Meglio Donald Trump di Joe Biden. Paradossalmente, a differenza di ogni altro aspetto della vita politica statunitense, estera e interna, è questo il primo giudizio da parte dei funzionari cinesi in merito ai rapporti intercorsi con la nuova amministrazione americana.
Secondo un articolo del Washington post, dopo un incontro avvenuto tra alcuni diplomatici molto esperiti di entrambi i Paesi, i funzionari americani hanno specificato che attualmente i dialoghi si limitano a tamponare le tensioni e impostare un “guard-rail” di sicurezza per il dossier sino-americano.
L’obiettivo è quello di mantenere aperti i canali di comunicazione, senza tuttavia fare passi indietro sulle partite aperte sul fronte cinese. «In uno scambio con il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il viceministro degli Esteri Xie Feng, il vice segretario di Stato Wendy Sherman ha esposto le molte preoccupazioni di Washington sulle campagne di repressione a Hong Kong, Xinjiang e Tibet che Pechino sta portando aventi» si legge.
A preoccupare l’establishment americano, e con esso l’Unione Europea e altre potenze mondiali, sono gli hacker affiliati al governo cinese che hanno partecipato a una vasta gamma di attività informatiche dannose.
Sherman ha affermato che la sua amministrazione ha accolto con favore la «forte concorrenza» con la Cina, ma l’amministrazione Biden si aspetta «che la nazione capisca che i diritti umani non sono solo una questione interna, ma un impegno globale che hanno sottoscritto», ha all’Associated Press .
Sherman ha anche sollevato la questione della pandemia e della cospicua mancanza di cooperazione della Cina con gli sforzi dell’Organizzazione mondiale della sanità per comprenderne le radici del Covid-19. «La scorsa settimana Pechino ha annunciato che non avrebbe cooperato con i piani di ricerca dell’OMS», ha riferito la giornalista Eva Dou. «Biden ha sostenuto il piano dell’OMS, ordinando anche alle agenzie di intelligence statunitensi di cercare le prove di come sia iniziata la pandemia», ha sottolineato.
Come ha reagito la Cina a questo pugno duro? Durante i primi incontri in Alaska a marzo, Wang ha attaccato Biden e i presunti fallimenti della democrazia statunitense. Mentre questa volta Xie ha accusato l’amministrazione Biden di alimentare conflitti tra i due Paesi.
«Gli Stati Uniti vogliono riaccendere il patriottismo nazionale stabilendo la Cina come nemico immaginario», ha affermato Xie ai media statali. Pechino afferma poi che, contrariamente a quanto sostengono abitualmente i repubblicani a Washington, c’è poca differenza tra l’attuale approccio di Biden sulla Cina e quello del suo predecessore.
Perché? Nei suoi primi sei mesi al potere, Biden ha sanzionato i funzionari cinesi coinvolti nella repressione di Hong Kong, ha posto controlli sulle esportazioni per alcune aziende tecnologiche cinesi e ha esteso le misure dell’era Trump per impedire gli investimenti statunitensi in società cinesi che si occupano di armamenti militari.
Nel frattempo, la rappresentante per il commercio degli Stati Uniti Katherine Tai ha mantenuto la linea dura intrapresa dall’amministrazione Trump.
L’impronta, però, a differenza dei quattro anni di American First di Trump, è più incline verso l’atlantismo: «Poiché gli Stati Uniti cercano di costruire un fronte più unito con i partner europei», scrive il quotidiano. «L’amministrazione di Biden sta isolando la Cina con una strategia di club multilaterale», ha detto al New York Times Yan Xuetong, preside dell’Istituto di relazioni internazionali della Tsinghua University di Pechino. «Questa strategia ha causato molte più difficoltà allo sviluppo economico della Cina e pressioni sulle relazioni diplomatiche cinesi rispetto alla strategia unilaterale di Trump».
Ad aiutare poi la crociata di Biden sono anche i malumori interni alla Cina. Gli analisti, si legge nell’articolo, suggeriscono che il regime comunista sta affrontando crescenti tensioni di fondo: «Il presidente Xi Jinping sta rimodellando il sistema politico del Paese a sua immagine, smantellando i limiti del mandato presidenziale e accumulando un enorme potere personale. Ma non esiste una strategia di successione in atto e la leadership cinese deve affrontare sfide crescenti con un’economia in rallentamento e una popolazione ingrigita».
Anche se è difficile che da Pechino trapeli un qualche segno di debolezza. «Gli Stati Uniti hanno dichiarato il loro ritorno, ma il mondo è cambiato», ha detto Le Yucheng, vice ministro degli Esteri, in una recente intervista. «Gli Stati Uniti devono vedere questi cambiamenti, adattarsi ad essi, riflettere e correggere i propri errori del passato».
Per il momento si assiste quindi a una competizione ideologica, nella quale è difficile capire chi sia il vincitore. «Ci saranno periodi di incertezza, forse anche periodi di occasionali crescenti tensioni», ha detto Kurt Campbell, il massimo esponente asiatico della Casa Bianca. «Credo che Cina e Stati Uniti possano coesistere pacificamente? Sì, certamente. Ma penso che questa sfida sarà enormemente difficile per questa generazione e per la prossima», ha concluso.