Basta una frase – apro il libro di M. John Harrison, inizio a leggere e arrivo alla descrizione di Victoria, una perfetta ultra-quarantenne inglese instabile di cui si dice che ha «l’umorismo studiatamente insipido dei romantici ad alto funzionamento»: bene, è fatta. (Il libro l’ho preso in mano sapendo chi è l’autore e vedendo che è un libro, un bel libro, non una di quelle scatole di detersivo destinate a stare affiancate in piedi nelle vetrine di una post-libreria).
Una frase così la scrive solo uno scrittore, non uno scrivente (anche di talento), e M. John Harrison è uno scrittore magnifico. Uno di quegli scrittori che prima o poi scrivono “il” libro: eccolo, “Riaffiorano le terre inabissate”. Siamo tra la Londra dei subaffitti di stanze con bagno (?) in comune al fondo del corridoio e le città dell’entroterra dove sopravvivono i detriti umani dell’età post-industriale.
Umidità e unto – i prodotti tipici, tenaci e condivisi. Victoria è donna di ordinaria incertezza e malcelato nervosismo, ancora ossessionata da quel che le aveva detto suo padre riguardo a «una sottospecie di persone che appena nate sembravano pesci».
Shaw è un cinquantenne spiaggiato sul lungo arenile solitario del dubbio e dell’irresolutezza, con la madre ostaggio della demenza senile ospite di un istituto adatto al caso. Si incontrano in un pub, si rivedono, finiscono a letto e poi col bisticciare per passare il tempo, fino a quando alla richiesta di stabilità di lui Victoria si dice spaventata dall’evidente carico di ansie di Shaw e la cosa si blocca («Nel frattempo la vita si chiuse tirandosi di colpo come una tendina da poco, e loro cominciarono a vedersi meno»), e alla fine Victoria si trasferisce nella casa materna, nello Shropshire.
In mano a un romanziere britannico d’ordinanza è materiale per l’ennesimo, stucchevole romanzo di frustrazione erotico-esistenziale e susseguenti rimpianti ecc. (“Chesil Beach“ docet). Harrison sceglie ad arte questo prologo – ma attenzione agli uomini-pesce, al sonoro e a quel «romantici ad alto funzionamento».
Siamo nel mondo gotico, la variante moderna che ne è il Romanticismo («Il chiaro di luna continuava a tranquillizzare il prato che rimaneva piatto come acqua»): è il mondo della inaffidabilità delle forme (qui titolo di capitolo!), il peculiare immaginario di stagno e metamorfosi, creature bizzarre e terrori ancestrali, voci dal buio e luci fredde da obitorio.
Così ogni due per tre compare una copia di “The Water-Babies“, uno di quei perniciosi libri per ragazzi che erano collante dell’immaginario vittoriano, tra Darwin e Redenzione, dove si dice di un piccolo spazzacamino che affoga in un fiume e si trasforma in un Water-Baby; a Shaw pare di intravedere una creatura sul fondo della tazza del cesso; Victoria vede una giovane donna entrare in uno stagno come in una fermata della metropolitana e scomparire; e l’acqua, che fa da trama.
Sono le gargouille e le guglie di un arazzo narrativo tessuto sull’ordito di rumori che attraversano i muri e di rumors cospirazionisti che esalano dai siti-pattumiera di internet, di odori inglesi che paiono persistere oltre la vita e la morte, puzza di cane e crollo mentale, di stampe digitali dello slancio femminile («Alle sei del mattino uscivano per i loro sette chilometri quotidiani di jogging a Richmond Park, tutte con l’andatura perfetta, l’equilibrio da pilates, filanti come coltelli di ceramica, in maglia e leggings di marca; il weekend, invece, nuoto e spinning»), di istantanee televisive («Sullo schermo il primo ministro con la bocca flaccida e l’aria malata ripetè qualcosa tre volte; Victoria spense la TV») – trama e ordito che s’incrociano ad arte.
L’unità di misura della prosa (della poetica, vien da dire) di Harrison è la frase: tutto è frase, cadenzare tonico e aperto di frasi che si dispongono in paragrafi perfetti. (I due paragrafi dove dà figura alla famiglia di Victoria, i suoi frammenti, da soli valgono il prezzo del libro). Il segreto è il tono: è quello dell’ascoltatore che riporta un resoconto, non quello del regista di figurinepanini del romanzo che si balocca: è il tono conseguente alla natura di geografo della contemporaneità dell’autore, e così virtuoso dell’elenco – e di geografo dell’immaginario speculativo che fiorisce ai margini e vicino all’acqua: Perec meets Sturgeon, dovrebbe essere il testo della fascetta editoriale in lingua atlantica.
Nessuno sa come M. John Harrison disporre in forma di parole, frasi e omissioni la congerie di vite effimere e frammentarie che sono le prime periferie metropolitane e le cittadine post-industriali dell’entroterra: soltanto lui sa disporre quel vischioso materiale in un arazzo di nuova figurazione – e farci sentire il rumore delle acque gorgoglianti e le terre inabissate, che premono.
M. John Harrison, “Riaffiorano le terre inabissate”, Atlantide, 2021. 272 pagine, 24 euro