«Questo lo dice lei!»: era diventata un meme, la famosa battuta di Laura Castelli. Adesso si è fatta nemesi. «Questo lo dice lei!», è in pratica quanto il Tribunale di Torino ha ripetuto al viceministro dell’Economia, nel condannarla per diffamazione aggravata. Motivo: un post su Facebook in cui aveva scatenato il manganello digitale dei Cinquestelle contro Lidia Roscaneanu.
All’origine, una foto di una giovane ragazza assieme a Piero Fassino, nel 2016 candidato a sindaco di Torino contro Chiara Appendino. Accanto alla foto un bigliettino di campagna elettorale sempre con la foto della ragazza: «PER LA CIRCOSCRIZIONE 3 scrivi ROSCANEANU accanto al simbolo PD».
Sopra a tutte e due questo commento: «Che legami ci sono fra i due? Fassino da un appalto per il bar del Tribunale di Torino a una azienda fallita 3 volte, che si occupa di aree verdi, con un ribasso sospetto. LA PROCURA INDAGA. Fassino candida la barista nelle sue liste. Quanto meno inopportuno… che dite?».
«Per questo post Laura Castelli è stata condannata a 1.032 euro di multa più 5.000 euro alla parte civile». Non è Lidia Roscaneanu a dirlo all’intervistatore, ma l’intervistatore a dirlo a Lidia. «Sì, l’avvocato mi ha detto qualcosa del genere, ma io non ho sentito. Dopo la sentenza che condannava la Castelli mi sono messa a piangere, e non ci ho capito più niente», ha detto.
«Due volte – ha aggiunto Roscaneanu – ho pianto durante il processo. La seconda volta alla sentenza, e la prima quando ho dovuto ripetere le cose che mi avevano scritto dopo quel post. Io non sono una ragazza che dice parolacce, mi fa male ripetere certe cose». Cerco di darti una mano. Ti hanno dato della prostituta, con termini volgari. «Non solo, hanno fatto anche riferimenti a certi tipi di attività sessuali. La cosa è finita sui giornali romeni, e mia madre mi ha chiamato. Lidia, mi ha detto, tu vivi in Italia da sola, certe cose ce le devi dire. È vero che hai una relazione con quell’uomo politico?».
Nata in Romania il 20 marzo del 1983, laureata in Economia, in Italia dal 2004 al seguito di un fidanzato italiano con cui ha avuto una storia di nove anni ma con cui all’epoca si erano già lasciati, Lidia Roscaneanu non ha mai preso la cittadinanza italiana, ma in quanto cittadina comunitaria alle amministrative si può candidare. Sua amica è Federica Scanderebech: discendente dell’eroe nazionale albanese, e allora consigliera comunale nel Partito democratico, anche se suo padre è stato esponente di Forza Italia, e se ora è tornata anche lei al partito di Berlusconi. «I nostri percorsi politici si sono separati, ma restiamo grandi amiche. Ed è lei che soprattutto mi ha aiuto nella causa», spiega Roscaneanu.
Nel 2016 è lei a convincerla a candidarsi in circoscrizione, per intercettare un voto romeno che può essere interessante. Tutte e due vanno a un evento elettorale con Fassino – «Lì lo ho conosciuto» – e nell’occasione vengono fatte foto a tutti i candidati in circoscrizione, assieme al candidato sindaco e a quello in Consiglio Comunale.
Anche Lidia si fa ritrarre con Fassino e con Federica, e sia Federica che lei mettono la foto nelle loro pagine Facebook. «Nella mia ingenuità, pensavo che farmi ritrarre con il candidato sindaco fosse un onore. Io correvo per correre, sono una ragazza semplice, non è che pensavo seriamente di potere essere eletta».
Proprio quella foto appare però ritagliata nella pagina «Laura Castelli – Cittadina in Parlamento». Ovvio che se non si sa che era la prima volta che i due si vedevano, se non si sa che c’era nella foto anche una seconda donna, se non si sa che la stessa foto a tre era stata fatta per molti altri candidati, si può avere della relazione tra Lidia e Fassino una certa impressione negativa: sbagliata, ha attestato il Tribunale.
Ovvio che se si sa che la foto è stata presa da una pagina Facebook altrui e ritagliata apposta si può avere dell’etica politica della Castelli una certa impressione negativa: giusta, ha attestato il Tribunale.
