Vedd vissza a jövőd!L’onda lunga del gay pride di Budapest contro il muro d’odio di Viktor Orbàn

Oltre 40mila persone hanno percorso le strade della capitale ungherese per protestare contro i provvedimenti del premier sovranista e il Parlamento a lui asservito che in poco più di un anno hanno progressivamente eroso i diritti e la dignità delle persone Lgbtiq

LaPresse

Sabato, 24 luglio. Nella capitale ungherese sono da poco scoccate le due pomeridiane quando da piazza Madách, animata e colorata come non mai, inizia a snodarsi la 26° parata del Budapest Pride. Dopo la scorsa edizione in streaming c’è voglia di manifestare uniti, di ridare centralità ai propri corpi, di rivendicare attraverso di essi, in un clima di festosa celebrazione dei moti di Stonewall da cui tutto ebbe inizio, una parità di diritti e un’autodeterminazione ancora dimidiate, quando non negate alle persone Lgbtiq.

La situazione sanitaria è mutata rispetto al 2020, anche se il Covid con le nuove continue varianti appare sempre più come un’idra di Lerna tutt’altro che vinta. Ma c’è un altro spettro che incombe prepotentemente sull’Ungheria e che preoccupa il vecchio continente. Spettro per fugare il quale, due giorni fa, ci si è mossi in massa dal cuore di Pest fino a raggiungere, attraversando il Danubio sull’imponente Szabadság híd o Ponte della Libertà, il parco di Tabán ai piedi della collina di Buda.

Una marcia dell’orgoglio, dunque, quella del Budapest Pride. Ma anche di protesta contro il premier sovranista-cristiano Viktor Orbán e un Parlamento a lui asservito, che in poco più di un anno hanno progressivamente eroso i diritti e la dignità delle persone Lgbtiq a colpi di provvedimenti. Come, ad esempio, per citarne alcuni, la cosiddetta “legge insalata” (salátatörvény): promulgata il 28 maggio 2020 dal presidente János Áder, ha recepito all’articolo 33, e pertanto inserito nel quadro normativo nazionale, la nozione di “sesso di nascita”, che definisce permanentemente il genere di una persona «sulla base dei caratteri sessuali primari e sui cromosomi». Ciò significa che il dato anagrafico registrato alla nascita, F (Férfi per uomo) o N ( per donna), è immodificabile al pari del nome assegnato, proscrivendone così quello d’elezione anche in caso di intervento di riassegnazione chirurgica del sesso o terapia ormonale. 

O, per restare al caso più recente ed eclatante, la normativa antipedofilia in vigore dall’8 luglio, che, integrando modifiche alle leggi sulla protezione dei minori 31/1997, sulla pubblicità commerciale 48/2008, sui media 185/2010 e sulla scuola 190/2011, «vieta di rendere accessibili a persone di età inferiore ai 18 anni contenuti pornografici o che ritraggono la sessualità in modo gratuito o che rappresentano e promuovono la divergenza dell’identità [di genere] dal sesso assegnato alla nascita, il cambiamento di sesso e l’omosessualità».

Normativa che, esemplata su quella russa contro “la propaganda omosessuale”, è stata bollata il 7 luglio da Ursula von der Leyen come «vergognosa» in quanto «mette l’omosessualità e il cambio di sesso alla pari con la pornografia» e condannata, l’indomani, dal Parlamento europeo con una Risoluzione approvata a larghissima maggioranza, in cui si domandava alla Commissione europea d’avviare una procedura accelerata d’infrazione nei confronti del Paese a guida Orbán.  Richiesta, questa, cui Palazzo Berlaymont ha dato subito seguito, undici giorni fa, con l’inizio di un’azione legale congiunta contro Ungheria e Polonia per medesima «violazione dei diritti fondamentali delle persone Lgbtiq».  

Il Budapest Pride si è fatto così cassa di risonanza ai moniti europei e, come un fiume che si ingrossa nel suo corso, si è accresciuto progressivamente di manifestanti fino a oscillare tra le 40.000 e le 50.000 presenze. Numeri che hanno mostrato tutta l’irrilevanza degli sparuti controcortei di estrema destra, che, isolati dalla polizia, hanno visto alcune decine di militanti del Movimento Nostra Patria (Mi Hazánk Mozgalom) e di Federazione Alfa (Alfa Szövetség) scandire slogan omofobi o brandire cartelli con le scritte magiare Hetero Pride Budapest o Stop LMBTQ.

Nutrita la delegazione di rappresentanti diplomatici di stanza a Budapest, che partecipando alla marcia dell’orgoglio hanno espresso nuovamente quel pieno sostegno alla comunità arcobaleno già esplicitato da 42 ambasciate (compresa quella italiana) e istituti culturali nella dichiarazione congiunta del 19 luglio. «Preoccupati dai recenti sviluppi che minacciano il principio di non discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, incoraggiamo – così in un passaggio – iniziative in ogni paese per garantire l’uguaglianza e la dignità di tutti gli esseri umani, indipendentemente dal loro orientamento sessuale o identità di genere, e sottolineiamo la necessità affinché i leader e i governi eletti mostrino rispetto e proteggano i diritti delle persone Lgbtiq». 

