Scriveva Michael Pollan, giornalista americano autore de «Il dilemma dell’onnivoro», che il cibo a prezzo basso è un’illusione e il suo vero costo alla fine viene pagato da qualche parte: se non lo paghiamo alla cassa, lo paga l’ambiente. La frase riassume bene la filosofia di Passo Ladro, realtà imprenditoriale nata lo scorso anno nelle campagne tra Noto e Siracusa. «Tutto è iniziato quando mio padre ha deciso di tornare in Sicilia acquistando una masseria abbandonata e trenta ettari di terreno», racconta Anthony, figlio di Pino Lops, che negli anni Settanta ha lasciato l’isola insieme ai genitori per cercare fortuna al Nord.
Nel 2012 i Lops decidono di tornare in Sicilia e di scommettere sul potenziale di queste terre, abbandonate da quasi un secolo. Contrada Passo Ladro registra la toponomastica, a indicare che i briganti qui erano di casa fin dall’Ottocento. «Anche noi siamo briganti ma etici», spiega Anthony Lops. «Dal 2019 coltiviamo in regime biologico certificato, rispettando i tempi della natura ma con gli strumenti che ci fornisce la tecnologia».
Per ottimizzare al meglio le risorse, la gestione del sistema d’irrigazione avviene tramite software e rete wireless, mentre umidità e temperatura del suolo sono costantemente monitorati attraverso sensori. Un’agricoltura di precisione senza sprechi di energia preziosa: il know how imprenditoriale acquisito negli anni – Anthony è fresco di laurea in Economia – viene trasferito ai contadini che lavorano la terra, un network costruito negli anni. Ora la produzione del brand Passo Ladro può contare su circa 200 ettari interamente convertiti al biologico.
Non solo: coltivare senza utilizzare la chimica, rispettando i cicli della natura, consente di preservare l’intero ecosistema. La conservazione della biodiversità nelle aree naturali all’interno e intorno ai campi crea l’habitat ideale per la fauna selvatica. Anche questo fa parte del patto etico tra produttore e consumatore, un patto che vorrebbe sovvertire le logiche della grande distribuzione, che considera il cibo come una risorsa sempre disponibile in grandi quantità e a prezzi molto bassi. «Per lungo tempo non ci siamo più chiesti cosa stavamo effettivamente mangiando, da dove provenissero i prodotti che finivano sulle nostre tavole, che senso avesse farli arrivare dall’altra parte del Pianeta per consumarli magari fuori stagione. Noi siamo conviti che ci sia bisogno di un’agricoltura che rispetti l’ambiente e i consumatori».
Un dato su tutti: dieci anni fa ristorazione e negozi specializzati detenevano il 46 per cento del mercato del biologico, la grande distribuzione l’11 per cento. Nel giro di dieci anni la proporzione si è invertita e oggi sono i grandi gruppi ad avere la quota di mercato più grande. Di qui la battaglia di Passo Ladro per il riconoscimento del vero bio.
Per mettere insieme il suo team, che oggi conta 17 persone tra agronomi, tecnici di laboratorio, chef, addetti alla produzione e al marketing, Anthony ha fatto scouting all’estero, cercando giovani siciliani emigrati per studio e lavoro. Ora alcune menti brillanti, come il responsabile di laboratorio con un passato in Tesla, hanno sposato in pieno il progetto.
E così, in un territorio dove regnava la rassegnazione, l’economia si è rimessa in moto e i giovani sono tornati nelle terre abbandonate dai loro nonni. E questo è il secondo pilastro etico di Passo Ladro: riconoscere a chi lavora il giusto prezzo dei prodotti. «Per anni fare agricoltura qui ha significato piegarsi alle decisioni delle multinazionali che imponevano prezzi estremamente bassi, tanto che la gente preferiva lasciare i terreni incolti anziché lavorarli. Per invertire questa tendenza il primo passo è stato aiutare i contadini a ottenere la certificazione. Produrre biologico ha sì costi maggiori ma questi sono ampiamente ripagati dal prezzo più alto a cui possono rivendere i prodotti».
Dopo anni di abbandono queste terre hanno ripreso a dare frutta, verdura, olio, infusi e miele; dai grani antichi siciliani e altri cereali minori oggi si produce pasta a chilometro zero seguendo un metodo di lavorazione lento e fedele alla tradizione: acqua dei Monti Nebrodi, trafilatura al bronzo ed essiccazione lenta a bassa temperatura. L’olio invece arriva dalla spremitura della Tonda Iblea, una cultivar di ulivo iperlocale che produce frutti solo se impollinato da altre specie.
Il controllo di tutta la filiera produttiva, dal seme al prodotto trasformato, consente di evitare sprechi e gestire le eccedenze. Il surplus viene trasformato in marmellate, conserve e sughi seguendo le ricette delle tradizione. Nel laboratorio di trasformazione la manodopera locale segue tutti i passaggi artigianali: per i sughi, ad esempio, il lavaggio dei pomodori, la pelatura e il taglio vengono eseguiti a mano come succedeva un tempo.
Il brand sfrutta il canale e-commerce per distribuire i prodotti fuori regione. Le cassette con frutta e verdura vengono spedite ogni settimana a Roma, Milano, Brescia e sul lago di Garda, in base alla disponibilità dell’orto. «Tra i prossimi obiettivi, ci sono i mercati del Nord Europa, soprattutto Svizzera e Germania, da raggiungere attraverso il potenziamento dello shop online».