Se doveste proiettare i vostri limiti, come individui e come gruppo, preferireste farlo su un allenatore italiano, su un’editorialista inglese, su una serie tv statunitense, o su un editorialista italiano?
Domenica, mentre il Grande Fratello Vip australiano faceva sapere che un’editorialista inglese non avrebbe partecipato all’imminente edizione del programma, gli italiani si sdilinquivano su Roberto Mancini in fila dal salumiere.
Guardalo, com’è umile, com’è normale, come la vittoria agli Europei non gli ha dato alla testa, è così che vogliamo i nostri eroi, mica che facciano la carità in Lamborghini, mica che a far la fila ci mandino la servitù, mica che la spesa la ordinino gelidamente on line, vuoi mettere il contatto umano, le piccole botteghe di quartiere, la tauromachia.
Siamo così: ci piace credere che uno che da tutta la vita fa il calciatore e poi l’allenatore di successo, e due spicci da parte ce li avrà, non abbia personale di servizio da mandare a far la spesa. Che c’entra, come sei arida, è la spesa per la sua mamma, è un bravo figlio, controlla personalmente che il prosciutto che le vendono sia dolce, la mamma è pure stata male, sei proprio senza cuore.
Vogliamo illuderci che i ricchi siano come noi, e prendano il numeretto al reparto gastronomia dell’Esselunga e chiedano due etti di mortadella ma me la faccia fina per carità.
In White Lotus, serie ambientata alle Hawaii che arriverà su Sky a fine agosto, i clienti dell’albergo sono tutti ricchi, e sono tutti delle merde.
La figlia della similPaltrow, imprenditrice del benessere, che legge Freud mentre l’amichetta legge Nietzsche, e vessa il fratello non sveglissimo, e dà dell’omofobo al padre perché scioccato dalla scoperta che il nonno aveva una doppia vita, era segretamente gay ed è morto di Aids.
La coppia in luna di miele, lei legge la Ferrante e lui Malcolm Gladwell, lui ossessionato dall’idea che la suite dove li hanno messi non sia la più figa dell’albergo, lei ossessionata dalla carriera che mai ha avuto e mai avrà, e dall’idea di diventare una moglie di rappresentanza, un trofeo. («Sono d’oro, sono preziosi: c’è di peggio che essere un trofeo», le dice la suocera).
La sessantenne devastata dalla chirurgia plastica che vuole spargere in mare le ceneri della madre (lei almeno non ostenta buoni libri).
Fanno tutti schifo ed è l’unica ragione per cui li guardi, ma per la critica televisiva americana il loro fare schifo da ricchi non basta: perché gli autori non si sono concentrati sulle storie del personale dell’albergo?, domandano.
Se sei ricco devi espiare facendo la fila, essendo non protagonista, o almeno dandoti alle buone cause. La sessantenne è subito attratta da un tizio (bianco) che le dice che è un dirigente di BLM, mentre si rotolano tra le lenzuola è molto soddisfatta d’accoppiarsi con uno la cui vocazione è la militanza in Black Lives Matter, e poi scopre che l’acronimo indicava altro: il tizio dirige le guardie forestali, Bureau of Land Management.
Non sappiamo niente dei fattorini, degli indigeni vessati, di quelli cui i clienti dell’albergo di fantasia non lasceranno abbastanza mance, lamenta la critica. Eppure i ricchi stronzi sono indispensabili, nell’ecosistema, che non può reggersi solo su contrizioni e buone cause. L’inglese espulsa ancor prima di cominciare dal Grande Fratello australiano ha osato ridere della pandemia, dire sui social che apriva nuda e senza mascherina la porta della camera d’albergo in cui era in quarantena, ed è stato necessario cacciarla: ormai si pretende gli autori televisivi siano moralizzatori.
Ma, se l’hai ingaggiata per il cast d’un reality, sarà perché è una stronza provocatrice in grado di movimentarlo, mica perché è una che dal panettiere mai salterebbe la fila. Perché la elimini? Perché il pubblico alla tv guarda gli stronzi ma nei focus group e sui social giura di apprezzare i virtuosi? Perché sei così fesso da farti turlupinare al mercato del sé, da chiederci cosa vogliamo e poi credere alla risposta, da pensare che ti diremo la verità, come i sondaggisti fessi nel 1994? Vogliamo i buoni, vogliamo che la picchiatella che apre la porta nuda in quarantena sia punita. Dateci la sua testa, acciocché noialtri possiamo sentirci migliori e voi possiate fare un programma noiosissimo.
Dateci la testa della ricca stronza, o almeno una serie televisiva sul personale alberghiero da lei vessato, basta con questi ricchi, giurano i recensori che dovrebbero spiegarci lo spirito del tempo, ma non sanno spiegarci come mai l’unica serie che non vediamo l’ora ritorni è Succession, dove sono ricchissimi e stronzissimi e meschinissimi e orrendissimi. Tra l’altro sono in Italia a girare le ultime due puntate della nuova stagione, e sarà bellissimo vedere una storia ancora una volta dedicata ai ricchi stronzi ma con, sullo sfondo, personale di servizio locale che gesticola moltissimo.
Ma non è così, obietteranno i miei piccoli lettori, siamo davvero cambiati, vogliamo davvero personaggi perbene che non saltino la fila, perché mai, sennò, il libro dell’editorialista accusato d’essersi vaccinato prima che fosse il suo turno avrebbe venduto un terzo dei suoi libri precedenti? Il capitalismo moralizzatore funziona, siamo diventati tutti attenti ai simboli contenuti nel nostro carrello di Amazon, se salta la fila non lo compro, se fa la fila sì (chissà quanti cartonati di Mancini son stati venduti in questi giorni).
Si potrebbe controbiettare che il libro ha venduto meno del solito perché pochi sono interessati al protagonista del libro, un tal Matteo Renzi, molto caro ai detrattori sui social e ai sostenitori anch’essi sui social, ma è illusorio credere che mettere un like o lasciare un commento furibondo siano gesti che preludono a qualche gesto da farsi nella vita: comprare un libro, mettere una croce sulla scheda elettorale, parlarne a cena.
Pochi ma abbastanza da farti essere primo in classifica all’uscita: che tu sia Renzi che scrive un libro, o sia un giornalista che scrive un libro contro Renzi, il tuo essere di tendenza è una cosa da pubblico di influencer, la curva dell’attenzione ha la durata d’una storia di Instagram.
A nessuna cena nel mondo reale, quello in cui non s’interagisce a botte di cuoricini e di faccette lacrimevoli, si è mai parlato di Matteo Renzi, o della legge Zan, o di qualunque altro sia oggi il trending topic sugli schermi dei nostri telefoni.
Tuttavia, anche nel mondo reale cerchiamo, proprio come sui social, uno specchio in cui guardare i nostri limiti, mica una porta tramite la quale uscirne. E quindi vediamo la fila di Mancini e ci diciamo che anche noi siamo così: gente semplice che, anche qualora si ritrovasse uomo del momento, a fare la spesa ci andrebbe comunque di persona. Proiettiamo quello, addosso all’allenatore dal fornaio. Mica il fatto che noialtri, anche senza aver vinto alcun trofeo, la fila cerchiamo comunque di saltarla, e c’è sempre qualcuno cui tocca dirci «C’ero prima io».