Kafana è un ristorante serbo nell’East Village che, a quanto pare, prepara una insalata russa da urlo. Gabrielle Hamilton racconta sul New York Times di averla ordinata da asporto e di essere rimasta folgorata dall’esplosione di sapori («I piselli si scioglievano in bocca, l’uovo era tenero, non gommoso»), tanto da scrivere al cuoco per avere la ricetta. Vladimir Ocokoljic, che ha aperto il locale nel 2008 per ospitare più comodamente gli amici che era solito invitare a casa, non fornisce quantità esatte ma indicazioni di massima: ingredienti in proporzioni uguali e, cosa ancora più importante, tagliati della stessa dimensione (la ricetta è in fondo all’articolo).
Salto indietro nel tempo. Omsk, Siberia sud-occidentale, capodanno del 1976. Alissa Timoshkina, autrice del volume “Salt and Time” dedicato alla cucina russa, racconta sull’Economist un pomeriggio della sua infanzia in cucina con la madre. Sul fuoco le pentole di acqua bollente appannano i vetri delle finestre, oscurando i cumuli di neve all’esterno, mentre sul tavolo mucchietti di patate, cetriolini, carote, uova e petto di pollo aspettano di essere tagliati a cubetti. Alissa e la madre stanno preparando l’insalata Olivier, il fulcro del menu di capodanno che in Russia è più importante del Natale. Quella di Timoshkina è la versione post rivoluzionaria dell’insalata russa, piatto che nell’Europa centrale è conosciuto come insalata Olivier, un superfood nutriente pensato per mitigare gli effetti della carenza di cibo sotto il regime sovietico e mascherare ingredienti di scarsa qualità con grandi quantità di Provansal, la maionese prodotta per la prima volta nel 1936 e approvata da Stalin in persona.
Un piatto aristocratico che parla francese
Ironia della sorte, nella patria del comunismo, l’insalata russa nasce come piatto per le élite a metà Ottocento. La inventa Lucien Olivier, capo chef del ristorante Hermitage di Mosca e secondo la ricostruzione che ne fa Anya von Bremzen in “L’arte della cucina sovietica. Una storia di cibo e nostalgia” (Einaudi editore) si tratta di «una stravagante natura morta di lingua, fagiano e code di aragosta, disposta attorno a un monticello di patate e cetriolini sottaceto», il tutto condito da una salsa segreta dello chef. Con orrore di Olivier, i clienti russi banalizzarono la sua presentazione mischiando nei loro piatti tutti gli ingredienti. E così allo chef non restò che riconvertire il piatto in un’insalata. Giunse poi il 1917, l’Hermitage fu chiuso e le sue ricette messe alla berlina.
L’insalata tornò alla ribalta intorno alla metà degli anni Trenta, quando un vecchio apprendista di Olivier, un cuoco passato alla storia come compagno Ivanov, la ripropone all’hotel Moskva di staliniana memoria. I tempi però erano cambiati e i fasti prerivoluzionari banditi, così il fagiano e l’aragosta, nemici di classe, vennero scalzati da pollo e carote, con patate e piselli in scatola al centro della scena, il tutto condito dall’immancabile maionese industriale Provansal.
La versione piemontese
Secondo un’altra ricostruzione, la versione per così dire povera è legata al soggiorno in terra sabauda dello Zar, o di qualche esponente illustre della famiglia Romanov. I cuochi sabaudi, chiamati a eseguire il piatto in onore degli ospiti coronati, ma non trovando tutti gli ingredienti previsti dalla sontuosa ricetta originale, li sostituirono con le verdure degli orti reali, in particolare carote, piselli, fagiolini e patate, decorando il tutto con della panna al posto della maionese per evocare simbolicamente la neve delle steppe russe. La variante subalpina riscosse molto successo e venne presto riproposta nelle cucine delle famiglie nobili e borghesi di Torino, entrando a far parte della ricca sequenza di antipasti della cucina piemontese. In seguito, la declinazione sabauda della salat Olivier passò in Francia, dove venne ribattezzata salade piémontaise.
Quando un piatto diventa termometro politico
Versioni modificate dell’insalata Olivier viaggiarono per il mondo al seguito dei russi fuoriusciti dall’Unione Sovietica. Von Bremzen ha collezionato circa un migliaio di varianti rispetto alla ricetta di famiglia, «riservata a momenti della vita molto particolari» (i dettagli al fondo del servizio). «Mentre pelo patate, carote e frammenti di sottaceti dentro a una ciotola penso che l’insalata Olivier potrebbe costituire un’ottima metafora per la memoria di un esule sovietico: leggende urbane e miti totalitari, storie collettive e vicende personali, ritorni a casa reali e immaginari, tutti tenuti blandamente assieme dalla maionese».
