Trattare o sfidareCosa vuole davvero l’amletico Enrico Letta?

Sulla legge Zan la posizione del segretario è ufficialmente molto chiara: si va alla conta in Parlamento e «ognuno si assuma le sue responsabilità». In realtà le cose sono molto più sfumate

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Ma cosa vuole davvero l’amletico Enrico Letta? Sulla legge Zan, vuole trattare o no? «Boh, rinuncio a capire», è la risposta che abbiamo raccolto da un’autorevolissima voce del Pd. Forse oggi si capirà qualcosa di più: si tiene infatti una riunione del gruppo dei senatori dem perché è il momento di fare chiarezza. Il Pd non sta capendo cosa voglia il segretario: sulla legge Zan si vuole mediare o no? 

Adesso che è evidente a tutti che il ddl è finito nel pantano di palazzo Madama si avverte la mancanza di una indicazione politica chiara del gruppo dirigente: e in questo dilemma amletico – trattare o non trattare – non sono pochi i senatori del Pd che provano a scrutare nel cielo qualche segno di novità in un frangente che consiglierebbe di andare a ripararsi da qualche parte attendendo tempi migliori. 

Si aspetta che accada qualcosa di nuovo in grado di dare un senso a questa battaglia parlamentare che ha ormai assunto toni epici e i cui tempi potrebbero essere molto lunghi (non escludendo, anzi, uno show down a settembre), una prospettiva che non dispiacerebbe a un Pd intrappolato tra la propria intransigenza e le tattiche distruttive della destra, con in mezzo un Matteo Renzi di cui il Nazareno continua a diffidare. 

Il problema – lo sanno anche i sampietrini che stanno davanti al Senato – è quello dei numeri. La questione di costituzionalità è stata respinta con voto palese con 12 voti di scarto, e ieri quella di sospensiva con un voto solo. Mancavano ben 14 grillini, figuriamoci cosa avverrà a voto segreto. Gli ingredienti per una minestra andata a male ci sono tutti. Nella sua opacità la situazione è politicamente chiara: con i voti segreti è dunque certo che i numeri non ci saranno. È fisiologico. Tanto più in un Senato pieno di gente senza partito oppure in lotta con il suo stesso gruppo. E allora, torna la domanda: cosa vuole davvero, Enrico Letta? Andarsi a schiantare o ottenere un risultato accettabile?

Ufficialmente si sa: il leader del Pd vuole andare alla conta perché per lui non esistono margini per una mediazione con gli “orbaniani” (con i quali peraltro governa il Paese) e dunque si voti, condendo il tutto con la classica formula: «Ognuno si assuma le sue responsabilità». A petto nudo, insomma, il partigiano Enrico sfida i numeri, che ci sarebbero sì ma solo sulla carta, e abbiamo già spiegato che la realtà funziona in modo alquanto diverso, immaginando poi, dopo la caduta, costruire una dura campagna contro Salvini e contro Renzi. E se per miracolo dovesse andar bene sarebbe un trionfo. 

Ma nelle ultime ore la sensazione è che non tutti nel Pd siano sulla posizione “Zan o morte”. Nel senso che alcuni senatori, quelli per cultura politica più sensibili alle regole della dialettica parlamentare (gli Zanda, i Mirabelli, le Fedeli), attendono l’arrivo in aula degli emendamenti per provare a costruire una qualche mediazione in grado di salvare l’impianto della Zan limandola in qualche punto, per esempio sulla giornata nelle scuole dedicata alla lotta alla transomofobia e forse anche sulla formulazione dell’articolo 4. È sull’identità di genere al momento non ci smuove di un millimetro: «Dal lato del Movimento qualunque modifica dell’articolo 1 viene vissuto come un venir meno dell’impianto stesso della legge», spiega Gianni Cuperlo.

Ma una breccia forse si sta aprendo: un conto infatti è il “prendere o lasciare” su cui pubblicamente è attestato il Nazareno e un altro è quello di disporsi ad una non pregiudiziale dialettica in aula. È la contraddizione che Renzi cercherà di allargare con gli emendamenti di Italia viva che potrebbero essere alla fine l’unica ciambella di salvataggio per una legge che rischia di inabissarsi nelle sabbie mobili di palazzo Madama. Ma in questa situazione – nella quale peraltro vanno ad aggiungersi nuovi elementi problematici, come sul rapporto con la Libia, con il Pd in disaccordo addirittura con il governo – l’interrogativo numero uno resta quello: cosa vuole davvero Enrico Letta?

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