In politica, come a tennis, quando uno comincia a sbagliare l’altro comincia a giocare bene. Fallisce la federazione salviniana, e a sorpresa si comincia a parlare di federazione nel centrosinistra.
Ieri a Milano è successo qualcosa di nuovo, che è parso andare oltre le solite petizioni di principio, e cioè una riunione di tutti i riformisti pro Beppe Sala sostenuta da Linkiesta che ha fatto segnare un piccolo passo avanti nella direzione di un nuovo (inedito, anzi) rapporto fra il Partito dDemocratico e l’area riformista Azione-Italia viva-Base-Più Europa.
Da Roma ha commentato Andrea Marcucci, ex capogruppo dem: «Vedo con favore una federazione di centro sinistra, il Partito democratico ne inizi a ragionare con Azione, Italia viva, +Europa, Baseitalia. Incontro di Milano buon punto di partenza. Le amministrative diventino un banco di prova».
E il Movimento 5 stelle? Bisognerà vedere dove lo porterà un incerto Giuseppe Conte, ma la questione non si pone più, per nessuno, nei termini di prima, all’epoca dei fasti zingarettian-bettiniani di quella “alleanza strategica” che nel frattempo si è persa nell’iperuranio.
Lo ha spiegato a Milano Giorgio Gori forse chiudendo una discussione che ha assunto anche tratti ideologici, perché l’idea è quella di costruire una federazione riformista che poi alle elezioni si allea con il “nuovo” Movimento, evitando così – ha spiegato il sindaco di Bergamo – di essere «subalterni» come sarebbe inevitabilmente stato nella versione del Partito democratico di Nicola&Goffredo.
È insomma «una gerarchia delle alleanze» quella che Gori disegna e mette al servizio di una discussione interna che per la verità non è mai partita sul serio. Non sappiamo se sarà percorribile, ma è una strada concreta. E già il fatto di vedere allo stesso tavolo Gori, Marco Bentivogli (Base Italia), Elena Bonetti (Italia Viva), Benedetto Della Vedova (+Europa), Marco Ghetti (Per l’Italia con l’Europa), Gianfranco Librandi (Lavoriamo per Milano), Matteo Richetti (Azione), Sergio Scalpelli (Base Milano), Laura Specchio (Alleanza Civica), Bruno Tabacci (Centro Democratico), beh non è poco.
La cosa, come detto, è planata a Roma. Si vedrà il grado di permeabilità del Nazareno gestione Letta.
Situazione fluida a sinistra mentre a destra la situazione è incartata, incartatissima, tutto bloccato sulla Federazione Lega-Forza Italia che Matteo Salvini pensava di avere in tasca. Non se ne farà niente, fino a nuovo ordine.
Silvio Berlusconi li ha fregati un’altra volta. Non si sa se per malizia o solo perché ci ha ripensato, fatto sta che il vecchio Cavaliere recluso a Arcore ha dimostrato di avere ancora le chiavi per qualunque operazione a destra. Ha il potere di fermare le macchine, ci dice Andrea Cangini, “carfagnano”: «I processi politici non si improvvisano né si calano dall’alto: perché funzionino vanno costruiti nel tempo e devono avere un senso che vada oltre le convenienze del momento».
È un piccolo Bignami della politica inviato a via Bellerio. Già, perché Salvini è furibondo: aveva messo a punto una precisa road map perfetta per presentarsi a cospetto di Mario Draghi nella veste di virtuale capo di una “cosa” forzaleghista, una roba del 30% e dunque ben superiore al dato della arrembante Giorgia, la quale aveva incontrato il premier la settimana scorsa: in entrambi i casi Draghi li ha imbambolati come ha voluto.
E la questione è esattamente questa. I partiti, a destra ma anche a sinistra, non riescono a inventarsi nulla che possa sottrarre spazio politico reale – non i cinque minuti al telegiornale – ad un presidente del Consiglio che mentre loro chiacchierano di alchimie più o meno cervellotiche governa e alla realizza le cose esattamente come voleva lui.
Ma è sorprendente che i grandi favoriti del centrodestra stiano dimostrando una totale assenza di regia politica. Tutto sembra affidato al caso, o meglio a come conquistare l’apertura sui giornali in omaggio al proprio narcisismo più che all’utile politico generale. E dunque è un susseguirsi di sgambetti di Salvini contro Meloni, di Berlusconi contro Salvini, di Meloni contro gli altri due.
Lei, che è accoccolata nella più comoda posizione dell’oppositrice senza macchia e senza paura, deve però stare attenta perché se è vero che oggi incassa il mezzo fallimento della federazione salviniana, domani potrebbe avere una pessima notizia da Roma (dove la trattativa sul candidato sindaco è bloccata).
Infatti si dice che Salvini e gli azzurri le stiano preparando un bel “piattino”: mandare in campo nella Capitale questo Enrico Michetti, “avvocato radiofonico” voluto da Fratelli d’Italia, vederlo soccombere e addossare la responsabilità della disfatta a Giorgia proprio nel momento in cui è in grande spolvero: una bella sconfitta a Roma per lei non sarebbe esattamente una medaglia. Questa è l’aria che tira a destra.
La realtà generale che stiamo vivendo ormai da mesi racconta questa frustrazione dei partiti che, ciascuno a suo modo, si dannano per comunicare all’opinione pubblica una propria identità, uno specifico progetto, un insieme di idee ma senza cavarne un ragno dal buco.
Tutti cercano di farsi notare: come alle feste, quando tutti gli occhi sono per la bella o il bello della situazione, e ognuno si mette vanamente in mostra ma senza risultati. E così ecco spiegata l’estemporaneità delle proposte di Enrico Letta, ognuna slegata dalle altre, oggi la “dote” per i diciottenni domani “Bella ciao” per legge; ed ecco dall’altra parte gli arzigogoli politicisti di Salvini per contenere la Meloni, con un Cavaliere tornato a fare il bello e il cattivo tempo come 30 anni fa. I partiti si scervellano, Mario Draghi governa. È una storia semplice, in fondo.