Ogni piccola azione ha conseguenze che riecheggiano nell’infinito. Quello che arriva nel nostro piatto è un anello che compone la lunga catena di cause ed effetti in cui siamo immersi ma, a differenza di altri sui quali non abbiamo alcun controllo, quell’anello è nelle nostre mani. Possiamo ad esempio decidere di non mangiare pesci che sono oggetto di pesca intensiva (il Wwf ne ha censiti cinque, classificandoli ad alto rischio estinzione: anguilla, cernia bruna, rana pescatrice, verdesca e pesce spada). Rinunciare a consumarli oggi significa alimentare la speranza di tornare a pescarli tra qualche anno o quando sarà di nuovo possibile.
Stefano Sforza, chef del ristorante torinese Opera Ingegno & Creatività, ha aderito alla campagna #iocambiomenu sostituendo l’anguilla con i ricci e la rana pescatrice con il lucioperca, un pesce d’acqua dolce delicato e versatile. Ma la ricerca si è spinta oltre e nella carta estiva è entrata anche la razza, un pesce dal grande potenziale ma ancora poco sfruttato che Sforza propone in abbinamento a ciliegie e asparagi.
La cucina etica di Sforza non riguarda solo il pesce: per una scelta cruelty-free in carta non ci sono né l’astice né il foie gras. Nel caso del fegato d’oca la svolta è partita dagli Stati Uniti, dove in alcune città sarà bandito dal 2022. La ragione è l’oggettiva crudeltà degli allevamenti in cui le oche vengono forzatamente nutrite con un tubo infilato in bocca a cadenza regolare durante la giornata. In carta i piatti a base di foie gras erano molti: tortello con brodo di oca e tartufo nero; fusillo, burro acido e foie gras e lingotto con mango, in cialda di lievito madre.
«Cercare alternative», spiega Sforza, «ti costringe a sperimentare vie meno battute ma proprio per questo più entusiasmanti». È il caso del menu vegetariano, costruito su un solo ingrediente: «Di solito si cerca di non ripetere la stessa materia prima, io sono andato controcorrente e ho immaginato un intero percorso intorno a un unico elemento».
Dopo cavolfiore e carciofo, il protagonista dei mesi estivi è il pomodoro che arriva direttamente dall’orto della famiglia Cometto, proprietaria del ristorante Opera e di un’azienda agricola a Chieri, sulla collina torinese. Quindici diverse cultivar che nei cinque piatti del menu a tema si trasformano in una sinfonia di sapori e consistenze diversissime: fermentato nella soia, con anguria e mandorle; in purezza, accompagnato da primo sale marinato, cetriolo gelificato e semi di chia; in una insolita pasta al pomodoro da consumare al cucchiaio; protagonista di una millefoglie in versione salata; nel sorbetto finale, ovviamente al pomodoro, con alchechengi, frutto della passione, riso soffiato e zuppetta di menta.
Tradotto fuor di menu, un lavoro molto tecnico sulla materia prima che non prevede scarti. Nell’economia circolare della cucina, i semi del pomodoro diventano una gelatina da sciogliere nel brodo, ottenuto a sua volta con l’acqua della prima spremitura a freddo del pomodoro. L’acqua della seconda spremitura viene invece usata per il sorbetto. «Quando ho iniziato a fare il cuoco lasciavamo giorni interi il merluzzo sotto l’acqua corrente. Oggi una cosa del genere non potrebbe più esistere, è cambiato il mondo».
La filosofia antispreco parte dalla cucina e arriva fino alla cantina dove per le bottiglie più pregiate viene utilizzato il Coravin, un dispositivo che permette di versare il vino senza stapparlo: una microcannula inserita nel tappo di sughero fa passare il liquido rilasciando all’interno della bottiglia un gas inerte che ne impedisce la repentina ossidazione.
Classe 1986, Sforza ha maturato esperienze al Louis XV di Alain Ducasse, al ristorante Del Cambio, al Trussardi alla Scala per poi tornare a Torino, nella brigata del Turin Palace, prima di approdare a Opera come executive chef due anni fa.
Tre volte a settimana un giro al mercato, quello storico di Porta Palazzo, per integrare la fornitura dell’orto che poi viene elaborata nella cucina a vista che affaccia su via Sant’Antonio da Padova e conduce molto lontano dal repertorio di casa. «La frutta, ad esempio, nei piatti salati dà acidità, dolcezza e bilanciamento. Uno dei miei piatti cardine, presente in carta da due anni, è il piccione in tre consistenze: petto al barbecue, coscia al forno e filetto crudo. A ogni stagione cambia l’abbinamento con la frutta, ora è servito con banana, curry e chips di platano fritte.
Nella cucina di Sforza c’è posto anche per i favolosi anni Ottanta, ovviamente rivisti e corretti: così le pennette panna e vodka che imperversavano in tutte le trattorie dell’epoca si trasformano in un elegante spaghetto con uova di salmone e “panna” ottenuta dalle proteine della seppia centrifugate. Un divertissement da gustare in attesa che, direttamente al vostro tavolo, il sommelier Carlo Salino prepari il cocktail abbinato al piatto, un percorso di degustazione che si affianca a quello classico con i vini, in un tandem perfetto tra sala e cucina.
Tra i cocktail ideati da Salino per l’estate c’è la rivisitazione del Bloody Mary realizzato con datterini centrifugati, vodka islandese Reyka, prodotta utilizzando acqua sorgiva da rocce vulcaniche, e qualche goccia di olio al basilico. Ingegno e creatività a tutto tondo, come recita la carta di Opera. Una dichiarazione di intenti che arriva direttamente nel piatto.