Non vedo sostanziali differenze tra il gender e il terrapiattismo. Anzi; poiché ambedue i casi si basano sulla percezione mi sembra più comprensibile ritenere che Terra sia piatta (l’umanità lo ha creduto per secoli), piuttosto che non riconoscere le differenze (visibili e intuitive) che da miliardi di anni distinguono in tutti gli esseri viventi il maschio dalla femmina.
E sono le differenze che consentono di procreare. Da questo vincolo non si sfugge, nonostante tutti i surrogati e le diavolerie che una scienza, un po’ disumana e mercificata, ha incentrato per sottrarre il concepimento alla Natura. È lontano il tempo in cui, agli studiosi di diritto costituzionale comparato, veniva spiegato che il Parlamento del Regno Unito poteva legiferare in tutti i campi, ma non gli era consentito di trasformare l’uomo in donna e viceversa. Tuttavia, come dicevano i versi di una vecchia canzone: «Cambian con la moda gli usi e le tradizion».
In quell’Europa in cui si aggirava, nel XIX secolo, il fantasma del comunismo, oggi siamo chiamati a fare i conti con una nuova visione della biologia e dell’evoluzione, assolutamente priva di basi scientifiche. Almeno Darwin aveva concepito le sue teorie, non conformi al libro della Genesi, osservando i fenomeni naturali delle Isole Galapagos; mentre William King aveva individuato il lungo processo evolutivo che in milioni di anni risaliva dall’Uomo di Neanderthal all’Homo sapiens (non abbiamo approfondito la questione del cosiddetto anello mancante), basando le sue teorie su dati reali come la forma degli oggetti e i disegni sulle pareti delle caverne.
Ma su che cosa si basa, invece, il concetto di gender? I suoi sostenitori – va loro riconosciuto – rifiutano i concetti di dottrina e di teoria; inoltre chi volesse documentarsi deve sapere che nel corso degli anni, si sono sviluppati diversi approcci, elaborazioni e studi sul genere, ognuno dei quali ha approfondito un aspetto dell’intera questione: è quindi plausibile che non esista in realtà un pensiero organico sul gender (come dicono al di là della Manica) che possa assurgere a teoria o a dottrina.
Certo, come quel personaggio di Molière che all’improvviso si accorge «di aver fatto sempre della prosa», alcuni possono formulare dottrine e teorie a loro insaputa. Ma è nostra intenzione evitare una guerra di parole. Poiché da noi – la Patria del diritto – è in discussione al Senato, dopo una prima lettura della Camera, un disegno di legge noto col nome di Alessandro Zan del Partito democratico, suo primo firmatario (in realtà si tratta di un testo che ne ha unificati altri) attingiamo da lì le definizioni che potrebbero esserci imposte con il potere della legge.
Non è necessario impegnarsi nell’interpretazione dei 10 articoli che compongono il ddl, anche perché sono tante le spiegazioni dei sostenitori come se parlassero a nome dei giudici che saranno chiamati a sanzionare le violazioni.
Basta citare l’articolo 1 dal titolo indicativo di “Definizioni” che ci autorizza a usare questo termine anche per il gender.
1. Ai fini della presente legge: a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.
Sulla base di queste coordinate, il ddl Zan è presentato come un deterrente all’omotransfobia (è un obiettivo sicuramente encomiabile) e come un ampliamento dei diritti civili. Premesso – ma non è questo il caso – che per un certo «dirittismo» (copyright di Alessandro Barbero) ricorda spesso un verso di Dante (libito fé licito in sua legge), è sicuramente un diritto civile esprimere il proprio orientamento sessuale anche attraverso il riconoscimento di rapporti giuridici più solidi di quelli attualmente previsti, pur continuando ad appartenere al sesso biologico denunciato all’anagrafe (a meno che non si segua la procedura molto più complessa della trasmigrazione sessuale) che non toglie o aggiunge nulla al diritto di provare, in piena libertà, «attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi».
Che omosessuale è una persona, creata uomo, che per andare a letto con un’altra dello stesso sesso deve percepirsi come donna? Se l’orientamento sessuale viene difeso dalla legge, per quale motivo la teoria dell’identità di genere (ovvero «l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione») deve trovare posto, in modo arbitrario e truffaldino, nell’ordinamento giuridico alla stregua di un valore comune? Determinando così una vistosa contraddizione: quanto viene percepito diventerebbe reale a norma di legge, mentre ciò che è platealmente reale (il sesso) si trasformerebbe in un’opinione, magari un po’ retrò e a rischio di essere ritenuta una prevaricazione.