Dolce e generosaPochissimi conoscono la più bella canzone d’amore del millennio

È l’opinione, e insindacabile in quanto tale, della scrittrice americana Lorrie Moore. Nel suo “Vedi quello che puoi fare” (La Nave di Teseo) sono raccolti saggi, letture e analisi su scrittori, opere e argomenti vari su cui esercita il suo acume

Il Cavaliere della Rosa, da Wikimedia Commons

Le opinioni sulla musica possono essere questioni caparbie e solitarie.

Io, ad esempio, credo che il valzer più inebriante del XX secolo sia Let’s Go Fly a Kite da “Mary Poppins”.

Ma non siate ostinati e non chiedetemi in alcun modo di giustificare questa idea, o mi morderò il pugno e guarderò tristemente fuori della finestra.

Nondimeno, una quieta evidenza può sopraggiungere nel soppesare la più bella canzone d’amore del millennio. Questa canzone non è davvero materia di opinione, quanto piuttosto un fatto certo, per determinare il quale ci si può avvalere del seguente metodo scientifico.

Un millennio dura molto. A malapena abbiamo ascoltato una manciata di brani tra quelli scritti nei primi tre quarti. Questi, dunque, li escludiamo automaticamente.

I pochi che conosciamo sono dubbie creazioni, vivacizzate con Hey nonnies o Ho nonnies o con qualche altra bizzarria, morti violente che accadono agli amanti – rovi e roseti che sbocciano dai loro corpi. L’uccisione e la fioritura di persone sono un veleno per il messaggio d’amore di una canzone. Raccontano una corruzione, un’antitesi troppo netta alla sua tesi. Se la morte è imminente e prossima, sottrarrà sempre attenzione all’amore. E otteniamo così una canzone di morte più che una canzone d’amore.

Una canzone d’amore che non contenga morte, un amore che non sia un fardello fatale o una dipendenza: quella è una canzone d’amore destinata all’eternità.

E se procediamo dunque in questo senso ed eliminiamo dal computo tutti i brani del XIX e XX secolo in cui la morte tocca velocemente in sorte all’amante che canta, possiamo fare qualche progresso reale. Via tutti i Liebestod e gli aspiranti tali: la maggior parte di Puccini, tutto Wagner, persino As Long as He Needs Me da “Oliver!” (Ho per caso omesso che stiamo analizzando solo musica occidentale e, nonostante la meravigliosa You’re a Hard Dog to Keep Under the Porch, nessuna canzone country-western? In effetti, ci avventureremo a malapena fuori della categoria dell’opera e del musical. La scienza ha le sue esigenze.)

Ciò ci porta più vicini alla canzone popolare leggera del XX secolo, e anche qui c’è molto da sfrondare. You Belong to Me è troppo possessiva, persino materialistica; You Were Meant for Me è dolce, ma carica del desiderio senza speranza di scapoli segretamente innamorati della solitudine. On the Street Where You Live è la colonna sonora di uno stalker. They Can’t Take That Away from Me è una strepitosa lista della spesa di ciò che va stipato nello zainetto del cuore quando il fato osteggia l’amore; il suo genio sta nel mettere in rima i souvenir emotivi “the way you hold your knife” e “the way you changed my life”. Ma può essere cantata in modo terribile, e spesso accade.

Poi ci sono i pezzi blues, i quali, sebbene trabocchino di compromessi falliti, possono risultare garbati e adorabili. Ma in realtà riguardano sempre la lunga, lenta morte del cantante, e non sono affatto canzoni d’amore.

Cosa che ci porta, infine, all’unica scelta logica della più grande canzone d’amore del millennio: il terzetto dal “Cavaliere della rosa” di Richard Strauss, naturalmente. Ci troviamo di fronte a una delle cose più belle che siano mai state scritte; se si riesce a cantarla, non può essere cantata male. Arriva nel penultimo momento dell’opera, quando la donna più anziana (la Marescialla) elegantemente rinuncia al suo giovane amante (Octavian), scoprendolo nuovamente innamorato di qualcuno della sua età.

L’amore, nel racconto di Hugo von Hofmannsthal, è simultaneamente abbracciato e altruisticamente ceduto – a cosa servono altrimenti i terzetti? Leggera e intensa, la canzone conosce le profondità melodiche e la passione di Wagner ma il libretto e l’ironia di Mozart. È, come i superbi brani musicali spesso sono, un edificio, una conclusione storica, il prestito da genio a genio.

E nelle sue alte note mozzafiato contiene sicuramente la musica delle sfere celesti; se gli angeli hanno bollitori, di certo fischiano così. «Così avevo giurato, di amarlo nel modo giusto», canta la Marescialla, «sì che avrei amato anche l’amore suo per un’altra! […] Sono così tutte le cose al mondo, cui noi non arriviamo a prestar fede, se mai le ascoltiamo in un racconto. Soltanto chi le vive, ci crede e non sa come […] Così Dio vuole».

Il tempo è scaduto nella vita romantica della Marescialla. Ha avuto la sua possibilità, la sua occasione, e ora deve ritirarsi – quanto è appropriato tutto ciò per la fine di questi ultimi mille anni. È una saggia, regale aria d’amore, di straordinaria dolcezza e generosità, non diversa dalla sublime canzone di commiato di Dolly Parton I Will Always Love You.

E qui devo fermarmi: sono di nuovo atterrata tra la musica country-western, di certo lontana anni luce dalla scienza.

da “Vedi quello che puoi fare”, di Lorrie Moore, La Nave di Teseo, 2021, pagine 240, euro 23

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