Un giudice a Münster Lo strano caso della corte tedesca che non vuole rimpatriare i migranti in Italia

Il tribunale amministrativo nel Nordreno-Vestfalia ha stabilito che due rifugiati, un somalo e un malese, non potranno tornare nel nostro Paese nonostante sia quello di primo approdo all’interno dell’Unione europea perché «in caso di rientro correrebbero il serio rischio di subire un trattamento inumano e degradante»

LaPresse

L’alta corte amministrativa di Münster, nel Land tedesco del Nordreno-Vestfalia, ha stabilito che due richiedenti asilo non potranno essere rimandati in Italia, il loro Paese di primo arrivo nell’Unione europea, a causa delle condizioni a cui andrebbero incontro se vi venissero fatti tornare. 

Si tratta di due uomini, un somalo e un malese, che erano arrivati in Germania dopo essere stati in Italia. Entrambi avevano fatto richiesta d’asilo già in Italia (al somalo era stata accettata), ma si sono poi trasferiti in Germania, dove hanno nuovamente presentato richiesta. A quel punto, l’Ufficio Federale per la Migrazioni e l’Asilo (BAMF, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge) ha rigettato la domanda, sostenendo come in base al Regolamento di Dublino fosse il Paese di primo arrivo, e cioè l’Italia, a essere competente per i due, che quindi dovevano essere riportati nel nostro Paese. 

I due uomini hanno però fatto ricorso contro la decisione del BAMF. Giovedì, l’Oberwaltungsgericht del Nordreno-Vestfalia, la corte competente sul caso, ha dato ragione ai richiedenti asilo, bloccando il processo di rientro in Italia. 

La corte ha motivato la decisione sulla base del fatto che i due «in caso di rientro in Italia correrebbero il serio rischio di subire un trattamento inumano e degradante». Con questo però la corte non intende affermare che sia concreto il rischio di violenze o maltrattamenti da parte delle autorità (come alcune testate in Italia hanno lasciato pensare commentando la notizia). 

Il tribunale renano sostiene infatti che, in caso la sentenza del BAMF fosse eseguita, i due si troverebbero, per circostanze non determinate dalla loro volontà o dalle loro scelte, per lungo tempo privi della possibilità di soddisfare bisogni elementari, quale quello di lavorare o di trovare un alloggio, dato che in Italia non ne avrebbero più diritto e potrebbero non trovare posto nelle strutture d’accoglienza per senzatetto. Nel motivare questa tesi, i giudici hanno fatto riferimento sia alla situazione del mercato del lavoro e dell’economia in Italia, anche nel contesto post-pandemico, sia a limiti del sistema d’asilo italiano, che riconosce il diritto all’alloggio in strutture specializzate solo in caso di richiedenti asilo invalidi, come feriti gravi, o con famiglie e bambini a carico. Non è del resto il primo caso del genere: a gennaio una decisione simile era stata presa sempre dalla corte di Münster in merito a dei richiedenti asilo che avrebbero dovuto essere riportati in Grecia, e una vicenda analoga si era verificata ad aprile con una corte del Luneburgo. 

Attualmente sul caso non si sono espressi né il ministero dell’Integrazione né quello della Giustizia, ma dichiarazioni sono venute da esponenti dei partiti all’opposizione nel Landtag. Berivan Aymaz, deputata al Parlamento del Nordreno Vestfalia e responsabile locale per i temi migratori nei Verdi, ha difeso la decisione facendo notare come i limiti del sistema italiano siano noti e acuitisi con la pandemia. Anche Ibrahim Yetim, omologo di Aymaz per la SPD, ha espresso soddisfazione per la sentenza e ha spostato la discussione sul piano europeo, affermando come sia ormai necessario che in ogni Stato membro UE «valgano gli stessi standard per i richiedenti asilo» e che «l’Italia deve attenersi alla Convezione di Ginevra sui rifugiati, che regola molto chiaramente quali aiuti debbano essere forniti in termini di alloggio e lavoro». 

In effetti, la sentenza solleva questioni interessanti. Non solo perché dalla sentenza emerge un ritratto poco lusinghiero del sistema italiano, ma anche perché essa in qualche modo mostra i limiti del (e contraddice il) regolamento di Dublino, sulla base del quale il BAMF aveva preso la sua decisione. Finendo con il porre l’attenzione sui diversi sistemi d’asilo e sull’effettiva implementazione dei principi europei, inoltre, la sentenza rende chiaro come questo genere di vicende si sviluppino a causa di nodi mai risolti del sistema d’asilo europeo, e come solo sul piano UE possano essere definiti standard comuni.  

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