Cosa tipica dell’arte del manganello digitale dei Cinquestelle, nel castello costruito dalla Castelli i dati artefatti sono sapientemente mescolati a qualcosa di vero. Su quell’appalto, in effetti, sarebbe arrivata davvero una sentenza.
È la stessa Lidia a raccontarci che «alcuni membri della società sono stati condannati, e con loro un dipendente del Comune di Torino che aveva preso soldi». Ma né lei, né Fassino sono mai stati neanche interrogati per quella storia.
È vero che Lidia in quella società lavorava: non come barista, ma come cassiera. Ma il post della Castelli lascia intendere che ne fosse un pezzo grosso. Invece, non solo era una semplice dipendente, ma al momento della foto e del commento si era già rivolta alla Procura, perché non pagava gli stipendi. «Ho lavorato alla cassa del Bar del Tribunale dal novembre del 2015 al giugno 2016, quando è stato chiuso. Ma mi hanno pagato uno stipendio solo a febbraio, dopo che ci avevano offerto di saldarci novembre, dicembre e gennaio in ticket pasto da sette euro l’uno. Cosa che abbiamo ovviamente rifiutato».
Insomma, il 25 febbraio 2016 Lidia porta la società in Procura perché non paga. Sabato 7 maggio la Castelli insinua che Lidia avrebbe offerto favori sessuali a Fassino per far avere un appalto alla società che non la paga e che ha portato in Procura. «Al lavoro c’erano militanti dei Cinquestelle: qualcuno di loro deve aver detto alla Castelli che io lavoravo in quella società».
Post subito ripreso dai Cinquestelle di Torino, da tutti i candidati Cinquestelle, dal blog di Grillo e da quello dei Cinque Stelle nazionali, da cui subito sulla ignara Lidia una valanga di post che si soffermano sul suo essere romena e giovane donna, e i cui concetti principali sono che il Partito democratico è un partito di mafiosi e che lei si guadagna il pane praticando mercimonio sessuale.
Con l’aiuto di Federica, domenica 8 Lidia lo passa a fare screenshot di tutto. «Io non mi intendevo di queste cose. Lei mi ha consigliato».
Precauzione importante perché, un po’ dopo che lunedì 9 maggio Lidia ha presentato la sua querela, la Castelli fa sparire del tutto la pagina. Per distruggere le prove? Dopo un altro po’ Lidia fa causa anche alla società. La vince, ma non ottiene i 13mila euro di stipendi e straordinari che le spetterebbero. Né lei, né nessuno, e poiché nessun contributo è stato versato non ottengono neanche la disoccupazione. «E c’era pure una ragazza incinta di quattro mesi».
Ma la Castelli ha mai chiesto scusa? «Mai, e neanche si è mai presentata in tribunale. Però ha espresso solidarietà alla Meloni, e mi ha fatto chiamare dall’onorevole del Pd Paola Bragantini per chiedermi se volevo rimettere la querela. Ho detto di no. Comunque insulti via social continuano ad arrivarmi. Una volta che la macchina dei Cinquestelle parte, non è che poi si ferma più. Ero una ragazza normale, non ero un personaggio, non contavo niente, ho la fedina penale punita, lavoro per mantenermi da quanto ho 18 anni. Per colpa di quella vicenda ho perso un fidanzato, ho perso amici, sono entrata in un profondo stato di depressione. Possibile che per una campagna elettorale bisogna fare tutto questo male a una povera ragazza straniera? Ma la macchina dei Cinquestelle funziona così. Prendono una persona qualsiasi di cui a livello umano non gliene importa nulla, e ne distruggono l’immagine per ottenere il loro obiettivo politico».
Ma qual è stata la tesi difensiva degli avvocati della Castelli? «Che il Partito democratico avrebbe dovuto fare screening sui suoi candidati e non lavorare per una che lavora in una azienda che ha vinto un appalto irregolare».
Come dire che siccome l’ex-Ilva è stata condannata nessuno degli operai che ci ha lavorato dovrà più essere candidato. «Quello che so è che secondo lo statuto dei Cinquestelle loro non dovrebbero avere candidati che siano stati condannati, e anzi se qualcuno di loro viene condannato si dovrebbe dimettere da tutte le cariche che ha. Visto che nel processo con me è stata condannata, mi aspetto che Laura Castelli ne tragga le logiche conseguenze».