Eletta a piatto nazionale russo a partire dagli Anni Trenta, l’insalata Olivier compare nel volume “The Book of Tasty and Healthy Food” del 1939, un mix di consigli nutrizionali e propaganda. E siccome la scarsità è da sempre la migliore alleata dell’appetito, più il regime spinge verso il consumo di massa, più le materie prime per realizzarla scarseggiano. Negli anni Cinquanta e Sessanta la maionese sovietica si trova solo nei ristoranti o nei negozi di alimentari delle grandi città e chi ha la fortuna di scovarla in piena estate ne compra due barattoli, il massimo consentito, e li conserva fino a Capodanno.
Ogni famiglia la realizzava a modo suo, con il pollo al posto della doktorskaya kolbasa, la “salsiccia del dottore”, o le mele al posto delle carote. «Come avveniva per la maggior parte dei piatti sovietici, le sottili variazioni erano il segnale di un’appartenenza culturale», spiega von Bremzen. Nel caso dell’insalata russa, i problemi identitari si riducevano alla scelta delle proteine. «I dissidenti militanti esprimevano il loro nichilismo culinario e il loro disprezzo per la febbre consumistica e per la corruzione estromettendo dall’insalata Olivier carne, pesce e pollame. Al capo opposto dello spettro, un ingrediente di lusso come la lingua bollita indicava l’accesso ai negozi di Partito; mentre la salsiccia del dottore, idolatrata negli anni Settanta, segnalava una visione del mondo fermamente operaia».
La versione all’italiana
«La così detta insalata russa, ora di moda nei pranzi, conservatone il carattere fondamentale, i cuochi la intrugliano a loro piacere» scrive l’Artusi, fissando per la prima volta nero su bianco alcuni ingredienti chiave della versione all’italiana: patate, carote, fagiolini, capperi, barbabietole, insalata, cetriolini sott’aceto, uova sode e due filetti d’acciuga, il tutto condito da maionese e composto in uno stampo.
Dopo anni di anonimato al sapor di maionese industriale e papponi usciti dal banco frigo del supermercato, l’insalata russa sta vivendo il suo revival, dalla versione eretica di Enrico Crippa con panna, tabasco e salsa Worcester a quella caramellata e croccante di Carlo Cracco che la serve come antipasto dolce dal cuore morbido.
Immancabile apertura di ogni menu piemontese, con i cubetti leggermente più grandi come viene preparata in Langa – mitica quella del ristorante Da Gemma a Roddino, capace di stregare anche René Redzepi del Noma di Copenaghen, due stelle Michelin – è sinonimo del pranzo della domenica. Ha anche la sua giornata di gloria, il 7 giugno, che quest’anno cade di lunedì.
Per prepararla nella versione casalinga ci vuole un’occasione speciale e ovviamente manodopera specializzata. Letizia Muratori nel volume “Insalata russa” (Slow food editore) ne fa un monumento sentimentale alla cucina che fu, quella stretta tra il tinello e il cucinino della nonna Antonietta Muratori Carducci, donna affascinata dalle scorciatoie della modernità che fanno capolino dal televisore sempre acceso – le verdure surgelate, la maionese Calvé, le spinacine Aia, la giardiniera Saclà – epperò capace, in caso di occasioni davvero speciali, di ravvedimenti operosi.
«L’insalata russa era l’asse portante del suo buffet, un classico che gli ospiti si aspettavano di vedere apparire su un supporto speciale, fuori servizio: una ceramica dal bordo arancione squillante che sembrava gridare a un mondo passato: «Mi riconosci? Sono il pronipote sportivo del piatto di mezzo!». Ai tempi d’oro dei ricevimenti, l’insalata russa veniva chiamata la maionese, e basta. «Il bello del suo racconto sulla maionese era che in parallelo, senza avvertire alcuna contraddizione, ti spiegava come si sarebbe dovuta fare e come, invece, la faceva lei. Attenzione a come si amalgama il tutto, con la forchetta e delicatamente, le verdure non devono ridursi in pappone, attenzione speciale va riservata ai piselli. Se il composto risultasse troppo arancione, perché le carote sono creature stupide e prepotenti, aggiungere qualche fagiolino al dente tagliato a metà. Sgocciolare bene il tonno nel passino. (…) Montare le uova davanti alla tv: è un passatempo simile al ricamo, con la cucina c’entra poco».
Ed è proprio lì, nel tinello borghese della nonna che l’insalata russa ha finalmente la sua rivincita, in quel dilemma tra essere o apparire finalmente risolto, felicemente senza più confini. «Un ventidue dicembre, quando ormai avevo scoperto da un po’ la verità sul Natale, quella pappa colorata mi sorprese: io ero cresciuta, liberata dall’incantesimo, mentre lei, la maionese di nonna, all’improvviso era diventata buona».
La versione serba di Vladimir Ocokoljic
Il proprietario del ristorante serbo Kafana a New York raccomanda di tagliare ogni ingrediente delle dimensioni di un pisello, non usare i sottaceti dolci (sono ammessi solo i cetriolini sott’aceto che rendono il piatto delicato, gustoso e saporito). L’aggiunta di un paio di cucchiai di salamoia dei sottaceti alla maionese crea un condimento abbastanza liquido e evita che l’insalata diventi troppo appiccicosa.
