Ritorno al passatoDal Venezuela alla Bielorussia, è un’estate terribile per i diritti umani

Rapimenti, arresti preventivi nei confronti di avversari politici, repressioni, torture e maltrattamenti sono diventati moneta comune in tutto il mondo. Da un’America latina sempre più violenta a una Europa orientale più a rischio. E anche l’Italia non si comporta benissimo

AP Photo/Vincent Yu, File

È difficile, questa estate, per i diritti umani. In Bielorussia, è stata appena condannato a 14 anni di carcere il leader oppositore Viktor Babariko, già candidato alla presidenza in detenzione preventiva dallo scorso 18 giugno con accuse di corruzione e riciclaggio. Lo avevano arrestato appunto mentre raccoglieva firme per presentarsi contro Lukashenko, e lui in tribunale ha dichiarato di non potersi «dichiarare colpevole per crimini non commessi».

Quasi in contemporanea, in Nicaragua, è stato detenuto un sesto candidato alla presidenza contro Daniel Ortega al voto del prossimo novembre. È Medardo Mairena, un leader contadino arrestato assieme a altri tre dirigenti rurali. Sono sei gli oppositori arrestati solo la notte di lunedì, perché assieme a loro sono finiti dentro anche due leader studenteschi. E ben 27 dallo scorso 28 maggio: compresi, appunto, sei candidati alla presidenza, tra cui la figlia della ex-presidente Violeta Chamorro. E compreso anche un ex-comandante guerrigliero che ai tempi della lotta contro Somoza aveva rischiato la vita per liberare Ortega dal carcere.

Quasi in contemporanea, a Hong Kong la polizia cinese ha arrestato nove persone, tra cui sei studenti. «Preparavano attentati» è stato detto, nell’annunciare il sequestro di materiali altamente pericolosi come walkie-talkie e caschi.

Quasi in contemporanea, venerdì scorso in Venezuela sono stati arrestati tre esponenti della ong Fundaredes, compreso il coordinatore nazionale Javier Tarazona. Secondo le autorità sarebbero responsabili di «tradimento alla patria, terrorismo e incitazione all’odio».

In effetti erano coloro che stavano dando informazioni sul conflitto che è divampato nello Stato di Apure. Da una parte, guerriglieri colombiani delle Farc che dopo essere stati invitati dal regime sono scappati. Dall’altra, i militari venezuelani, di cui appunto Fundaredes ha documentato l’impreparazione e l’incapacità a venire a capo della minaccia.

I tre sono stati arrestati proprio in presenza di una delegazione Ue, che era venuta a esplorare la possibilità che le prossime elezioni regionali possano avere un minimo di affidabilità perché l’Unione se ne possa fare garante. La stessa delegazione ha fatto un appello a che «si rispetti il diritto dei detenuti al dovuto processo, in particolare all’assistenza giuriduca».

Purtroppo, all’impazzimento generale non contribuiscono solo governi nazionali. Da Ungheria e Russia che vanno avanti con leggi omofobe a Cuba che manda in galera intellettuali e rapper, in quella che è stata definita «Primavera Nera».

Negli Stati Uniti, è stata l’opposizione repubblicana al Congresso a bloccare a colpi di ostruzionismo una legge per impedire che le amministrazioni repubblicane negli Stati del Sud frapponessero ostacoli al diritto di voto. Nell’est dell’Ucraina, sono stati i gruppi armati pro-russi ad essere accusati da Human Rights Watch dell maltrattamento di prigionieri. In particolare la mancanza di cure mediche per quattro donne detenute, di cui una incinta e due con gravi patologie; ma anche torture per altri prigionieri, e più in generale mancanza di garanzie giuridiche minime per un numero di persone stimate tra le 170 e le 400, e accusate dalle repubbliche ribelli di cose come «spionaggio» o «tradimento».

In Spagna si deve a «iniziativa privata», diciamo così, il brutale omicidio del 24enne Samuel Muñiz, pestato a morte a La Coruña, en Galicia. Da una dozzina di energumeni al grido di «maricón de mierda», «frocio di merda».

E il clima è ancor di più reso fosco dal riemergere alla cronaca di cose del passato. Dai video con i pestaggi di detenuti nella nostra Italia alla scoperta di centinaia di tombe anonime presso istituti cattolici dove venivano internati giovani indigeni in Canada, fino alla condanna del mandante per l’omicidio di Berta Cáceres. Una ambientalista e leader del popolo indigeno lenca assassinata in Honduras nel marzo 2016 su mandato del gerente di una società idroelettrica.

