Dimenticate i mercatini delle pulci, con quelle copertine malandate, polverose e scolorite, quegli album a due euro che non vuole nemmeno il robivecchi sotto casa. Dimenticate i grandi magazzini della “cultura”, con quei dischi patinati e imbellettati, che quando li metti sul piatto suonano peggio di un’audiocassetta pirata registrata nel 1985. E dimenticate le edicole, con «le più belle raccolte dei tuoi artisti del cuore», riproposti in edizioni di quart’ordine per rivivere «emozioni senza tempo».
Oggi il mercato del vinile è tutt’altra cosa: è dinamico, prolifico, artistico, internazionale e – soprattutto – meravigliosamente vivo, diviso fra attività online e vendita nei record store, che tengono duro nonostante la potenza pervasiva della Rete. E naturalmente si fraziona fra ristampe e nuove pubblicazioni, con buona pace di chi pensa che la grande musica sia ad esclusivo appannaggio del passato.
Tanto per cominciare, il long playing ha soppiantato il compact disc, supporto che nell’era della smaterializzazione sonora non ha più senso di esistere. Infatti, perché pagare 20 euro per una raccolta di file digitali che hanno la stessa identica qualità di un file FLAC, scaricabile legalmente a 1,99 euro? Ma soprattutto, il vinile ha riportato la corretta “aura” al concept di un album, fatto non solo di musica, ma anche di copertine, fotografie, testi e memorabilia inseriti in un box di cartone.
Un’opera d’arte seriale, dunque, che raccoglie sempre più accoliti pronti a investire il loro denaro in supporti fonografici, che nel tempo tendono ad aumentare il loro valore. Per comprendere il funzionamento di questo mercato basta fare un salto su discogs.com, il marketplace che attualmente rappresenta lo standard planetario del mondo musicale.
Su questo sito non solo si possono trovare (quasi) tutti i dischi in tutti i formati e le versioni mai pubblicate, ma è anche possibile monitorare il valore di questi oggetti da ascolto e collezione. Con una rapida ricerca, chiunque è in grado di conoscere la quotazione della propria discoteca casalinga, ma anche scoprire come le nuovissime pubblicazioni salgano di prezzo in tempi velocissimi.
Il vinile ha dunque ritrovato la sua nicchia di mercato, formata da appassionati pronti a spendere cifre considerevoli per le tante edizioni che le etichette discografiche mettono in vendita: disco nero e colorato, edizioni limitate e numerate, flexi-disc e cofanetti, splatter e picture disc, versioni sigillate in ceralacca e cartoline suonabili sul giradischi. Per non parlare delle serie limitate, che le label mettono in vendita senza neppure annunciare i titoli che ne faranno parte.
Gli ascoltatori, che si fidano ed affidano a queste etichette, pagano in anticipo qualche centinaio di euro per ricevere a casa – dopo alcuni mesi – vinili in anteprima mondiale, in edizioni spesso limitate a poche centinaia di copie. Superata dunque la febbre da modernariato, i nuovi melomani seguono con attenzione maniacale le date di uscita dei loro artisti preferiti, per accaparrarsi vinili che spesso vanno via in pochi minuti.
Il mercato dell’underground non ha bisogno di grandi numeri, ma si nutre di piccole stampe curatissime, che dopo 24 ore si ritrovano proprio su Discogs al quintuplo del prezzo originario. Capita allora che gruppi di culto del rock, garage, psych e alternative licenzino anche 10/15 pubblicazioni in un anno, andando a costruire discografie ricchissime, fatte di 7 pollici (il nostro 45 giri), 10 pollici (un formato di grandezza intermedia), registrazioni live, singoli, remix e veri e propri long playing.
A complicare il tutto, da qualche tempo è arrivata la mania del pre-order, cioè dell’acquisto (e pagamento) di un disco che verrà pubblicato in futuro. Per gli appassionati si tratta di una vera e propria corsa all’oro, perché queste prenotazioni avvengono spesso in numeri molto limitati, dunque difficilissimi da accaparrarsi.
Spesso le etichette discografiche sono quindi costrette a mettere un limite di 1 o 2 copie per acquirente, così da limitare le sperequazioni da asta online. Ma il pre-order diventa quasi un incubo per gli acquirenti seriali, capaci di comprare senza problemi 200/300 vinili all’anno, con pacchi provenienti da ogni parte del mondo e che arrivano anche molti mesi dopo averli acquistati.
Ma con tutte queste edizioni e formati, acquisti e rivendite, non si rischia di perdere di vista l’elemento centrale che langue fra i microsolchi, ovvero la musica? La risposta è decisamente negativa, chi compra vinile è un ascoltatore quasi sempre attentissimo e informatissimo, che non si limita all’uso del giradischi ma è abbonato a una piattaforma di streaming digitale, va ai concerti, interagisce tramite le community online e, quando può, si concede lunghi weekend per seguire i più interessanti festival internazionali.
Perché il vinile non è semplicemente un oggetto inerte e bello da guardare, ma un vero baluardo contro la cultura disarmante delle playlist digitali, un’esaltazione della convergenza artistica fra suono, immagine e parole, destinato a resistere a dispetto dell’effimero ascolto su Spotify. O almeno, si spera, fino a quando un erede – ovviamente amante della trap – non deciderà di portare la collezione del de cuius al mercatino delle pulci sotto casa.