Con loro anche eurodeputati come Brando Benifei e la copresidente dell’Intergruppo Lgbti del Parlamento Ue Terry Reintke, che nel suo discorso ha osservato: «Tutta l’Europa guarda a ciò che sta accadendo in Ungheria. Siamo qui contro l’odio, la deriva dello stato di diritto e l’ondata autoritaria». Presenti invece dall’Italia, fra gli altri, il deputato del Pd e “padrino” del ddl contro l’omotransfobia Alessandro Zan, l’attrice transgender Vladimir Luxuria e Yuri Guaiana, che ha capeggiato una rappresentanza di +Europa. 

Nel corso del Pride l’attivista lombardo, che è componente della direzione del partito e senior campaign manager di All Out, ha rilevato come la risposta di Orbán a «una legge criticata aspramente dalla Commissione europea sia stata quella di indire un plebiscito per chiedere alla maggioranza di togliere i diritti a una minoranza. Siamo qui per portare lo stato di diritto e i valori europei a Budapest».

Sul referendum, che, contortamente formulato e annunciato quattro giorni fa dal premier ungherese, rischia in realtà, al di là di sbandierati proclami, di non raggiungere il quorum previsto (come già avvenuto nel 2016 per quello sui migranti), Yuri Guaiana ha detto a Linkiesta: «Sono venuto a Budapest per dire alle persone Lgbtiq ungheresi che non sono sole ad affrontare la campagna d’odio, che il plebiscito indetto da Orbán per togliere i loro diritti, inevitabilmente genererà. Questo il senso dei colori dell’arcobaleno e della bandiera ungherese con cui, la sera del 24, All Out e il Budapest Pride hanno illuminato il palazzo dove si riunisce l’Assemblea parlamentare».

La presenza di +Europa con Guaiana alla manifestazione è stata definita «importantissima» dal segretario del partito e sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, per il quale «i Paesi che hanno scelto di stare in Ue hanno sottoscritto il Trattato di Lisbona che contiene la Carta dei diritti fondamentali di Nizza. E quindi i Paesi membri hanno un obbligo: non si può rimanere in Europa se si hanno leggi che violano palesemente i diritti di libertà fondamentali, come è il caso dei diritti delle persone Lgbtiq, che invece sono colpiti e violati in Ungheria». Parole che ha fatto sue, ribadendole a Linkiesta, Manuel Jacoangeli, neoambasciatore d’Italia a Budapest.

D’altra parte, l’opinione popolare sembra progressivamente discostarsi dalle vedute di Orbán e del suo partito Fidesz soprattutto per quel che riguarda i temi Lgbtiq. Secondo un sondaggio Ipsos del giugno scorso il 46% degli ungheresi si è dichiarato favorevole al matrimonio tra persone dello stesso sesso, mentre una ricerca del think-tank Globsec ha evidenziato che il 55% è totalmente in disaccordo con la «demonizzazione della comunità arcobaleno».

Motivo di speranza, questo, per Luís C. Cano, attivista gay e componente del partito centrista Momentum, che ricorda al nostro giornale come il suo  «sia stato il primo schieramento politico in Ungheria a partecipare apertamente al Budapest Pride. Allora molti ci dissero che era un suicidio politico. La nostra risposta fu: È nostro dovere lottare per l’uguaglianza, difendere i diritti di un individuo è difendere i diritti di tutti! Oggi sono triste e felice: triste nel vedere la situazione in cui versa l’Ungheria e l’incitamento all’odio da parte del governo, felice perché non siamo più l’unico partito a partecipare al Pride. Ci sono sempre più persone che si uniscono alla marcia dell’orgoglio e apprezzano, in pari tempo, le nostre battaglie grazie all’esempio che diamo in politica».

Contraddizioni e criticità, che sembrano dire che non tutto è perduto, soprattutto in vista delle elezioni parlamentari del 2022. Non a caso, il 14 agosto dello scorso anno in coincidenza con l’inizio del 25° Budapest Pride Festival, i sei principali partiti ungheresi d’opposizione avevano manifestato la volontà di presentarsi in coalizione alle prossime votazioni, ricalcando il modello Karácsony – come è stato chiamato da Christian Rocca sulla scorta del volume collettaneo Insurgents. Inside a new generation of progressive leadership – alle amministrative budapestine del 2019. Quel Gergely Karácsony, per capirsi, che, eletto primo cittadino, è riuscito a strappare la capitale ungherese a Fidesz, trasformando l’iniziale corsa personale in uno sforzo congiunto di tutte le parti politiche antiorbaniane.

Proprio Karácsony, che lo scorso anno ha fatto sventolare per la prima volta la bandiera arcobaleno sul Palazzo del Comune e sabato era in prima fila al Budapest Pride, potrebbe essere investito del mandato di scalzare Orbán alle elezioni del 2022. A deciderlo saranno le imminenti primarie del fronte unico esapartitico. Sarebbe traguardo non da poco per il quarantaseienne sindaco e leader di un partito ecologista di centrosinistra, ma anche segnale di speranza e riscossa per l’Ungheria tutta.

 

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