Ingredienti
3 patate gialle medie, lavate, 5 carote sottili e lavate, piselli surgelati; 4 uova grandi, fredde di frigo, prosciutto cotto, 1 tazza e mezza di cetriolini più due cucchiai della loro salamoia, 1 tazza scarsa di maionese Hellmann, sale, pepe nero.
Procedimento
Porta a ebollizione una grande pentola d’acqua salata. Lessa le patate con la buccia per 15 minuti, aggiungi le carote intere alle patate e prosegui la cottura per altri 10 minuti. Preleva patate e carote e mettile da parte in una ciotola, conservando l’acqua di cottura. Lessa per qualche minuto i piselli surgelati nella stessa acqua bollente quindi scolali e trasferiscili nella ciotola. Cuoci le uova per 10 minuti. Nel frattempo sbuccia le patate. Quando le uova sono cotte, scolale e sgusciale sotto l’acqua corrente fredda. Taglia a dadini della stessa dimensione patate, carote, prosciutto, uova e i cetriolini. Unisci i piselli e mescola il tutto in una grande ciotola. Aggiungi la salamoia alla maionese e condisci le verdure. Regola di sale e pepe. Metti in frigorifero per una notte e servi freddo il giorno dopo.
La versione bohémien di Anya von Bremzen
«Sulla nostra tavola, mamma dà a questo alimento base sovietico un tocco bohémien e anticonformista aggiungendo cetrioli freschi e mele, e inserendo la polpa di granchio al posto del pollo (al quale sentitevi comunque liberi di restare fedeli). La chiave della riuscita, comunque, ribadisce, è la seguente: tagliare ogni cosa a piccolissimi dadini. Inoltre rimaneggia ossessivamente la maionese Hellmann’s con svariate integrazioni piccanti. Penso che Lucien Olivier approverebbe.
Ingredienti
3 patate grandi, sbucciate, lesse e tagliate a dadini, 2 carote medie, sbucciate, lesse e tagliate a dadini, 1 mela Granny Smith grande, sbucciata e tagliata a dadini, 2 cetrioli sottaceto tagliati a dadini, 1 cetriolo medio, tagliato nel senso della lunghezza, privato dei semi con un cucchiaino, sbucciato e tagliato a dadini, 3 uova sode grandi, tagliate a fettine, 400 g di piselli in scatola, 4 cucchiai da tavola di cipollotti tritati fini, 4 cucchiai da tavola di aneto tritato fine, 340 g di polpa di granchio bianca, sminuzzata; o bastoncini di granchio, tagliati fini (o pollo o manzo lessi tagliati fini) sale kosher e pepe nero appena macinato, a piacere. Per il condimento: 240 g di maionese Hellmann’s, 80 ml di panna acida, 2 cucchiai da tavola di succo di limone fresco, 2 cucchiaini di senape di Digione, 1 cucchiaino di aceto bianco, sale kosher a piacere.
Procedimento
In una ciotola grande per impastare unisci tutti gli ingredienti e condisci con sale e pepe a piacere. In una ciotola media sbatti insieme tutti gli ingredienti del condimento, condisci con sale e assaggia: il gusto deve risultare intenso e piccante. Gira bene l’insalata con il condimento, aggiungendo ancora un po’ di maionese se non sembra abbastanza morbida. Aggiusta il condimento a piacere e servi in una ciotola di vetro o di cristallo.
La versione di nonna Antonietta Muratori Carducci
La versione per ospiti prevede che le verdure dell’insalata russa vadano bollite, tutte separate, rispettando i tempi di ciascuna, e al termine scolate e asciugate bene, «per non cacciar fuori l’acqua». Tutti segreti ereditati dalla madre Maria, la bisnonna di Letizia Muratori, segreti ai quali «la mia, di nonna, aveva ovviato usando il preparato surgelato per l’insalata russa, cui aggiungeva, tanto per camuffare l’inganno, due grosse patate fresche».
Ingredienti
4 patate, 4 carote, una costa di sedano, 2 manciate di fagiolini, 2 manciate di piselli sgranati, sale. Per la maionese: 2 tuorli d’uovo, succo di limone (facoltativo), olio di semi di girasole, sale, pepe.
Procedimento
Pulisci e lava tutte le verdure, tagliale a dadini e cuocile separatamente per alcuni minuti in poca acqua salata. Scolale molto al dente (devono rimanere croccanti), asciugale in un canovaccio, perché in seguito non rilascino acqua, e lasciale raffreddare. Intanto prepara la salsa. Sbatti dolcemente con una presa di sale e pepe i tuorli d’uovo fino a farli aumentare leggermente di volume, quindi aggiungi molto lentamente l’olio, goccia a goccia, continuando a mescolare fino a quando la salsa non diventa densa e faccia “flop”: l’ultima goccia di olio si fermerà in superficie. A questo punto unisci il succo del limone, se è di tuo gusto, rimestando delicatamente. Amalgama la salsa alle verdure e disponi l’insalata su un piatto da portata. Buon appetito.