Black passLa vera dittatura sanitaria e le cavie umane di Mussolini

Dal 1925 al 1929 il Duce diede l’autorizzazione a due oscuri ricercatori iscritti al partito, Giacomo Peroni e Onofrio Cirillo, di condurre un esperimento su larga scala a spese di centinaia di persone povere e vulnerabili, in violazione di ogni norma di etica professionale

LaPresse

I salutisti romani di Casa Pound e dintorni, che vanno in piazza con la stella gialla dei non vaccinati, i grillocomunisti torinesi che vedono nel green pass uno strumento subdolo di esclusione sociale e i travaglisti che contestano la competenza di Mario Draghi in campo medico, avrebbero tutti bisogno di un ripassino di storia. Perché una dittatura sanitaria (e non solo) in Italia l’abbiamo avuta, ed è stata quella del capo del fascismo ed ex socialista rivoluzionario Benito Mussolini. Allora, al posto del Covid, c’era la malaria. E nel 1925, con il pretesto delle ricorrenti epidemie, il Duce da tre anni al potere diede l’autorizzazione a due oscuri ricercatori iscritti al partito, Giacomo Peroni e Onofrio Cirillo, di condurre un esperimento su larga scala a spese di centinaia di persone povere e vulnerabili, in violazione di ogni norma di etica professionale. Un’impresa degna del dottor Mengele (ne parla lo storico di Yale Frank M. Snowden nel suo straordinario libro La conquista della malaria, Einaudi 2008). 

I due scelgono un gruppo di duemila lavoratori impiegati nella bonifica di aree malariche in Puglia e in Toscana, gli levano il chinino (un farmaco usato per decenni contro la malattia, e che si era dimostrato efficace nel ridurre la mortalità) e gli somministrano del mercurio, un rimedio già ampiamente bocciato dalla comunità scientifica e dal Consiglio Superiore di Sanità. Obiettivo dell’esperimento, in linea con le aspirazioni del regime, è dimostrare che l’Italia può curare la malaria senza dover dipendere dall’estero (all’epoca i Paesi Bassi hanno il monopolio della produzione di chinino). Una terapia alternativa, autarchica, per fare dispetto a Big Pharma.

I prodi camerati dividono le loro cavie in due gruppi: il primo è abbandonato all’infezione, viene cioè mandato a lavorare all’aperto in un ambiente infestato da zanzare anofele senza protezione alcuna, per capire come la malattia si evolva naturalmente nel corpo umano. Al secondo vengono praticate delle iniezioni intramuscolari di mercurio. Quella che i malariologi del littorio chiamano «saturazione» va avanti per quattro anni, fino al 1929. Non si sa di preciso quante vittime e quante sofferenze abbia provocato l’ardito esperimento, anche se Peroni sostiene che i risultati sono stati «splendidi», tanto da proporre di «mercurializzare» l’intero esercito italiano. Di opposto parere il Consiglio Superiore di Sanità: i partecipanti all’esperimento si sono ammalati tutti e il mercurio iniettato si è dimostrato totalmente inefficace. 

Ma questi per il fascismo sono dettagli, quisquilie rispetto agli interessi superiori della nazione. Anche la bonifica integrale delle paludi pontine, orgoglio dell’impero, «tornante della storia», una delle «cose buone» fatte dal Duce secondo i nostalgici, ha avuto un costo elevatissimo in termini di vite umane. Masse di disperati, disoccupati ed ex combattenti da tutta Italia aderiscono alla chiamata del regime e si riversano in quel lembo di terra desolata, accampandosi in modo precario e in condizioni igieniche disastrose, e sottoponendosi a fatiche disumane in mezzo a nugoli di zanzare. Muoiono a migliaia per incidenti sul lavoro, tubercolosi e ovviamente malaria. Ma che importa: dice Mussolini che la bonifica è come una guerra, e i lavoratori sono soldati che hanno il dovere di morire in battaglia.  

Prima della marcia su Roma la lotta alla malaria era stata una delle bandiere del movimento socialista, oltre che dei liberali giolittiani al potere. Per promuovere il chinino di stato nelle campagne, vincendo resistenze e superstizioni, si mobilitavano medici, insegnanti, attivisti e dirigenti di partito, femministe come Anna Kuliscioff e sindacalisti come Argentina Altobelli, leader delle mondine di Federterra, una valorosa riformista che al famoso congresso di Livorno del 1921 si schiererà con Turati contro i comunisti. Nei primi anni del Novecento questione sociale, questione femminile e questione sanitaria sono strettamente intrecciate (come oggi, del resto). La campagna per il chinino trasforma i rapporti di potere, indebolendo i latifondisti e facendo crescere la coscienza di classe dei contadini, ma migliorando anche le loro condizioni di vita e di salute e la loro capacità di difendere i propri diritti.  

La dittatura fascista fa tabula rasa di tutto questo, ma costruisce i suoi successi su decenni di impegno militante e di faticose riforme delle odiate élite liberali e socialiste. Archiviata la stagione dei diritti e ridotte al silenzio le poche voci di dissenso, Mussolini era libero di intervenire arbitrariamente su tutto, anche in materia sanitaria, fregandosene della scienza e della competenza. Lo chiamavano il Grande Medico. E se dicevi che il Duce non capiva un cazzo non ti invitavano a Otto e mezzo, ma ti davano prontamente il green pass (anzi il black pass) per una indimenticabile vacanza a Ventotene.

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