso semplice ma impegnativo, perché porta a una nuova scoperta di sé».
Il percorso in questione ha come fine ultimo la castità. Padre Víctor prova a rassicurare: «Bisogna aspettare il tempo opportuno, ognuno segue il proprio ritmo». Gli incontri di persona (gratuiti, anche se è gradita un’offerta) ora sono sospesi a causa della pandemia. Però a Courage, dove garantiscono l’anonimato e non amano i colloqui su Zoom, sperano di riprenderli presto. Non avvengono in una sede fissa, ma nelle parrocchie di volta in volta disponibili a ospitarli.
Le terapie di conversione galleggiano in una zona grigia non regolata da leggi e chi le pratica può mascherarle da supporto spirituale o millantare basi pseudoscientifiche. Entrambi gli approcci poggiano sulla convinzione, smentita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1990, che l’omosessualità sia una malattia. E fanno leva sul senso di colpa. Secondo Gabriele Piazzoni – Segretario Generale di Arcigay – questa visione «affonda le radici in una sorta di nostra cultura del peccato, ancora troppo omofoba e intollerante».
In effetti, l’Italia è indietro. E con lei altri 69 paesi in cui tentare di modificare l’orientamento sessuale delle persone è considerato ancora legale. Non va meglio nell’Unione europea, nonostante a marzo di quest’anno il Parlamento abbia definito l’Ue una «zona di libertà per persone LGBTIQ». Ma l’appello a considerare reato le terapie di conversione, finora, è stato accolto solo da Malta e Germania. Secondo Piazzoni, però, uno spiraglio c’è: «Dobbiamo misurare nei decenni i progressi culturali dell’Italia, anche se siamo in ritardo mostruoso».
E certo il Paese ne ha fatti di progressi culturali in tema di diritti LGBT. Uno è stato quello per la legge sulle unioni civili, approvata l’11 maggio 2016. Sei giorni prima, Lo Giudice presentava il suo ddl. I tempi erano maturi per riconoscere lo status giuridico delle coppie omosessuali, non lo erano ancora per condannare chi riteneva la sessualità una bussola smarrita da ritrovare.
Cinque anni dopo, nonostante l’iter della legge Zan, l’Italia resta il paese delle contraddizioni. In cui uno pseudo coach dell’identità sessuale, Luca Di Tolve (il protagonista della canzone di Povia “Luca era gay”), scrive che «non si è omosessuali, ma eterosessuali latenti». Tra pochi giorni inizieranno due dei suoi corsi (a pagamento). Tema: confusione sessuale e sostegno ai genitori di omosessuali. Da affrontare attraverso preghiere, meditazione e seminari tenuti da lui e altri coach. Perché secondo loro, l’omosessualità è una ferita da guarire. Quasi sembra di sentirlo l’eco del primo dei 12 passi di Courage: «Abbiamo ammesso di essere impotenti di fronte all’omosessualità e che le nostre vite erano divenute incontrollabili».