Le “fintarie” di Roma – primarie sostanzialmente a candidato unico, Roberto Gualtieri – non hanno brillato come una grande giornata di democrazia ma si è evitato il flop di Torino. E così anche a Bologna, dove pure c’era una “gara” vera fra il candidato del “Partito” Matteo Lepore e Isabella Conti, proveniente da Italia viva. Vince Gualtieri con il 60 per cento e anche Lepore viaggia sul 60.
Niente flop, ma l’affluenza è stata abbastanza modesta in sé. A Roma 45mila persone superano il dato delle ultime primarie per il sindaco, quelle vinte da Ignazio Marino, ma certo non è stato il bagno di folla di altre volte: il Pd lo sapeva e può dire di aver centrato l’obiettivo. Anche se c’è un’ombra proiettata dall’unico candidato con un po’ di voti (portati tra l’altro negli ultimi giorni proprio da Marino) Giovanni Caudo, che sostiene che il dato “vero” è «al massimo di 35mila». Impossibile sapere la verità, in questi casi. Combinazione, il Pd voleva 45mila, e il dato ufficiale è 45mila.
In ogni caso, dopo la sciroccosa gazebata di ieri, Roberto Gualtieri non è né più forte né più debole di prima. Può mettere agli atti che nella Capitale il Pd è ancora abbastanza organizzato, così come le strutture (Cgil in testa) che lo appoggiavano, e anche che un pochino di attenzione popolare l’ha conquistata, lui così algido e distante dalla Roma profonda che peraltro ha girato le spalle alla sinistra da tempo. Il gruzzolo incamerato ieri nei gazebo più tristi di sempre è qualcosa che gli consente di scampare il pericolo di un clamoroso inciampo ancora prima di cominciare, ma difficilmente può essere considerato un trampolino di lancio. Perché la verità la conoscono tutti: a Roma queste primarie non servivano a niente, se non a testare le potenzialità di Gualtieri: e, come detto, è andata non male ma nemmeno benissimo. Da oggi inizia per lui un sfida più ardua, contro una destra ringalluzzita e compatta dietro Enrico Michetti, il quale appare meno sprovveduto di un primo momento, contro Carlo Calenda che sfrutta la sua trasversalità, e contro Virginia Raggi che comunque è la sindaca uscente.
L’ex ministro dell’Economia in qualche modo ha superato l’ostacolo, perché la base del Pd ha sentito che un passo falso avrebbe forse rappresentato una zavorra troppo pesante per la sfida “vera” di ottobre. Resta comunque da capire che senso abbia avuto organizzare una giornata di relativa mobilitazione attorno a un candidato unico. Da questo punto di vista, lo strumento delle primarie mostra qualche ruggine.
A Bologna la “mission impossible” di Isabella Conti ha dovuto fare i conti con la forza del Partito (con la “P” maiuscola), ma comunque è stato un mezzo miracolo arrivare al 40 per cento contro un Pd che aveva annunciato provvedimenti per quei democratici (e non sono stati pochi) favorevoli alla giovane renziana. Il dato dimostra che è realistica l’idea di un centrosinistra largo, e che c’è vita oltre al Partito democratico. Il quale ha ringraziato Isabella per aver contribuito a una competizione, questa sì, che ha avuto un senso politico.
Un giornata non indimenticabile, dunque. Ma oggi come oggi per il partito di Enrico Letta scampare una Caporetto equivale a un vittoria del Piave.