Ma ci sono comunque alcune situazioni che in questo momento emergono più di altre. Sulla Bielorussia, in particolare, lunedì la relatrice speciale Onu Anaïs Marin ha denunciato «crimini senza precedente per portata e gravità» perpretati dal regime nell’ultimo anno. Nel suo rapporto parla di «violenza poliziesca generalizzata contro i manifestanti, casi di sparizione forzata, accuse di tortura e maltrattamenti, così come intimidazioni continue e persecuzioni a attori della società civile». Insomma, «un attacco totale contro la società civile».

«La repressione è tale che migliaia di bielorussi sono stati obbligati o forzati a lasciare la loro patria e a cercare sicurezza all’estero, che un aereo civile è stato obbligato a atterrare a Minsk lo scorso 23 maggio apparentemente per poter detenere un dissidente che viaggiava a bordo. Nessun oppositore all’attuale governo è in salvo, da nessuna parte». I detenuti politici sarebbero arrivati addirittura a 35.000, inclusi bambini e donne. Sarebero stati «picchiati, maltrattati, torturati». E ci sarebbeero stati «stupri, sparizioni e anche omicidi».

Quanto alla Cina, una «grave preoccupazione» per le violazioni dei diritti umani in particolare a Hong Kong e nello Xinjiang è stata manifestata non solo da Angela Merkel e Macron, che hanno parlato in videonferenza, e ai quali si potrebbe rispondere che neanche le loro polizie non vanno di mano leggera quando sono sfidate. Ma anche da Google, Facebook e Twitter, la cui preoccupazione principale dovrebbe essere fare soldi, ma che preannunciano di dover forse essere costrette a lasciare Hong Kong in seguito alla nuova legge sui dati con cui il regime cinese renderebbe le Big Tech responsabili per contenuti pubblicati dagli utenti.

Xi Jinping risponde premiando con titoli onorifici le forze repressive nello Xinjiang, e dicendo che campi dove sono detenuti un milioni di uiguri non sarebbero centri di lavoro forzato ma di «formazione professionale».

E poi c’è la Corte Penale Internazionale che ha respinto il ricorso del presidente venezuelano Maduro contro un’indagine sulla violazione dei diritti umani in Venezuela che potrebbe farlo incriminare. Secondo la Procuratrice della Cpi Fatou Bensouda ci sarebbero «fondamenti ragionevoli» per credere che in Venezuela siano stati compiuti crimini di lesa umanità. Tra essi tortura, violenza sessuale e persecuzione per motivi politici.

A sua volta l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani Michelle Bachelet ha chiesto la liberazione dei tre dirigenti di Fundaredes, ed ha annunciato per settembre un nuovo rapporto. Nell’attesa ha però denunciato sparizioni, detenzioni senza possibilità di comunicare con difensori o familiari, torture, trattamenti crudeli e degradanti, scariche elettriche, violenze sessuali e minacce di violenze sessuali, morti sotto custodia per malnutrizione e alta incidenza della tbc tra i detenuti.

Un dato importante è che Michelle Bachelet, figlia di una vittima del regime di Pinochet e lei stessa torturata e esule di quel regime, come presidentessa socialista del Cile è stata una delle esponenti di quella «marea rosa» di presidenti latino-americani di sinistra di cui furono esponenti anche Daniel Ortega e quell’Hugo Chávez rispetto a cui Maduro si pone come erede. Un altro esponente ne fu, come presidente dell’Uruguay, l’ex-guerrigliero tupamaro Pepe Mujica.

Come la Bachelet sta documentando le violazioni dei diritti umani fatte da Maduro, oltre a protestare per lo Xinjiang, così Mujica ha appena firmato un appello di oltre 140 politici e intellettuali di sinistra contro l’involuzione di Ortega a «autocrate». Ma anche il fratello di Ortega, Humberto, ha chiesto a Daniel di liberare i detenuti politici.

Sono evoluzioni comunque importanti, in un contesto in cui gran parte della sinistra latino-americana continua a invece a coprire Maduro e Ortega, pur di non «darla vinta alla destra». Dal presidente argentino Alberto Fernández al messicano Andrés Manuel López Obrador al redivivo Lula.

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